È stato identificato “Jihadi John”
Il Washington Post scrive che il miliziano dell'ISIS comparso nei video delle decapitazioni si chiama Mohammed Emwazi ed è cresciuto a Londra: di lui non si sa molto altro
È stata diffusa l’identità del miliziano dello Stato Islamico (o ISIS) conosciuto in tutto il mondo per avere decapitato gli ostaggi occidentali nei video pubblicati online dall’ISIS nei mesi scorsi. Il miliziano, finora noto con il soprannome “Jihadi John”, è Mohammed Emwazi, britannico cresciuto a Londra e laureato in informatica. L’identità di “Jihadi John” è stata resa pubblica da Souad Mekhennet e Adam Goldman, giornalisti del Washington Post: James Comey, il direttore dell’FBI, aveva detto già a settembre che l’FBI l’aveva identificato, ma non aveva dato alla stampa ulteriori informazioni. L’unica cosa che veniva data per certa fino a oggi era la provenienza di “Jihadi John”, per via del suo accento britannico. L’identità di Jihadi John è stata confermata anche da un funzionario britannico al New York Times: il funzionario, rimasto anonimo, ha detto che il governo britannico aveva identificato Jihadi John diverso tempo fa, ma aveva mantenuto la notizia riservata, per questioni di sicurezza.
Emwazi è nato in Kuwait ed è cresciuto in un quartiere della classe media in una zona dell’ovest di Londra: si è trasferito con la famiglia nel Regno Unito quando aveva sei anni e oggi ha tra i 20 e i 30 anni. Su di lui non si sa molto anche perché sembra che non abbia mai pubblicato molte informazioni personali sui social network o da altre parti online. Alcune persone che lo conoscono hanno raccontato al Washington Post che Emwazi aveva un debole per i vestiti alla moda, la barba lunga e occasionalmente pregava in una moschea a Greenwich, nel sud-est di Londra. Sembra anche che facesse particolare attenzione a non guardare negli occhi le donne. Di lui, scrive la stampa britannica, si è cominciato a sapere qualcosa quattro o cinque anni fa, quando Emwazi cominciò a frequentare un giro di jihadisti di cui faceva parte anche Bilal al Berjawi, londinese di origini libanesi ucciso in Somalia da un drone americano tre anni fa.
Un suo amico ha raccontato che Emwazi ha cominciato a “radicalizzarsi” – quindi a prendere posizioni sempre più estreme sull’Islam – dopo avere pianificato un safari in Tanzania nel maggio del 2009, in seguito alla sua laurea all’Università di Westminster. Quello che successe dopo rimane un mezzo mistero. Si sa che Emwazi fu fermato a Dar es Salaam, in Tanzania, insieme a due suoi amici, Omar, un tedesco convertito all’Islam, e un altro uomo, Abu Talib. I tre furono tenuti in carcere per una notte – non è chiaro il motivo dell’arresto – e poi furono espulsi: secondo una ricostruzione dell’Independent risalente al 2010, i tre furono picchiati dalle forze di sicurezza tanzaniane su ordine dell’MI5, i servizi di sicurezza interni britannici (l’Independent si riferiva a Emwazi con il nome Muhammad ibn Muazzam). Emwazi andò poi ad Amsterdam, nei Paesi Bassi, dove lui stesso raccontò in una mail di avere incontrato un funzionario dell’MI5 che lo accusò di cercare di raggiungere la Somalia per unirsi al gruppo estremista al Shabaab, alleato con al Qaida (secondo la stampa britannica, già in precedenza c’erano già stati i contatti tra MI5 e Emwazi). La mail, scrive il Washington Post, fu mandata da Emwazi ad Asim Qureshi, il direttore dell’organizzazione per la difesa dei diritti umani CAGE, che a sua volta l’ha mostrata al Washington Post. Stando a quanto dice la mail, Emwazi negò di volere andare in Somalia e si convinse che il funzionario dell’MI5 volesse tentare di reclutarlo (un ex ostaggio dell’ISIS ha raccontato che Jihadi John era ossessionato dalla Somalia e faceva vedere ai prigionieri video su al Shabaab).
Emwazi tornò poi nel Regno Unito e nella primavera del 2009 si incontrò con Qureshi, con cui si lamentò molto del trattamento ingiusto che diceva di avere subito. Poco dopo, scrive il Washington Post, Emwazi tornò in Kuwait, cominciò a lavorare lì per un’azienda informatica e si sposò. Tornò a Londra due volte. Nel giugno del 2010 l’antiterrorismo britannico lo arrestò di nuovo e non gli permise di fare ritorno in Kuwait: un suo amico ha raccontato che Emwazi era disperato per la sua permanenza forzata a Londra. Durante questo periodo, Emwazi rimase in contatto via mail con Qureshi, che lo sentì per l’ultima volta nel gennaio del 2012. Non è chiaro quando esattamente Emwazi raggiunse la Siria. Una volta arrivato in territorio siriano, comunque, Emwazi contattò la sua famiglia e almeno uno dei suoi amici (non è chiaro nemmeno cosa si dissero).
Un ex ostaggio dell’ISIS ha raccontato che Jihadi John era uno dei membri di un piccolo gruppo di miliziani incaricati di sorvegliare gli ostaggi occidentali in una prigione di Idlib, in Siria, nel 2013. Al gruppo si unirono poi altri due uomini con accento britannico (per la loro provenienza venivano chiamati “i Beatles”): si crede che i tre torturarono alcuni ostaggi tramite diverse pratiche, tra cui il waterboarding. Quando all’inizio del 2014 gli ostaggi occidentali furono trasferiti in una prigione a Raqqa, i tre uomini li raggiunsero lì: sembrava che nel frattempo avessero guadagnato potere all’interno dell’ISIS. Jihadi John è apparso per la prima volta in video nell’agosto del 2014: il video mostra la decapitazione del giornalista occidentale James Foley. Si crede che sia sempre lui a comparire nei video successivi dell’ISIS, quelli che mostrano le decapitazioni del giornalista americano Steven Sotloff, del cooperante britannico David Haines, del cittadino britannico Alan Henning e del cooperante americano Abdul Rahman Kassig (Peter Kassig, il suo nome prima di convertirsi all’Islam).
Un amico molto stretto di Mohammed Emwazi ha detto al Washington Post: «Non ho dubbi che Mohammed sia Jihadi John. Per me è come se fosse un fratello… sono sicuro che sia lui». Anche Asim Qureshi ha detto di credere che Jihadi John sia Emwazi. Il Washington Post dice che i funzionari statunitensi hanno rifiutato di commentare la notizia e che la famiglia di Emwazi non ha voluto dare interviste.
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