lunedì 17 agosto 2015

Il mondo è proprio pieno di sorprese.

In Kenya venticinque anni fa un gruppo di donne ha fondato un villaggio dove possono entrare soltanto le donne e basato sui principi dell'uguaglianza. Girl Power raga
GIOVANNI DROGO
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Il Guardian ha pubblicato un bel reportage di Julie Bindel che è andata in Kenya a visitare il villaggio di Umoja (che in lingua Swahili significa unità, coesione). Il villaggio, situato a circa 380 km di distanza dalla capitale Nairobi si trova all’interno del Parco Naturale di Samburu vicino ad una località chiamata Archer’s Post. La particolarità che rende Umoja degno di nota è che è abitato solo da donne (e da bambini) e che agli uomini non è consentito l’accesso.
DALLE DONNE, PER LE DONNE
Fondato nel 1990 da Rebecca Lolosoli nel tentativo di aiutare quindici donne che erano state stuprate da soldati inglesi. Dal momento che all’interno dei loro villaggi d’origine non c’era più spazio per loro essendo state “disonorare”. Rebecca Lolosoli pensò di creare una comunità dove tutte le donne vittime di violenza potessero vivere un’esistenza pacifica, lontana dagli uomini. La terra su cui sorge Uomoja è stata acquistata dalle sue residenti grazie alla vendita dei prodotti di artigianato locale ai turisti. La cosa però non è piaciuta agli uomini più tradizionalisti, che sostengono che le donne non dovrebbero avere il diritto di possedere la terra. Al nucleo iniziale si sono via via aggiunte nuove abitanti ed oggi Umoja ha una popolazione di quarantasette donne che provvedono autonomamente alle loro necessità e a quelle dei duecento bambini che vivono con loro all’interno del villaggio. Ad Umoja trovano rifugio le donne che hanno subito violenza, che non vogliono più vivere con il marito (per i Samburu non esiste il divorzio), che hanno subito (o non voglio subire) le mutilazioni genitali rituali oppure quelle che hanno rifiutato un matrimonio combinato e che rifiutano di essere vendute tra la loro famiglia e quella del marito in cambio di bestiame come se fossero merce. Come è facile immaginare l’esperienza di Umoja non è stata, e non è, facile. Gli uomini dei villaggi vicini hanno dato vita ad un villaggio per soli uomini nelle vicinanze, dal quale “spiano” e tengono sotto controllo le attività delle donne che hanno creato anche un centro di accoglienza per i turisti che visitano il Parco. Ci sono stati casi di boicottaggio per impedire ai turisti (che forniscono una delle principali fonti di reddito alle donne di Umoja) di arrivare al villaggio ma anche incursioni da parte dei mariti per riprendersi le “loro” donne. Gli uomini del villaggio rivale hanno anche tentato di creare il loro “tourist center” ma con scarsi risultati. Parallelamente all’attività turistica e di produzione di gioielleria tradizionale le donne di Umoja sono impegnate nella battaglia per la difesa dei diritti delle donne in Kenya. Uno dei fronti di questa lotta è il processo a carico dei soldati britannici accusati di aver stuprato le donne che sono andate a costituire il nucleo originario della comunità. L’esperienza del villaggio creato da Rebecca Lolosoli ha dato vita ad altri due villaggi “per sole donne” fondati dalle abitanti di Umoja. Il primo, nato da una diaspora avvenuta nel 1998 è il Nachami Women Group che è regolato dagli stessi principi di Umoja ma, secondo le fondatrici, con una maggiore solidarietà tra donne. Il problema della leadership e dei rapporti interni della comunità non è nascosto ed è visto come una sfida continua dalla quale dipende la sopravvivenza di Umoja e delle comunità ad esso collegate ma sul sito del villaggio si sottolinea come la comunità stia facendo il possibile per sostenere coloro che hanno scelto di fondare nuove comunità.
DA DOVE VENGONO I BAMBINI?
So che tutti ve lo state chiedendo, se nel villaggio ci sono solo donne e agli uomini non è consentito entrare come mai ci sono così tanti bambini? Certo, alcuni possono essere venuti a vivere ad Umoja con le loro madri che stavano scappando dai villaggi d’origine, molti però sono nati proprio all’interno della comunità. Le donne di Umoja infatti non rinunciano alla loro femminilità e, nonostante tutto, credono ancora che per essere donne sia necessario essere anche madri. Le donne di Umoja non rifiutano la femminilità, ma contestano il modo tradizionale di trattare le donne. La loro non è una lotta per “abolire” gli uomini ma per reclamare parità di diritti tra uomini e donne. Questo comporta il fatto di poter provvedere da sé al proprio sostentamento, di essere autonome e di poter assegnare ad alcuni uomini – non come punizione – lavori considerati “femminili” (come ad esempio la raccolta di legna da ardere per il villaggio) ma anche di poter scegliere i propri compagni di potere avere figli in base ai propri desideri e non solo a quelli del marito. Certo, gli uomini dei villaggi vicini (che sono i padri dei bambini di Umoja) fanno un po’ di sarcasmo sul fatto che, nonostante tutto, le donne non siano davvero in grado di vivere senza uomini, ma non è quello il punto che invece è che le donne vogliono vivere senza la violenza connessa a vivere in una società dove solo gli uomini fanno le regole.

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