Hyperloop, così Blade Runner diventò realtà: "In viaggio a 1500 km l'ora"
La startup Usa parla anche italiano. Tra un anno i test
ROMA . Ci sono inventori, ex cantanti, ingegneri spaziali, consiglieri della Casa Bianca e miliardari pronti a rischiare tutto per vincere: è la gara più pazza del mondo. La gara per farci viaggiare, sulla Terra, a 1500 chilometri l'ora. In una capsula sottovuoto da Los Angeles a San Francisco, ma un giorno anche da Milano a Roma, perché no? La gara è partita esattamente due anni fa.
Agosto 2013: Elon Musk, 44 anni, all'attivo la creazione di PayPal e poi delle super macchine elettriche Tesla e dei razzi Space X, mette su internet un documento di 53 pagine. Un libro bianco. Lì dice: i modi per trasportare le persone sono lenti o costosi; la soluzione è una nuova tecnologia chiamata Hyperloop. Se funziona, cambia tutto. Io non ho tempo di occuparmene, ma se qualcuno ci prova, lo aiuto.
Poteva finire lì, e invece ci sono già 1200 team iscritti per realizzare la prima capsula e c'è ancora un mese di tempo. Poi partirà la costruzione dei prototipi per arrivare al test ufficiale nel giugno 2016. I problemi tecnologici e legali da affrontare sono moltissimi, ma visti i nomi in campo l'impressione di assistere a un rapido passaggio dalla fantascienza alla realtà non è totalmente infondata. Il primo a muoversi è stato Dirk Ahlborn, un 40enne massiccio, tedesco, in passato anche alla guida di una società italiana che produceva stufe, ma da molti anni a Los Angeles dove ha creato Jump-Start Fund, una piattaforma per accelerare i progetti più innovativi attivando migliaia di collaboratori in rete in cambio della promessa di partecipare agli utili. Il progetto Hyperloop si prestava benissimo a questo modello. "E infatti quando lo abbiamo pubblicato più di 200 ingegneri da tutto il mondo si sono candidati a svilupparlo", spiega Gabriele Cresta, il vice di Ahlborn. Nato a Terni una quarantina di anni fa, Cresta ha fatto il cantante, l'attore, il ballerino, il manager tv, ma soprattutto ha al suo attivo Bibop, una startup che nel 1999 ha ceduto a Telecom per una cifra clamorosa (11 miliardi di lire per il 40%); dopo la crisi della new economy, nel 2003 si è rimesso in pista partecipando alla fondazione di Digital Magics, un incubatore di startup; infine, cinque anni fa si è spostato a Los Angeles giusto in tempo per salire a bordo della neonata startup di Ahlborn.
Che non è l'unica. Sempre in California ne è nata un'altra, con un nome praticamente identico (lite giudiziaria in vista), che vede riunite alcune superstar. Ne fa parte tra gli altri Jim Messina, già vice capo dello staff di Obama, oggi alla guida di un ricchissimo comitato che punta a far eleggere Hillary Clinton. Deve essere grazie ai suoi uffici che qualche mese fa il leader di HyperLoop Technologies, l'iraniano Shervin Pishevar, è riuscito a presentare il progetto a Obama in persona. Pare che il presidente americano sia rimasto una mezz'ora buona ad ascoltarlo. Pishevar del resto ha una storia personale intrigante: nel 1980 fugge con la madre dall'Iran subito dopo la rivoluzione che aveva deposto lo Scià. Il padre, che guidava un'emittente tv a Teheran, era fuggito l'anno prima e faceva il tassista a Washington dove la madre troverà lavoro come cameriera. Ma Shervin sogna all'americana: si immerge nel mondo di internet, lancia alcune startup di successo, per ragioni umanitarie frequenta star di Hollywood come Sean Penn, poi si sposta a San Francisco e azzecca l'investimento della vita, in Uber, quando valeva meno di un centesimo di oggi. In questo turbinio di innovazione e mondanità Peshvar conosce e frequenta Elon Musk. Uno così ci mette un attimo a formare un dream team per realizzare Hyperloop convincendo fra gli altri il futurologo più famoso del mondo, Peter Diamandis, e poi l'ingegnere capo di SpaceX Brogan BramBrogan.
È una vera sfida perché Hyper-Loop sarà pure fattibile, forse; costerà pure poco il biglietto per ogni tratta, pare; ma realizzare il prototipo e l'infrastruttura, comprare i terreni dove farla passare, e fare i test e tutto il resto richiede una somma stratosferica. Il team di Alhborn ha dalla sua i numeri: gli ingegneri che collaborano allo sviluppo del progetto sono diventati 400, la community che partecipa è di 10 mila persone, i soldi già investiti sono 7 milioni di dollari ma entro settembre ne arriveranno altri 50 con l'obiettivo di quotarsi in Borsa nel 2016 e raccoglierne altri 500 con l'avvio della costruzione del primo tratto di Hyperloop nella Quai Valley fra San Francisco e Los Angeles. Nel 2019 i primi incassi dai passeggeri, promettono con molto ottimismo.
