La Lega azzoppata ora ha paura di essere fagocitata
I risultati della tornata elettorale ridimensionano molto le ambizioni di Salvini e soci. E l’appoggio esplicito garantito ai candidati M5S gli si potrebbe ritorcere contro
“Maroni aveva detto che Renzi si sarebbe dovuto dimettere in caso di sconfitta elettorale a Milano. Non solo a Milano abbiamo tenuto ma abbiamo anche conquistato la vittoria a Varese. Forse ora è lui che dovrebbe fare un passo indietro“. Le parole sono di Alessandro Alfieri, segretario del Pd lombardo, e fotografano una situazione che per la Lega Nord rappresenta un vero e proprio crollo senza precedenti.
Il Carroccio governava ininterrottamente la città di Varese da 23 anni, nessuna amministrazione di centrosinistra aveva mai sfiorato la vittoria dal dopoguerra a oggi. La vittoria di Davide Galimberti, a capo di una coalizione di centrosinistra guidata dal Partito Democratico, era imprevista e inaspettata, anche perché il capolista della Lega qui era niente meno che Roberto Maroni, il figlio prediletto della Lega varesina, attuale presidente della Regione Lombardia.
“Quella di Varese – ha commentato il leader del Carroccio Matteo Salvini – è una sconfitta che brucia”. Ma quella di Varese non è l’unica sconfitta che brucia, anzi. Questo colpo si inserisce in un contesto preoccupante per la Lega che, numeri alla mano, è forse il vero partito sconfitto da questa tornata elettorale.
A scanso di equivoci, occorre chiarire che la Lega esiste e in alcune (poche) realtà ottiene un buon successo elettorale e raccoglie ampio consenso. E’ stato così a Novara, a Savona, in alcuni centri minori del Piemonte e della Lombardia. A Cascina, in provincia di Pisa, ottiene una vittoria simbolica, la prima della storia in Toscana, in una delle roccaforti rosse della Regione.
Al netto di queste poche luci, le amministrative 2016 verranno ricordate dalle parti di Via Bellerio soprattutto per le tante ombre. Ombre sul lato dei numeri e ombre, soprattutto, dal punto di vista politico, che fanno suonare il campanello d’allarme tra i vertici della Lega. Di Varese abbiamo già detto. Ma pesa anche la sconfitta di Milano, su cui tutto il centrodestra puntava molto, la percentuale molto bassa ottenuta nel capoluogo lombardo, la gestione scellerata delle candidature a Roma, l’impossibilità di fare il colpaccio a Bologna, la sostanziale inesistenza a Torino.
I segnali politici che arrivano da tutta Italia non possono essere ignorati. La Lega si ritrova inaspettatamente chiusa in una inedita morsa. Da una parte il ringalluzzito centrodestra per così dire ‘moderato’, dall’altra il Movimento 5 Stelle.
La prima minaccia si è concretizzata soprattutto a Milano, ma ha lasciato traccia anche a Trieste, Bologna e Roma. In sostanza, nelle realtà importanti, il centrodestra è competitivo solo ed esclusivamente quando presenta candidati dal profilo rassicurante e lontano dalle istanze estremiste e populiste della Lega. E’ successo a Trieste, dove ha vinto il forzista Dipiazza, è successo a Milano, dove Stefano Parisi è andato vicinissimo ad una clamorosa vittoria contro Beppe Sala, è successo (all’opposto) a Bologna, dove la leghista Borgonzoni non è riuscita a conquistare i consensi sufficienti per ribaltare il risultato del primo turno.
E a giudicare dalle prime dichiarazioni dello stesso Salvini, sembra che il problema sia stato colto eccome. Non è un caso, infatti, che il giorno dopo il voto dei ballottaggi, il ‘felpato’ si sia affrettato ad affermare che Parisi “farà il capo dell’opposizione a Milano” escludendo una sua ‘promozione’ ad alfiere del centrodestra a livello nazionale, come possibile erede politico di Berlusconi a capo della coalizione. Anzi, Salvini ci mette il carico, affrancandosi dalle posizioni moderate dell’ex city manager e dei suoi più strenui sostenitori: “Mi sono morso la lingua quando Albertini dice che la Lega è irrilevante, quando Parisi dice no alla Brexit, che bisogna salvare l’euro e che bisogna salvare l’Europa. In quei momenti ho dovuto respirare fino in fondo, contare fino a dieci e poi pensare a qualcos’altro”.
Parole che stridono con le dichiarazioni rilasciate dal capogruppo di Forza Italia alla Camera Renato Brunetta: “Lo dice la parola stessa, dobbiamo essere centro-destra, cioè l’equilibrio deve essere al centro, più la destra di Salvini e della Meloni, e di tutte le altre formazioni che però devono sfondare al centro. Il destra-centro lepenista perde e mi dispiace per il mio amico Salvini, il centro-destra che ha il suo perno, il suo baricentro nel cento aperto al civismo, al civismo che ha vinto in tante città italiane, vince”.
L’altra parte della tenaglia, per la Lega, è rappresentata dal Movimento 5 Stelle. L’appoggio esplicito che Salvini ha garantito ai candidati pentastellati, in particolare a Roma e a Torino (dove al primo turno il Carroccio è stato totalmente irrilevante), rischia seriamente di aver prodotto una situazione che rischia ora di sfuggire di mano. In nome di un’alleanza anti-Renzi e anti-sistema, infatti, Salvini ha promosso un travaso di voti che questa volta è stato occasionale ma che in futuro potrebbe diventare più stabile. Davanti ad una scelta tra un movimento che ha possibilità di vittoria (M5S) e un altro che invece ne ha molte di meno (Lega), perché gli elettori (che fanno notare molti analisti votano sempre meno in base alla fedeltà politica) dovrebbero scegliere il secondo invece che il primo?
Per Salvini saranno giorni di riflessione, i timori di essere fagocitati, da una parte o dall’altra, si fa sempre più concreto. Sarà decisivo capire se e come penserà di uscire da questa tenaglia.
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