mercoledì 20 luglio 2016

La cacciata del dissenso M5S. Ottocento tra espulsi ed emarginati

Tinazzi, fondatore di un meet up storico: almeno 500 sbattuti fuori già prima del Regolamento nullo”. A Roma ormai solo 300 attivisti. E ora a Napoli un’azione legale collettiva
ANSA
Dalla nascita (2009) a oggi nel M5S si è celebrata una delle più grandi operazioni di epurazione in una forza politica italiana (nella foto, Grillo il 21 aprile 2013 in piazza Santi Apostoli a Roma)


20/07/2016
«Nel M5S ci sono almeno 500 persone sbattute fuori prima di un certo regolamento e comitato d’appello... o procedura minima di facciata». L’uomo che fornisce queste cifre sa molto di tutta la storia delle origini del Movimento cinque stelle. Si chiama Ernesto Tinazzi, è il fondatore del meet up 878, uno dei meet up storici - e anche uno dei più discussi e attaccati dai media mainstream. L’«878» era una lista, laziale, di 511 aderenti, la gran parte dei quali superortodossi e convinti del progetto delle origini di Grillo e Casaleggio, al punto che a Milano le analisi di Tinazzi erano ascoltate con attenzione. Era considerato un influencer. La sua truppa, forte e anche capace di intimorire assai nelle dinamiche social. Quindi apprezzatissimo da Casaleggio. Poi accadde qualcosa. Dissero ai due fondatori che Tinazzi si stava facendo un suo simbolo - cosa non vera - fatto sta che la Casaleggio diffidò tutto il meet up. Subìto questo trattamento, Tinazzi avrebbe potuto organizzare azioni roboanti, cause persino di gruppo. Non lo ha fatto. Parentesi: dal suo meet up sono venuti tantissimi deputati e senatori, ora lieti nel vortice della vita romana. Ruocco, Taverna, Di Battista sono stati da loro assai sostenuti. Ne avrebbe di cose da raccontare, Tinazzi. 

A questi 500 vanno sommati gli «espulsi» in senso tecnico, almeno altri 300 in tutta Italia che (dopo il varo del Regolamento del 23 dicembre 2014, ora dichiarato «nullo» dal Tribunale) hanno ricevuto una mail con una comunicazione. Prima di quella data le espulsioni avvenivano con un post scriptum sul blog, spesso anche senza: un bel giorno il militante si svegliava e si trovava «cliccato», disattivato dal server della Casaleggio. Al massimo con una lettera di diffida all’uso del simbolo. Questa carica degli 800 delinea i contorni di una gigantesca cacciata del dissenso, per una forza di un paese democratico; una cacciata di cui per la prima volta siamo in grado di determinare con precisione l’entità. 

Trentasei espulsi a Napoli, una trentina a Roma, almeno 50 espulsi in Emilia - tra cui i casi storici di Favia e Salsi, o quello recente di Lorenzo Andraghetti, reo di aver tentato di sfidare Massimo Bugani, prescelto dalla Casaleggio - una decina in Calabria, dove l’uomo forte è Nicola Morra, e dopo le espulsioni il Movimento è precipitato al 4%. Ieri Federico Pizzarotti (per ora solo «sospeso») ha scritto ormai spazientito a Grillo, consapevole ormai di avere armi giuridiche assai forti: «Il tempo dell’attesa è finito. Se non dovessero arrivare in tempi brevi risposte sulla mia situazione, interpreterò l’atteggiamento per quello che è: la chiara volontà di arrivare a una rottura senza neppure il coraggio di assumersene la responsabilità. Pretendiamo chiarezza, l’indifferenza non rende piccolo chi la subisce, ma chi la attua». 

A Napoli doveva esser candidato alle regionali Angelo Ferrillo, un militante storico della Terra dei fuochi. Fu espulso con accuse pretestuose. Fece una lista civica (che appoggiò Caldoro). Ora annuncia di non voler affatto rientrare ma di voler «avviare un’azione legale collettiva» contro i responsabili: «Il M5S non è riformabile, né dall’interno né dall’esterno. È un partito azienda col potere di firma nelle mani di una sola persona e gestito in comproprietà da una srl». «Conquistano il consenso elettorale mediante il plagio o l’inganno e la menzogna», dice.  

In tanti stanno catalizzando questa rivolta degli espulsi. Roberto Motta a Roma riceve decine di telefonate. Idem l’avvocato Borrè. Altri, sempre nella Capitale, ci dicono questo: «A Roma sono rimasti nel M5S in tutto 300 attivisti; se pensate che 200 sono stati assorbiti nei municipi capirete che la base non esiste più». Il Movimento della partecipazione è diventato un partito degli eletti, senza più una vera e propria base. 

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