Ma il team di Peshwar è agguerrito e ogni giorno o quasi su Twitter posta
le foto dei progressi che stanno facendo con lo scopo evidente di innervosire gli avversari ("Ecco il tunnel per i test, lo abbiamo chiamato Blade Runner!"). I soldi raccolti finora sono 8 milioni di dollari, ma diventeranno 80 entro la fine dell'anno, promettono. Chi vincerà?
Agosto 2013: Elon Musk, 44 anni, all'attivo la creazione di PayPal e poi delle super macchine elettriche Tesla e dei razzi Space X, mette su internet un documento di 53 pagine. Un libro bianco. Lì dice: i modi per trasportare le persone sono lenti o costosi; la soluzione è una nuova tecnologia chiamata Hyperloop. Se funziona, cambia tutto. Io non ho tempo di occuparmene, ma se qualcuno ci prova, lo aiuto.
Poteva finire lì, e invece ci sono già 1200 team iscritti per realizzare la prima capsula e c'è ancora un mese di tempo. Poi partirà la costruzione dei prototipi per arrivare al test ufficiale nel giugno 2016. I problemi tecnologici e legali da affrontare sono moltissimi, ma visti i nomi in campo l'impressione di assistere a un rapido passaggio dalla fantascienza alla realtà non è totalmente infondata. Il primo a muoversi è stato Dirk Ahlborn, un 40enne massiccio, tedesco, in passato anche alla guida di una società italiana che produceva stufe, ma da molti anni a Los Angeles dove ha creato Jump-Start Fund, una piattaforma per accelerare i progetti più innovativi attivando migliaia di collaboratori in rete in cambio della promessa di partecipare agli utili. Il progetto Hyperloop si prestava benissimo a questo modello. "E infatti quando lo abbiamo pubblicato più di 200 ingegneri da tutto il mondo si sono candidati a svilupparlo", spiega Gabriele Cresta, il vice di Ahlborn. Nato a Terni una quarantina di anni fa, Cresta ha fatto il cantante, l'attore, il ballerino, il manager tv, ma soprattutto ha al suo attivo Bibop, una startup che nel 1999 ha ceduto a Telecom per una cifra clamorosa (11 miliardi di lire per il 40%); dopo la crisi della new economy, nel 2003 si è rimesso in pista partecipando alla fondazione di Digital Magics, un incubatore di startup; infine, cinque anni fa si è spostato a Los Angeles giusto in tempo per salire a bordo della neonata startup di Ahlborn.
Che non è l'unica. Sempre in California ne è nata un'altra, con un nome praticamente identico (lite giudiziaria in vista), che vede riunite alcune superstar. Ne fa parte tra gli altri Jim Messina, già vice capo dello staff di Obama, oggi alla guida di un ricchissimo comitato che punta a far eleggere Hillary Clinton. Deve essere grazie ai suoi uffici che qualche mese fa il leader di HyperLoop Technologies, l'iraniano Shervin Pishevar, è riuscito a presentare il progetto a Obama in persona. Pare che il presidente americano sia rimasto una mezz'ora buona ad ascoltarlo. Pishevar del resto ha una storia personale intrigante: nel 1980 fugge con la madre dall'Iran subito dopo la rivoluzione che aveva deposto lo Scià. Il padre, che guidava un'emittente tv a Teheran, era fuggito l'anno prima e faceva il tassista a Washington dove la madre troverà lavoro come cameriera. Ma Shervin sogna all'americana: si immerge nel mondo di internet, lancia alcune startup di successo, per ragioni umanitarie frequenta star di Hollywood come Sean Penn, poi si sposta a San Francisco e azzecca l'investimento della vita, in Uber, quando valeva meno di un centesimo di oggi. In questo turbinio di innovazione e mondanità Peshvar conosce e frequenta Elon Musk. Uno così ci mette un attimo a formare un dream team per realizzare Hyperloop convincendo fra gli altri il futurologo più famoso del mondo, Peter Diamandis, e poi l'ingegnere capo di SpaceX Brogan BramBrogan.
È una vera sfida perché Hyper-Loop sarà pure fattibile, forse; costerà pure poco il biglietto per ogni tratta, pare; ma realizzare il prototipo e l'infrastruttura, comprare i terreni dove farla passare, e fare i test e tutto il resto richiede una somma stratosferica. Il team di Alhborn ha dalla sua i numeri: gli ingegneri che collaborano allo sviluppo del progetto sono diventati 400, la community che partecipa è di 10 mila persone, i soldi già investiti sono 7 milioni di dollari ma entro settembre ne arriveranno altri 50 con l'obiettivo di quotarsi in Borsa nel 2016 e raccoglierne altri 500 con l'avvio della costruzione del primo tratto di Hyperloop nella Quai Valley fra San Francisco e Los Angeles. Nel 2019 i primi incassi dai passeggeri, promettono con molto ottimismo.
Ma il team di Peshwar è agguerrito e ogni giorno o quasi su Twitter posta
Nessun commento:
Posta un commento