Quasi un’ora e mezza di colloquio a quattr’occhi nello studio del presidente. Enrico Letta e Giorgio Napolitano - presente anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Filippo Patroni Griffi - studiano la situazione caotica, anzi “criptica” come ha detto lo stesso capo dello Stato in mattinata, creatasi intorno al governo delle larghe intese dopo le dimissioni dei ministri del Pdl.
Al termine di una disamina intensa di tutti gli aspetti in campo, la decisione è di ‘congelare’ la squadra di governo. Cioè di fatto di non accogliere le dimissioni dei ministri berlusconiani. Troppa confusione sotto il cielo, per questo Napolitano blocca il piano di Letta, vale a dire l’idea di presentarsi in aula mercoledì con in tasca un annuncio di rimpasto. No, per il Quirinale il cerchio non va chiuso: va tenuto aperto, in attesa delle ultimissime che arriveranno lunedì 30 settembre dopo la riunione dei gruppi del Pdl con Silvio Berlusconi. Lì si capirà chi si smarca dal capo e chi no.
Il succedersi nella giornata odierna di dichiarazioni pubbliche politicamente significative dei ministri dimissionari, di vari esponenti del pdl e dello stesso presidente berlusconi ha determinato un clima di evidente incertezza circa gli effettivi possibili sviluppi della situazione politica. Da ciò il presidente del consiglio ha tratto, d'intesa con il presidente della repubblica, la decisione di illustrare in parlamento, che è la sede propria di ogni risolutivo chiarimento, le proprie valutazioni sull'accaduto e sul da farsi. E' stata attentamente esaminata la situazione che si è venuta a creare a seguito delle dichiarazioni del presidente Berlusconi e delle dimissioni rassegnate dai ministri del Pdl in adesione a quell'invito ed ora il presidente del Consiglio concorderà la data dei dibattiti con i presidenti delle camere.
In fondo sono solo 48 ore. Il presidente della Repubblica invita Letta ad aspettare gli eventi. E’ in corso una lotta all’ultimo sangue nel Pdl, tra chi difende le deliberazioni del capo e chi si smarca, i tre ministri Lorenzin, Quagliariello e Lupi scettici sulle dimissioni, la Di Girolamo pure incerta. E nel partito si rincorrono dichiarazioni contrastanti, Giovanardi dissente e lo ha detto da giorni, Cicchitto contesta il metodo di scelta della linea dura, Brunetta resta in silenzio. Non ultime, valutano dal Colle, le dichiarazioni di Berlusconi sulla disponibilità a votare una legge di stabilità "realmente utile al paese" e a patto che venga cancellata la seconda rata dell'Imu. Insomma, ragionano al Quirinale, nel Pdl non c’è una linea unica. Per questo, conviene attestarsi su una posizione più morbida. Andare al chiarimento in aula, quello sì e resta confermato per mercoledì in Senato, la capigruppo alla Camera – convocata per lunedì – potrebbe decidere di chiamare il dibattito anche a Montecitorio. Ma, secondo Napolitano, è importante che Letta arrivi a quell’appuntamento senza accogliere le dimissioni dei ministri pidiellini. Per non pregiudicare l’esito della difficile ricerca di una maggioranza: la stessa di ora, se rientra la linea dura di Berlusconi, o un’altra, affrancata dai falchi del Pdl.
Al momento, è questo l’obiettivo del capo dello Stato. Tentare in tutti i modi di non dichiarare finita l’esperienza del governo Letta almeno per approvare la legge di stabilità e per fare la riforma elettorale. Perché Napolitano non si rassegna a rimandare il paese alle urne con il Porcellum. L’idea di Letta di presentarsi alle Camere con le dimissioni accolte, magari assumendo l’interim di Alfano agli interni e distribuendo le deleghe degli altri berlusconiani tra i restanti dicasteri, con l’ipotesi di operare un rimpasto dopo aver incassato un’altra fiducia, cozza con l’idea del capo dello Stato di lasciare i canali aperti. Non per altro, ragionano al Quirinale: con le dimissioni di Alfano e company accolte, che chiarimento si potrebbe chiedere al Parlamento? A quel punto, il cerchio si chiuderebbe, calerebbe il sipario sul governo Letta, il premier sarebbe costretto a dimettersi a meno di miracoli in aula.
Il premier dunque è costretto a resistere ancora in sella, in attesa di capire se ci saranno smottamenti dal fronte del Pdl. Anche la sua idea di non guidare un governissimo fatto di transfughi è congelata. Potrebbe trattarsi di qualcosa in più di transfughi, la nascita di una forza politica da una costola del Pdl. Sono questi i ragionamenti che Napolitano avrebbe addotto a supporto della sua tesi. Mercoledì dopo il chiarimento si andrà ad un voto di fiducia e a quel punto sarà davvero prendere o lasciare. Se Letta passerà la prova d’aula, il governo andrà avanti. Se non la passerà, sarà sfiduciato, condizione che lo escluderebbe da un reincarico. E poi che succederebbe? Al Quirinale sono indisponibili ad analizzare scenari che vadano oltre il tentativo di salvare questo governo. Ma è chiaro che, per via dei due obiettivi centrali di Napolitano – approvare la legge di stabilità e quella elettorale – il capo dello Stato tenterà la strada di un esecutivo istituzionale che ci porti fino al voto a febbraio-marzo.
In mattinata, prima di tornare da Napoli, il presidente della Repubblica ha citato il precedente della crisi del secondo governo Prodi. “Procederò con un’attenta verifica dei precedenti di altre crisi, a partire dalla crisi del secondo governo Prodi", sono le sue parole. In quel caso, Romano Prodi si dimise dopo la sfiducia in aula al Senato. Napolitano affidò all’allora presidente di Palazzo Madama, Franco Marini, un mandato esplorativo per cercare un’altra maggioranza. Com’è noto, questa ricerca fallì e si tornò al voto. Oggi chi potrebbe assumere un mandato per risparmiare al paese nuove elezioni? Nei Palazzi della politica, gira il nome del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, titolare del capitolo legge di stabilità. Ma al Colle è l’alba per analizzare scenari di questo genere.