L'Italia muore e i politici "giocano" con la crisi
Il rapporto annuale del Censis "disegna" un'Italia a due facce: da un lato le famiglie in "bancarotta", dall'altro la classe dirigente italiana che gioca sulla crisi "per legittimarsi"
Redazione 6 Dicembre 2013
ROMA - Un Paese distrutto dalla "incertezza", "sotto sforzo, smarrito, fiaccato da una crisi persistente". E ancora: una larga parte della Nazione messa in difficoltà dalla "fragilità", con una famiglia su quattro che fa fatica a pagare le bollette e il 70% che non saprebbe come affrontare una spesa improvvisa.
Dall'altro lato, una "classe dirigente italiana", che "tende a ricercare la sua legittimazione nell'impegno a dare stabilità al sistema, magari partendo da annunci drammatici, decreti salvifici e complicate manovre che hanno la sola motivazione e il solo effetto di far restare essa stessa la sola titolare della gestione della crisi".
E' la "solita" Italia quella dipinta dal rapporto annuale del Censis: la solita Italia che, nonostante le parole di speranza del governo, continua a non trovare la via di uscita da una recessione economica che appare senza fine.
Anche perché - continua il j'accuse del Centro Studi - "non si illumina una realtà sociale con questi atteggiamenti ed è impossibile pensare a un cambiamento. La classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla: una tentazione che peraltro vale per tutti, politici come amministratori pubblici, banchieri come opinionisti".
Anche perché - continua il j'accuse del Centro Studi - "non si illumina una realtà sociale con questi atteggiamenti ed è impossibile pensare a un cambiamento. La classe dirigente non può e non vuole uscire dalla implicita ma ambigua scelta di drammatizzare la crisi per gestirla: una tentazione che peraltro vale per tutti, politici come amministratori pubblici, banchieri come opinionisti".
E ancora: "Un atteggiamento che - secondo il Censis - porta a uno sconforto continuato tra gli italiani, con conseguenze dirette sulla società, sempre più sciapa, dove circola troppa accidia, furbizia generalizzata, disabitudine al lavoro ed evasione fiscale" e dove si diventa "malcontenti e infelici", sotto il peso di un "inatteso ampliamento delle diseguaglianze sociali".
A risentire di più delle disuguaglianze, numeri alla mano, sono le famiglia. L'incertezza, spiega il Centro studi, "ha preso il sopravvento" sui nuclei familiari assumendo "la forma della preoccupazione e dell'inquietudine" dato che spiega alla perfezione perché per "il 69% sia stata registrata una riduzione e un peggioramento della capacità di spesa".
A risentire di più delle disuguaglianze, numeri alla mano, sono le famiglia. L'incertezza, spiega il Centro studi, "ha preso il sopravvento" sui nuclei familiari assumendo "la forma della preoccupazione e dell'inquietudine" dato che spiega alla perfezione perché per "il 69% sia stata registrata una riduzione e un peggioramento della capacità di spesa".
Quindi: pochi soldi e ancora meno voglia di spenderli. Il tutto aggravato, come se ce ne fosse bisogno, dall'eterna paura di essere licenziati dal proprio posto di lavoro. Il 14% degli italiani, secondo il Censis, teme infatti di perdere la propria occupazione e "il 2013 si chiude con la sensazione di una dilagante incertezza sul futuro del lavoro. Sono quasi sei milioni - evidenzia lo studio - gli occupati che si trovano a fare i conti con situazioni di precarietà lavorativa".
Una situazione che precipita al Sud con il divario dal Centro-Nord che cresce senza sosta. "Il Pil pro-capite nel Mezzogiorno è di 17.957 euro, il 57% di quello del Centro-Nord, e inferiore ai livelli di Grecia e Spagna": il che fa del Meridione "un problema irrisolto".
Irrisolto come quel piccolo problema che si chiama crisi. Che a qualcuno faccia davvero piacere "giocarci" su?
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