sabato 11 febbraio 2017

Renzi sceglie: “Non ci sto a fare il bersaglio per mesi”. Verso il Congresso?

Pd
ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI-TIBERIO BARCHIELLI
Le dimissioni del segretario per aprire la fase congressuale. Lunedì la Direzione
 
Per aprire la fase congressuale anticipata il segretario deve dimettersi. Oppure occorre che egli venga sfiduciato dall’Assemblea nazionale. Dato che questa ipotesi è irrealistica, l’unico modo per andare al Congresso passa per le dimissioni di Matteo Renzi.
Anche scontando un problema d’immagine, è una strada che il segretario sembra ormai disposto a percorrere (“Non ci sto a fare il bersaglio per mesi”, dice) – nel caso in cui dal dibattito della Direzione di lunedì 13 (ore 15 –diretta streaming, liveblogging e instant comments su Unità.tv) dovesse emergere una contrarietà all’ipotesi di elezioni a giugno.
L’ex premier sembra ancora preferire questa seconda ipotesi ma avrebbe deciso di non forzare. Nessuna “conta” elezioni sì-elezioni no, dunque.
Ma ci si aspetta comunque un dibattito chiaro, sul punto: e ad oggi la previsione è che l’orientamento prevalente sia il no ad elezioni. Il documento di 40 senatori (della maggioranza del Pd) lo ha fatto capire chiaramente. Senza dire della irremovibile contrarietà della sinistra di Bersani, con la quale Renzi non vuole rompere. Il governo Gentiloni andrebbe dunque avanti, magari con un Pd più unito – un elemento che il premier non vedrebbe certo di cattivo occhio – e con più tempo per cercare un difficile accordo su una legge elettorale “omogenea” come ha chiesto Sergio Mattarella e messo per iscritto dalla Corte Costituzionale nelle motivazioni della sentenza sull’Italicum.
Il segretario però non accetta l’altro “no” della minoranza, quello al congresso nei prossimi mesi. Bersani vorrebbe il Congresso in autunno, comunque dopo le amministrative di giugno: “Ma non possiamo stare fermi senza far niente”, è il ragionamento di Renzi. Niente elezioni? Bene, allora andiamo a un definitivo chiarimento interno con il Congresso.
In tempi rapidi: inizio aprile la Convenzione (sulla base dei risultati delle votazioni dei circoli), e poi  ai primi di maggio le primarie. Con un indispensabile corollario: tutte le componenti sono tenute a rispettare il risultato congressuale e il segretario eletto (anche se nessuno può escludere che all’indomani delle primarie riparta la giostra delle polemiche interne: non fu così dopo la vittoria di Renzi dell’8 dicembre 2013?).
Tempi stretti, dunque, ma praticabili. Piattaforme chiare, candidature libere (ovviamente Renzi, ma contro chi non è ancora chiaro: Speranza? Emiliano? Rossi?), campagna nei circoli, primarie aperte. Ci potrebbero essere altri candidati dell’attuale maggioranza? Tutto è possibile. Allo stato, però, non pare probabile.
Intanto il partito verrebbe “retto” dal presidente dell’Assemblea nazionale, e verosimilmente presidente dell’apposita commissione congressuale, ma chiaramente in tandem con il segretario dimissionario.
A tre giorni da una riunione della Direzione chiamata comunque a segnare un passaggio cruciale nella vicenda del Pd, la febbre potrebbe scendere dinanzi alla prospettiva di un Congresso chiamato a sciogliere tutti i nodi. Al Nazareno lo sperano.

Nessun commento:

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...