Non solo i musei, date l’Italia in mano agli stranieri (che magari ci liberano dal Tar del Lazio)
Nel giorno in cui Claudia Ferrazzi viene chiamata da Macron all’Eliseo, il tribunale capitolino boccia la nomina di direttori stranieri nei musei italiani. Una follia che rischia di bruciare una delle migliori riforme degli ultimi anni. Ma che, se non altro, fa capire dove sta il nemico
25 Maggio 2017 - 10:32
Notizia numero uno: Claudia Ferrazzi, quarantenne bergamasca che dopo una brillante carriera internazionale era stata scelta dal Comune di Milano a occuparsi di marketing territoriale, è stata chiamata all’Eliseo dal neo Presidente francese Emmanuel Macron - la patria dello sciovinismo, secondo gli stereotipi: tenetevelo a mente - per occuparsi di cultura nel suo staff.
Notizia numero due: mentre Claudia Ferrazzi faceva le valige, l'ineffabile Tar del Lazio ha deciso, con due sentenze, che la nomina di cinque dei venti direttori scelti dal ministero della cultura per guidare i super musei italiani fosse illegittima. Ergo, a meno di ricorsi al Consiglio di Stato, anche questi direttori dovranno fare le valige e tornare a casa, per lasciare il posto ad altri, in possesso di una qualifica evidentemente fondamentale (sarcasmo) per gestire bene un museo: la carta d’identità italiana.
Tra i direttori coinvolti, a quanto si legge, c’è Gabriel Zuchtriegel, trentaquattrenne, alla guida del parco archeologico di Paestum, che nel 2016 ha fatto +40% di ingressi e +70% di visitatori, grazie agli orari prolungati fino a mezzanotte, alle rassegne musicali e teatrali, e alle attività didattiche. E c’è pure Peter Assman, sessantunenne austriaco che a Palazzo Ducale di Mantova nello stesso anno ha fatto segnare un +51%. Per la cronaca, pare che il ricorso sia partito da una candidata non selezionata per il ruolo a Taranto, dove è stato scelta Eva Degl'Innocenti, archeologa toscana di 39 anni che ha raddoppiato i visitatori del MarTa.
Tra i direttori coinvolti, a quanto si legge, c’è Gabriel Zuchtriegel, trentaquattrenne, alla guida del parco archeologico di Paestum, che nel 2016 ha fatto +40% di ingressi e +70% di visitatori, grazie agli orari prolungati fino a mezzanotte, alle rassegne musicali e teatrali, e alle attività didattiche. E c’è pure Peter Assman, sessantunenne austriaco che a Palazzo Ducale di Mantova nello stesso anno ha fatto segnare un +51%
Un po’ di storia: sono tutti figli della riforma dei musei italiani, partita ufficialmente il 23 dicembre del 2014, con un decreto firmato dal ministro Dario Franceschini. In sintesi: 20 musei autonomi - cui se ne sono aggiunti altri dodici - con un direttore per ciascuno selezionato con bando internazionale e diciassette poli regionali per far parlare tra loro le realtà pubbliche e quelle private con l’obiettivo di dar vita a un’offerta integrata. Tutto si può dire, tranne che quella riforma non abbia funzionato. Nel 2016 ci sono stati 44,5 milioni di visitatori e incassi per oltre 172 milioni di euro. Più 4% e più 12%, per la cronaca, rispetto a un 2015 che già aveva fatto segnare cifre record.
Se c’era una cosa di cui potevamo andare orgogliosi, insomma, era questa. Una riforma che era riuscita a scardinare le vecchie e polverose logiche di gestione della cosa pubblica, che aveva premiato il merito indipendentemente dall’età e dalla nazionalità e che aveva pure prodotto risultati. Tutte cose che rischiano di essere spazzate via dal proceduralismo kafkiano e distruttivo delle nostre magistrature borboniche, da dirigenti pubblici che fanno nomine di direttori esteri senza premurarsi di cambiare prima le regole e da politici che non hanno mai fatto nulla, prima d'ora, per togliere un po' di potere ai mandarini di Stato, anzi. Non è mai troppo tardi, certo: ma se non lo capiamo adesso, che dentro le burocrazie romane si incista il peggior nemico dell’Italia, non lo capiamo più.
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