La storia di Michele Giarrusso, il senatore 5 stelle che chiede l’immunità perché «portavoce dei cittadini»
Il parlamentare chiederà la difesa con l'articolo 68 per non finire sotto processo a Enna, dove è stato denunciato per diffamazione della deputata dem Maria Gaetana Greco
Michele Giarrusso, senatore del Movimento 5 stelle, sarebbe pronto a chiedere l’immunità parlamentare. A riferirlo è oggi il Corriere in un piccolo trafiletto che sta sollevando diverse polemiche, specialmente da parte del Pd.
«Il cambio della rotta – spiega il quotidiano – si concretizzerà stasera nella giunta per le Autorizzazioni del Senato chiamata ad esaminare il senatore grillino». Giarrusso, riporta il Corriere, chiederà la difesa con l’articolo 68 per non finire sotto processo a Enna, dove è stato denunciato per diffamazione della deputata dem Maria Gaetana Greco. Il senatore la avrebbe definita contigua con «ambienti mafiosi».
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LA REPLICA DI GIARRUSSO: “NON SI TRATTA DI UN PRIVILEGIO MA DELLA LIBERTA’ DI PAROLA PER I PORTAVOCE DEI CITTADINI”
Ma come stanno realmente le cose? Il senatore, davanti all’alzata di scudi dei democratici, ha risposto con un lungo post su Facebook
Invece di indagare su chi ha sostenuto la campagna elettorale del sindaco di Agira (deputato del Pd), ci accusano nientemeno di essere come loro.
Vediamo invece le cose come stanno.
Dalla lettura dell’oggetto dell’imputazione di diffamazione che mi riguarda infatti, si evince che l’espressione “esibire in maniera plateale comportamenti e soggetti denotanti contiguità con gli ambienti mafiosi” era riferita al fatto assolutamente vero e confermato anche dalla querelante, della presenza del Sig. Giannitto Giuseppe, nello stesso balcone in cui erano presenti esponenti politici del Partito Democratico.
Le mie parole quindi erano volte a denunciare la possibilità che soggetti che abbiano intrattenuto rapporti con la criminalità organizzata potessero essere interessati alla campagna elettorale locale, addirittura presenziando in pubblico accanto ad esponenti politici.
In relazione al reato di diffamazione fondamentale rilievo assume l’insindacabilità prevista per i membri del Parlamento dall’art. 68 Cost. secondo il quale i membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni.
Si tratta di una insindacabilità assoluta, che esclude qualsiasi forma di responsabilità e che ricomprende anche ogni attività compiuta anche fuori dalle aule parlamentari, nell’esercizio de funzioni derivanti dalla propria carica o comunque con essa collegate.
In particolare, l’art. 3 della Legge 20 giugno 2003 n. 140 sull’attuazione dell’art. 68 Cost. nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello stato prevede che “L’articolo 68, primo comma, della Costituzione si applica in ogni caso per la presentazione di disegni o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno, mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee e negli altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione di voto comunque formulata, per ogni altro atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento”. Da siffatto quadro normativo emerge che in presenza di determinati elementi anche le dichiarazioni esterne risultano coperte dalla garanzia dell’insindacabilità.
Nello specifico occorre, come sopra accennato, che vi sia un nesso funzionale tra le dichiarazioni esterne e il concreto esercizio delle funzioni parlamentari.
Detta insindacabilità è configurabile quindi anche in caso di attività del parlamentare espletata fuori dal Parlamento a condizione che la critica sia connessa o collegata alla sua funzione e riguardi questioni trattate e opinioni espresse in sede parlamentare, avendo pertanto in relazione a queste una finalità divulgativa.
Di che cosa si avvale Giarrusso?
Non si tratta cioè di un privilegio, ma della tutela della libertà di portavoce dei cittadini di poter chiamare le cose col proprio nome senza dover subire tentativi di censura a mezzo denunce e cause di risarcimento.
Voi ci avete mandato in parlamento per denunciare il malaffare, la corruzione e la mafia.
E noi questo facciamo, malgrado le intimidazioni, gli attacchi e le minacce del PD.
La insindacabilità quindi, mira a tutelare questa possibilità e cioè l’attività di denuncia.
Va in primo luogo evidenziato che l’articolo di cui all’imputazione risulta inserito all’interno del blog del Movimento Cinque Stelle, portale di natura prettamente politica e rivolto alla divulgazione delle idee del movimento. Ora è evidente che il Sottoscritto nel proprio intervento, provvedeva a rendere edotti i lettori ed il proprio elettorato su quanto avvenuto nel corso di un Comizio elettorale del Movimento Politico di appartenenza, segnalando la presenza del Sig. Giannitto – che aveva intrattenuto in passato rapporti con la criminalità organizzata – nella balconata di un comitato elettorale in cui si trovavano anche gli esponenti politici avversari. Tali affermazioni hanno natura squisitamente politica onde sottolineare l’indignazione nei confronti di tale personaggio da parte del candidato del Movimento Cinque Stelle. Ovviamente per denunciare i fatti accaduti era doveroso descriverli nei minimi particolari indicando anche coloro che, volontariamente o meno, si trovavano nel corso del Comizio, a fianco di tale soggetto.
Pertanto, come si evince dal quadro così tracciato si può senza dubbio sostenere che quanto affermato nel sopracitato articolo dallo scrivente, coincide con le opinioni dallo stesso espresse nelle sedi parlamentari nell’esercizio delle proprie funzioni, anche in considerazione del fatto che il medesimo è componente della Commissione Giustizia, nonché della Commissione bicamerale Antimafia; ed in ragione di ciò, tali dichiarazioni risultano coperte dall’insindacabilità parlamentare di cui all’art. 68 della Costituzione. A tal proposito va evidenziato che la Corte costituzionale italiana, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge di attuazione, ha precisato che l’art. 3, c. 1, L. 140/2003, nonostante l’ampia formulazione lessicale, può considerarsi una disposizione legislativa di attuazione finalizzata a rendere immediatamente e direttamente operativo sul piano processuale il disposto dell’art. 68, c. 1 della Costituzione.
Come sopra ricordato, le espressioni di cui all’imputazione provvisoria venivano espresse in un articolo pubblicato sul blog www.beppegrillo.it nel periodo di campagna elettorale e sono direttamente riferibili ad una circostanza verificatesi nell’ambito di un Comizio politico del Movimento Cinque Stelle al quale l’indagato presenziava in veste ufficiale. Riguardo al tenore e al contenuto di quanto scritto occorre innanzitutto rilevare che l’indagato, come correttamente riportato nell’imputazione, si è limitato a rappresentare che: “è inammissibile ed intollerabile che nel 2015 sia ancora possibile esibire in maniera così plateale comportamenti e soggetti denotanti contiguità con gli ambienti mafiosi, per di più in una campagna elettorale”.
Orbene, il significato di quanto scritto pare piuttosto chiaro e non suscettibile di interpretazioni alcune, volendosi esclusivamente evidenziare che il candidato sindaco del Partito Democratico, la deputata Maria Greco, assisteva al Comizio da un balcone sito accanto al palco a fianco del Sig. Giuseppe Giannitto, mostrandosi innanzi agli occhi dell’itera platea accanto a costui.
Il resto degli articoli di giornale che hanno spinto Giarrusso a dichiarare quelle parole sono disponibili qui nel post sui social dove il senatore parla di reati e persone specifiche. Il senatore sostiene di esser intervenuto in quanto senatore, quindi parlamentare, quindi tutelato dall’insindacabilità che mira a tutelare questa possibilità e cioè «l’attività di denuncia». Tutto chiaro no?
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