martedì 21 giugno 2016

Divieto di retromarcia

Amministrative
Una foto fornita dall'ufficio stampa di Palazzo Chigi mostra la conferenza stampa del premier Matteo Renzi a Bruxelles, 21 marzo 2014.
ANSA/Filippo Attili - US PALAZZO CHIGI - EDITORIAL USE ONLY
Oggi gli avversari del Pd si chiamano rabbia e disillusione
 
Il Partito Democratico governa l’Italia, sta cambiando il paese e deve farlo con ancora più decisione e rapidità. È questo il modo migliore per rispondere allo schiaffone preso, in particolare a Roma e Torino. L’idea che innestando la marcia indietro il Pd possa ritornare ad un passato luminoso sarebbe una fantasia (forse) consolatoria ma del tutto inefficace. Perché quel passato non tornerà, ma soprattutto perché nel frattempo il mondo è cambiato intorno e dentro di noi.
Attorno al Partito Democratico non c’è più il centrodestra dello scorso ventennio, guidato da un leader indiscusso e capace di unire antipolitica e conservazione nel berlusconismo. Un avversario che era ben riconoscibile, con una sagoma precisa e ingombrante, e che poteva essere affrontato con strumenti politici e di mobilitazione tutto sommato tradizionali.
Oggi gli avversari del Pd si chiamano rabbia e disillusione: la rabbia di chi non avverte miglioramenti sensibili nella propria vita quotidiana, la disillusione di coloro che pensano che la politica sia tutta da buttare nella pattumiera. Sono avversari più sfuggenti e meno razionali, che vengono arruolati ora dai Cinque Stelle ora da una destra populista che insegue il grillismo sul suo terreno. Noi sappiamo che le nuove amministrazioni Cinque Stelle non potranno che ripetere i guasti già sperimentati a Livorno e dovunque finora vi siano stati sindaci grillini.
Ma questo non può e non deve bastare, così come non funzionerebbe la scommessa del “tanto peggio, tanto meglio” sui tavoli comunali di Roma o Torino. L’unica strada realistica ed efficace per rispondere alla rabbia e alla disillusione, per un partito come il Partito Democratico che vuole restare forza di governo e cambiamento della realtà, è trasformare l’Italia nella direzione in cui la stiamo trasformando: facendo di più per la crescita economica, per la riduzione della pressione fiscale, per la creazione di nuovi posti di lavoro, per rendere la politica meno distante e meno indige sta. Il che significa l’esatto contrario dell’andare avanti come se niente fosse, perché ciò che serve è semmai rendere più veloci e più visibili le riforme che abbiamo avviato e che devono essere approfondite e moltiplicate con determinazione ancora maggiore. Anche perché i tempi di reazione dello “zapping elettorale” si sono ulteriormente accorciati rispetto al passato, mentre l’Italia è sempre più impaziente di vedere risultati e soprattutto di avvertirli sulla propria pelle nel quotidiano.
Conosciamo bene le due diverse alternative alle riforme. Quella della cosiddetta “sinistra- sinistra”, secondo cui il Pd dovrebbe fondamentalmente conservare l’esistente, è stata demolita dal voto degli italiani ovunque si sia presentata con propri candidati. L’altra, quella grillina e populista, vorrebbe anch’e ssa tornare al passato ma attraverso la strada della devastazione delle istituzioni repubblicane e del trionfo di un mix dove tutto è insieme al contrario di tutto. ù
Al PD resta l’unica strada che fa bene al paese (e a noi stessi): riforme, riforme, riforme. Se molto è cambiato intorno a noi, altrettanto è accaduto dentro un Partito Democratico nel quale gli ultimi tre anni hanno avuto l’impatto di un intero ventennio. Il Pd è ormai un partito che si muove in campo aperto, senza più il conforto di recinti identitari che non valgono più per nessuno e che sono ovunque e definitivamente saltati. Un partito che vive attraverso le cose concrete che riesce a realizzare per l’Italia, forte delle proprie idealità e della propria storia ma sapendole trasformare in cambiamenti reali della vita quotidiana degli italiani.
È una verità conosciuta dai nostri militanti così come dai nostri elettori, ma soprattutto è la nuova natura di una mutazione positiva che deve essere accompagnata dalla costruzione di classi dirigenti, strumenti di formazione, cultura politica e da tutto quello che compone l’architettura complessa di un’istituzione politica. È un lavoro appena avviato, articolato e appassionante, al quale sappiamo tutti che non c’è alternativa che non sia quella di abbandonare il campo a chi vuole riportare l’Italia al passato della palude.

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