Sospesi dal lavoro senza nemmeno ricevere una mail, una raccomandata, una lettera formale. Che fossero licenziati lo hanno saputo soltanto quando sono arrivati in ufficio, dalla bocca di un dirigente che si rifiutava di firmare un documento per attestare quel giorno la presenza dei lavoratori. I quali sono stati costretti a chiamare i carabinieri.
Non è accaduto in una fabbrica qualsiasi bensì nella sede nazionale di Rifondazione Comunista, dove giovedì mattina 42 dipendenti del partito hanno appreso il loro destino dopo ore di attesa poiché nessuno si era premurato di avvisarli.
Sconvolti e arrabbiati, hanno chiesto un incontro immediato con il segretario di Rifondazione, Paolo Ferrero, per chiarire la vicenda ma Ferrero ha risposto che non era necessario poiché "la questione è tecnica e non politica".
E così i 42 lavoratori - tecnici, informatici, giornalisti e addetti alla vigilanza, centralinisti - hanno deciso di denunciare pubblicamente il loro travaglio lavorativo alle dipendenze di un partito "nato per difendere i diritti dei lavoratori" che negli ultimi anni, scrivono, avrebbe trattato i suoi dipendenti "alla stregua di nemici da combattere".
In una lettera aperta pubblicata ieri pomeriggio su Facebook, i firmatari accusano il partito di non avere mai accolto le richieste dei lavoratori in cassintegrazione dal 2009: "Nonostante ancora dipendenti del partito, non siamo mai stati contattati né invitati alle tante assemblee che sappiamo si sono svolte con gli altri lavoratori". E Ferrero, aggiungono, non ha mai voluto incontrarli. Fino all'epilogo del 2 maggio, quando hanno dovuto chiedere l'intervento dei carabinieri per ottenere un semplice certificato di presenza. E concludono amaramente: "Faremo valere i nostri diritti con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione compreso, se sarà necessario, il ricorso al Tribunale".
Proprio su Facebook il segretario Ferrero ha voluto commentare la lettera porgendo le scuse per "il casino" accaduto la mattina del 2 maggio:
"L'incontro del 30 aprile per affrontare insieme il problema della cassintegrazione non ancora rinnovata è stato fatto saltare dalle organizzazioni sindacali". Perché allora non incontrare almeno informalmente i dipendenti per rassicurarli? Anche per questo il leader di Rifondazione ha una risposta: "Essendoci una trattativa sindacale in corso era meglio evitare di avere più sedi di discussione in cui si rischiava di non capire più nulla".
Il testo integrale della lettera dei cassintegrati del Partito della Rifondazione Comunista
Ieri è andato in scena l'ultimo (spero) penoso atto della vicenda di noi cassintegrati del Partito della Rifondazione Comunista. Essendo scaduta la cassa integrazione il 30 aprile scorso, non avendo ricevuto ancora le lettere di licenziamento già preannunciate dal Prc con l'avvio della procedura di mobilità per 42 lavoratrici e lavoratori, né nessun'altra comunicazione da parte del Prc, ieri mattina alle h. 9.00 ci siamo presentati, come prescritto dalla legge, sul nostro posto di lavoro presso la Direzione Nazionale in viale del Policlinico.
Dopo tre anni e sette mesi di cassa integrazione (a 0 ore), ci aspettavamo di essere accolti da un qualche dirigente o responsabile che ci dicesse cosa potevamo fare invece abbiamo aspettato nell'atrio per circa tre ore l'arrivo del tesoriere nazionale Mimmo Caporusso il quale, una volta arrivato ci ha fatto leggere una lettera-a noi mai pervenuta-nella quale è scritto che tutti i dipendenti interessati dalla procedura sono "sospesi dal lavoro e dalla retribuzione" a partire dal primo maggio.
Alla richiesta reiterata più volte di registrare la nostra presenza sul posto di lavoro per tutelarci da una possibile accusa di assenteismo ci è stato risposto che nessun documento sarebbe stato firmato e che potevamo andarcene. A quel punto non abbiamo avuto altra scelta che chiamare i Carabinieri i quali, arrivati in Direzione, hanno messo a verbale la presenza di ognuno di noi sul posto di lavoro.
Siamo in cassa integrazione dal settembre 2009. Nessuno di noi aveva incarichi politici, siamo lavoratori come tutti gli altri: centralinisti, tecnici, informatici, segretari di dipartimento, addetti alla vigilanza, giornalisti.
Nel 2009 ci fu comunicato dal Segretario Paolo Ferrero che il Prc avrebbe fatto tagli orizzontali del 50% su tutte le spese e che quindi il 50% del personale sarebbe stato licenziato da un giorno all'altro. Iniziarono le trattative. Proponemmo contratti di solidarietà e ci furono negati. Proponemmo di mettere a frutto alcune sedi di proprietà del Prc per aprire cooperative o associazioni che fornissero servizi da un lato e reddito dall'altro coinvolgendo anche i territori per iniziare così un processo di trasformazione prima di tutto politica di un partito che ormai era fuori dal parlamento e affrontare con una pratica diversa le contraddizioni aperte dalla gestione che aveva portato a quell'epilogo.
Sordi a quella che tuttora riteniamo essere la sostanza di tutta la vicenda ci risposero che le sedi non si potevano toccare perché servivano "a fare politica" (la stessa vecchia politica che ha portato all'esaltante successo della lista Ingroia!) salvo poi averne già vendute parecchie per un valore di 15 milioni di euro e deliberare la vendita di altre 26 per un valore stimato di quasi 7 milioni di euro. Quando infine arrivammo a ottenere almeno la cassa integrazione proponemmo ovviamente, come succede in tutti i posti di lavoro, la rotazione e ancora una volta ci fu risposto che era impossibile. Così, senza considerare né le professionalità, né i carichi familiari, né l'anzianità di servizio scelsero le persone da tenere a lavoro basandosi esclusivamente su criteri di fedeltà alle aree politiche interne e gli altri li misero in cassa integrazione a zero ore.
In questi tre anni e sette mesi abbiamo chiesto varie volte di avere un confronto serio con Paolo Ferrero e gli altri dirigenti del Prc. Confronto che abbiamo chiesto di nuovo ieri mattina, e al quale di nuovo Ferrero si è sottratto con l'alibi che la questione è tecnica e non politica. Nonostante ancora dipendenti del partito, non siamo mai stati contattati né invitati alle tante assemblee che sappiamo si sono svolte con gli altri lavoratori. Siamo stati trattati alla stregua di nemici da combattere e ciò che è successo ieri è un epilogo degno dei peggiori padroni.
Faremo valere i nostri diritti con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione compreso, se sarà necessario, il ricorso al Tribunale.
Eravamo dipendenti di un partito nato per difendere i diritti dei lavoratori, oggi ci ritroviamo a dover chiamare i Carabinieri per difendere i nostri diritti da quello stesso partito.