I vizi Capitali
Roma è una grande questione nazionale, è fondamentale per il paese che sia ben governata. Quel che colpisce finora è invece l’inconsistenza della sfida grillina
Il buon giorno purtroppo si è visto dal mattino, e questa giunta Raggi, che ieri ha offerto un’altra prova di avvitamento sulle ambiguità, non tramonterà velocemente ma è destinata a navigare a vista e a slittare su ogni buccia di banana che si troverà tra i piedi.
Roma è una grande questione nazionale, è fondamentale per il paese che sia ben governata. Quel che colpisce finora è invece l’inconsistenza della sfida grillina. Con due terzi del consiglio comunale, i nuovi continuano a cincischiare e faticano ancora a convincersi di dover governare la più grande città italiana. Continuano a fare (giustamente) le pulci alle classi dirigenti che li hanno preceduti nell’Aula dedicata a Giulio Cesare, ma battono vie ordinarie riuscendo solo a dare l’idea della continuità con il declino delle amministrazioni capitoline degli ultimi anni. Non c’è traccia di un progetto e di una visione.
La vittoria sicuramente è stata più grande di loro, ma la sindaca, a differenza della sua collega di Torino, appare già tramortita. Più che da strappi e rottamazioni di un repulisti generale di cui c’è urgente bisogno, sembra travolta da tutori e controllori, prigioniera di faide e guerriglie interne al confuso mondo pentastellato, colpita dall’insinuazione continua sull’intreccio con il passato prossimo e remoto. Lo stesso rimpiazzo con donne e uomini come da manuale Cencelli a 5 stelle che sostituisce ormai con la finta democrazia del curricula quel che un tempo si chiamava mercato delle vacche, finora non indica e non pratica un nuovo corso con nuove idee.
Il punto politico però è che Raggi aveva promesso ai romani di tutto, di più e subito. Nel lungo giro elettorale esternava in continuazione facendo immaginare che schioccando le sue dita arrivassero le soluzioni (funivia urbana compresa). Non ha alle spalle gli errori commessi e i fallimenti conseguiti ma semmai un senso di superiorità sempre ostentato. E ieri, nel consiglio comunale straordinario sui rifiuti, si è fatta in quattro ma solo attaccando e coprendo le sue nomine controverse e rinviando le soluzioni, finendo così nel lungo elenco dei soliti vizi capitali. Ha continuando a coprire l’assessore Muraro con l’armamentario difensivo classico da partitino clientelare della prima repubblica. Ha colpito duro l’Ama e il “ras” delle discariche Cerroni ma con l’imbarazzo massimo del suo assessore ai rifiuti che dal suo curricula non può resettare le responsabilità del passato.
Se «Ama dormiva», come dice Raggi, Muraro russava. La solita sindrome del complotto, ormai un riflesso pavloviano dei grillini, non basta più a giustificare i ritardi e le omissioni. E per dare l’idea dello scarso senso della realtà, è bastato vedere la Raggi passare da «adesso Roma è più pulita» all’allarme sul «rischio sanitario dietro l’angolo».
Che fare? Proposte concrete? Mah, c’è un impegno straordinario chiesto ai dipendenti Ama, ci sarà un altro «tavolo» da aprire con la Regione, per il resto è un arrivederci Roma forse a dicembre. Intanto la pulizia in città è quella che vediamo tutti, l’export della monnezza romana procede alla grande con l’85% affidato alla gestione primitiva della raccolta in forma indifferenziata avviata in modo caotico in molti impianti di selezione tra Roma e il resto del Lazio, da cui proseguono verso discariche e termovalorizzatori nel Nord dell’Italia e in altri Paesi europei. È stata e resta l’unica soluzione dopo la chiusura della discarica di Malagrotta. Servirebbe un bagno di umiltà e concretezza, servirebbe la capacità di prendere decisioni per mettere fine ad un sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti indegno di una moderna capitale europea, fragilissimo e costosissimo per i romani. Servirebbe riorganizzare la filiera industriale (Raggi può chiedere anche agli ecologisti europei più realisti e hard di tutti come progettare e realizzare gli impianti che servono, termovalorizzatori compresi) e non il rinvio delle responsabilità che dura da vent’anni. Ma qui si misura la capacità del Movimento 5 Stelle di uscire fuori dagli slogan e dai no a tutto.
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