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Avrebbe voluto continuare a fare il doppio lavoro, Marcello Minenna, il dirigente Consob che la sindaca Virginia Raggi - grazie al pressing di Luigi Di Maio - è riuscita ad arruolare come super-assessore a Bilancio e Partecipate. Fino a dichiarare, al manifestarsi delle prime polemiche, che lui avrebbe rinunciato allo stipendio del Campidoglio.

Ma le opposizioni sono insorte, tre diverse interrogazioni parlamentari hanno sollevato dubbi circa il potenziale conflitto di interessi creato dal doppio ruolo, e Minenna alla fine ha dovuto cedere. Per evitare di scatenare l'ennesima bufera sulla giunta Raggi, ha rinunziato al suo ufficio, con relativo stipendio in Consob. E ieri la Commissione ha dato via libera.

Non senza qualche travaglio. "Spiace dover segnalare la totale incompetenza e insipienza su cui poggiano le noiose querelle sul mio incarico di assessore", diceva ieri l'alto funzionario in attesa del verdetto. "Sarà comunque Consob a decidere se lasciarmi completamente libero di andare, concedendomi la aspettativa che è atto dovuto, ovvero tenere conto della mia dichiarata disponibilità a continuare a collaborare con l'Autorità di vigilanza". Mentre Di Maio rincarava: "Che la Consob ostacoli Minenna per noi è medaglia al valore. Suggerisco di occuparsi dei risparmiatori truffati da Renzi".

Una impasse che, di fatto, ha paralizzato la giunta romana. Dall'atto di nomina, firmata ormai nove giorni fa, non è stata riunita neppure una volta. A oggi le delibere approvate stanno a zero. Caso più unico che raro. Il sindaco Marino, per dire, convocò il suo esecutivo il giorno dopo averlo presentato, per poi varare una sfilza di provvedimenti nella settimana successiva. Il precedessore Alemanno fece addirittura prima: gli bastarono 48 ore per indicare gli assessori e licenziare i primi atti di governo. L'esecutivo Raggi, invece, va avanti a colpi di ordinanze sindacali e determine dirigenziali.

Troppo presa, l'inquilina del Campidoglio, a sedare le turbolenze innescate dall'addio di Roberta Lombardi al mini-direttorio designato per affiancarla. Dove, in grande fibrillazione, sarebbe adesso la senatrice Paola Taverna. Pure lei uscita fortemente ridimensionata dal terremoto interno ai Cinquestelle.
Il filo diretto che la Raggi è riuscita a instaurare con Luigi Di Maio, anche mediante la nomina di un paio di assessori fedeli al vicepresidente della Camera, ha infatti reso superflui tutti gli "organismi" intermedi. L'ha cioè liberata dal tutoraggio esercitato, appunto, dallo staff romano, di cui Lombardi e Taverna erano le punte di diamante; l'eurodeputato Castaldo e il consigliere regionale Perilli nel ruolo di rincalzi. Manovra che avrebbe tra l'altro ricevuto la benedizione di Beppe Grillo, venuto a Roma proprio per decretare la fine di un modello giudicato dannoso per il Movimento.

Risultato?
 In Campidoglio si rafforza il cosidetto "Raggio magico", ovvero la stretta cerchia di fedelissimi che circonda la sindaca, capitanato dal vice Daniele Frongia. E di cui fa sempre parte l'alemanniano Raffaele Marra, l'uomo che ha scatenato lo scontro tra la sindaca e la Lombardi. L'avvocata pentastellata aveva fatto sapere di averlo revocato. Ma Marra è rimasto vice-capo di gabinetto. Sebbene senza le funzioni di vicario, affidate alla dirigente Virginia Proverbio.