L’ideologia per coprire l’incapacità
Dietro il gran rifiuto olimpico non c’è nulla: nessuno studio, nessun confronto. Una serie di messaggi preconfezionati per scappare, ancora una volta, da ciò che i cittadini hanno chiesto di fare al M5S: governare
Nei due mesi e mezzo di amministrazione della città, la giornata di mercoledì 21 settembre verrà ricordata come quella in cui la sindaca di Roma e quella parte di giunta che ha resistito alla guerra fratricida del Movimento 5 Stelle hanno messo in mostra la loro totale inadeguatezza. Il no alla candidatura della Capitale alle Olimpiadi 2024 era una notizia nell’aria da tempo. A dispetto delle false promesse lanciate in campagna elettorale dalla Raggi, quando assicurava che sarebbe stata lei la prima a promuovere un referendum per far decidere ai cittadini romani, le parole-diktat dei vari Grillo, Di Battista e Di Maio avevano già anticipato quanto dichiarato oggi dalla prima cittadina.
Di tempo, per prepararsi un po’, dunque, ce n’era eccome. Tutto il periodo della cosiddetta ‘tregua olimpica e paralimpica’, come l’ha definita la stessa Raggi. Più di un mese per studiare un minimo il dossier e dare almeno l’impressione di sapere di cosa si stesse parlando.
E invece, la conferenza stampa svoltasi nella Sala della Protomoteca del Campidoglio è stata a tratti imbarazzante. Una serie di slide già preconfezionate da tempo hanno accompagnato le parole stentate della sindaca e del suo vice Daniele Frongia, le poche risposte fornite ai giornalisti sono state monosillabiche, provocatorie e superficiali. Dietro a inutili sorrisi di circostanza e ai vari ed entusiastici “salve” riservati ai cronisti che gli ponevano domande nel merito, la sindaca e il suo braccio destro si esibivano nelle più pirotecniche acrobazie populistiche e demagogiche, con lo sguardo costantemente rivolto al passato.
Lo studio della Oxford University scaricato da internet, le falsità sul debito ancora da saldare delle Olimpiadi del 1960 (!), le promesse di occuparsi degli impianti sportivi della città e delle periferie grazie alla leggendaria lotta agli sprechi, a discapito delle “Olimpiadi del mattone che favoriscono i soliti noti, i palazzinari, le ruberie”. Un ritornello immediatamente rimpallato sui social dai leader pentastellati, con milioni di follower, al fine di far diventare virale un messaggio ideologico. Nel merito, niente. Nessun accenno tecnico che spieghi, nel dettaglio, quale sia la parte poco convincente del dossier olimpico su cui il comitato, il governo e tutti gli altri attori istituzionali stanno lavorando da due anni.
Solo slogan. E, soprattutto nessun confronto. Né con il comitato olimpico, né con nessun altro. Tutto viene deciso nelle segrete stanze del Campidoglio e di chissà quali altri palazzi. Se la sindaca o chi per lei non fosse scappata e non avesse disertato l’incontro previsto con Giovanni Malagò e Luca Pancalli (uno sgarbo istituzionale senza precedenti), avrebbe scoperto che le Olimpiadi 2024 sarebbero state a costo zero per i cittadini romani, che averebbero fornito enormi opportunità lavorative, specie per i più giovani, che avrebbero portato allo stanziamento di risorse concrete per sistemare gli impianti sportivi, le strade e le linee della metropolitana, che per la prima volta nella storia avevano ottenuto il via libera di tutte le associazioni ambientaliste e delle organizzazioni sindacali.
Avrebbe magari anche scoperto che non sempre è sufficiente fare copia-incolla da Wikipedia per scrivere una mozione che condiziona il futuro di un’intera generazione di cittadini romani. Già, perché nella delibera che il Consiglio comunale capitolino sarà chiamato ad approvare sono citati gli esempi di Boston e Amburgo, che avrebbero ritirato la propria candidatura olimpica. Peccato che le due città in questione non abbiano mai neppure accettato la candidatura olimpica e non abbiano fatto alcun passo indietro. Per quanto riguarda Boston, infatti, è stato il comitato olimpico americano a dirottare attenzioni e risorse sulla candidatura di Los Angeles, mentre per Amburgo sono stati i cittadini (come imposto dallo statuto del Land) a decidere di non candidare la città. Avrebbe forse capito che fermarsi ora che “siamo al trentesimo chilometro di una maratona”, per citare le parole di Malagò, comporta più danni che benefici, non solo di credibilità nei confronti della comunità internazionale.
Da inguaribili ottimisti, speriamo ancora che in qualche modo questo strappo irresponsabile possa essere ricucito, anche se le speranza sono davvero al lumicino. Per ora quel che resta in mano ai cittadini romani è un’amministrazione capitolina completamente allo sbaraglio, con una giunta ancora da formare, tre mesi dopo le elezioni che avrebbero dovuto portare la “rivoluzione” in città. Una banda di dilettanti allo sbaraglio, iper-ideologizzati, incapaci di governare piccoli e grandi fenomeni nell’interesse della popolazione. Quel che resta è una giornata di ordinaria follia.
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