Gogna mediatica e mala giustizia: finisce l’incubo di Ilaria Capua
Si è conclusa con un totale proscioglimento l’accusa ad una delle più famose ricercatrici italiane di aver diffuso l’influenza aviaria per guadagnare dalla vendita dei vaccini
Trafficanti di virus. Così l’aveva definita l’Espresso titolando a tutta pagina una inchiesta che la accusava di “una pluralità indeterminata di delitti di ricettazione, somministrazione di medicinali in modo pericoloso per la salute pubblica, corruzione, zoonosi ed epidemia”. Oggi Ilaria Capuainvece è stata prosciolta perché “il fatto non sussiste” ma la ferita per aver subito un’ingiustizia è ancora aperta: “Questa storia ha sconvolto la mia vita“.
I fatti
La storia comincia circa 10 anni fa, ma i particolari sono diventati noti alla cronaca soltanto nel 2014 quando il giornalista Lirio Abbate ottenne parte delle carte dei magistrati e li pubblicò. Secondo i carabinieri del NAS e i magistrati, la ricercatrice italiana insieme a suo marito, avrebbero collaborato con alcune società farmaceutiche, in particolare la Merial, arrivando a diffondere il virus dell’aviaria in alcuni allevamenti del nordest d’Italia in modo da causare un’epidemia e aumentare le vendite dei vaccini.
Un’accusa gravissima che, una volta balzata alla cronaca, ha indignato l’opinione pubblica e la politica. La Capua, oltre ad essere un ricercatrice di fama internazionale, infatti, è stata anche, fino allo scorso anno, una deputata della Repubblica nelle fila di Scelta civica. Dai banchi del Parlamento le accuse più dure, con tanto di richiesta di dimissioni da parte del gruppo parlamentare dei 5 stelle e una serie infinita di insulti sui social. Sulla pagina Facebook “Noi votiamo 5 Stelle”, i commenti in quei giorni erano di questo livello: “Poi la fanno ministro della sanità, troia”. “Grandissima zoccola!” “Se la notizia fosse vera, meriterebbe di iniettarglielo a forza il virus” “Hija de puta”. “Iniettatela a lei!!!!” “Alla gogna!!!!”.
L’inchiesta
La procura di Roma nel 2015 chiese il rinvio a giudizio per i 41 indagati, l’inchiesta venne poi trasferita in varie Procure per ragioni di competenza territoriale, tra cui quella di Verona che si è espressa prosciogliendo tutti gli indagati.
L’inchiesta si basava quasi completamente sulle intercettazioni telefoniche, visto che altre prove non erano state trovate, e secondo alcune riviste scientifiche, sopratutto estere, l’indagine presentava dei grossolani errori. Secondo la rivista Science l’accusa che la Capua avesse aiutato una società privata per fare profitti con i vaccini, non era sostenibile. Il motivo è semplice: la ricercatrice è infatti conosciuta per essere a favore della massima condivisione e fruizione dei risultati delle ricerche. Nel 2006 fece clamore la sua decisione di rendere pubblico il Dna del virus dell’aviaria e lo stesso sta facendo oggi con i dati a sua disposizione riguardanti Zika, progetto su cui sta lavorando in America, dove si è trasferita da qualche settimana.
Ciò che sorprende e allibisce è che, come mette in evidenza un articolo di Paolo Mieli sul Corriere della Sera, la Capua in tutti questi anni non sia mai stata interrogata. Mai, nemmeno una volta hanno ritenuto necessario ascoltare la sua versione. Eppure mentre scandagliavano ogni sua chiamata, anche quelle con i suoi famigliari, le hanno rovinato la vita. Oggi in un’intervista a la Repubblica, la ricercatrice ammette tutto il suo sconforto e fa un bilancio della sua vita: “La mia carriera politica distrutta, un gruppo scientifico di prim’ordine smembrato. Io mi sono trasferita qui in Florida, il mio braccio destro lavora a Vienna. Quarantuno persone perbene indagate e fatte fuori dalle loro posizioni senza troppi complimenti, le parcelle degli avvocati. Sono contenta che sia finita, non ne potevo più di questa storia. Che comunque mi ha insegnato molto”.
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