venerdì 27 febbraio 2015

Dopo Berlusconi e grillo non c'è due senza tre. Speriamo di fermarci presto.

Manifestazione Lega: Le Pen, bandiere russe e Casa Pound. Il barbaro Matteo Salvini cala su Roma

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SALVINI

La piazza, per mostrare i muscoli. La piazza piena per riempire il “vuoto” dell'attuale centrodestra. Cori, striscioni, incazzati in carne ed ossa. È il giorno in cui Matteo Salvini, dopo la grande bulimia televisiva, vuole far parlare la realtà. “Fare il pieno a Roma”, la parola d’ordine. La piazza come l’acqua benedetta per il battesimo ufficiale dell’anti-Renzi. Un unico slogan dietro il palco: “Renzi a casa”.
Nove anni dopo la manifestazione della Casa delle libertà contro il governo Prodi, che anticipò la spallata. Sedici anni dopo la storica discesa a Roma di Umberto Bossi, sul treno “Nerone” guidata da Umberto Bossi. Che anticipò la Lega di governo. In un clima da anni Settanta, fatta di ansie, spettri, pericoli veri o evocati, nasce nuova Lega. Dal va pensiero, dalla secessione, alla via lepenista. Marine ha già registrato un videomessaggio che sarà trasmesso dai maxi-schermi di piazza del Popolo. In piazza non più bandiere verdi, ma bianche-rosse-blu, le bandiere della Russia di Putin, portate dalle associazioni russe che sono in Italia perché “noi – spiegano i leghisti – siamo gli unici che si sono battuti contro le sanzioni”. 
Gli anni Settanta sono la paura per l’ordine pubblico. Il tam tam, dicono gli organizzatori, è partito: i centri sociali che occupano la chiesa a cinquanta metri dal palco, gli annunci e le manifestazioni dei “Fermiamo Salvini”. Duecento pullman, treni speciali, quando c’è tanta gente è rischioso, soprattutto se in piazza hai Casa Pound che ha aderito alla manifestazione. Per tutto il giorno il caso lo creano gli attivisti di fermiamo Salvini che occupano una chiesa a piazza del Popolo. Salvini provoca, li bolla come “quattro poveretti, disgraziati, i leghisti invece vanno in chiesa per pregare e mettere la monetina”. Nell’adrenalina e nell’entusiasmo da bagno di folla c’è già chi, a via Bellerio, sviluppa la trama del complottone: “Dopo che Almirante fece il boom alle elezioni del ’71, partì la strategia della tensione, c’è un’aria strana”. Facciamo paura, si ripetono i “barbari” alla vigilia della calata su Roma, in un mix di esaltazione da prima volta e propaganda: “Se succede qualcosa in piazza se ne deve andare a casa Alfano e con lui tutti gli altri”. A metà pomeriggio piomba a piazza del Popolo Raffaele Volpi, l’uomo che sta costruendo la Lega nel Sud, per verificare la situazione. In costante collegamento con Salvini, che avverte: “Credo che la polizia dopo la figura di fango fatta con i tifosi del Feyenoord si sia organizzata per evitare ogni tipo di scontro, la polizia non può più far brutte figure”.
Già, “facciamo paura”: un training alimentato da “Matteo”, che ha già preparato la scaletta di un discorso rabbioso e duro, su Europa, tasse e soprattutto immigrazione. Discorso a braccio, come sempre. Leader e popolo, senza intermediazioni. È stato lui a far sapere che non vuole passerelle di nomenklatura sul palco, ma “tanta società civile”, a partire dagli esodati. E poi agricoltori, medici, artigiani, poliziotti e associazioni dei genitori. Uniche eccezioni, il governatore del Veneto Luca Zaia. Un segnale forte, sia in chiave interna sia agli alleati. E Giorgia Meloni, con cui è evidente il percorso comune. La cui prossima tappa sarà il 7 marzo, a Venezia, quando Salvini parteciperà alla manifestazione di Fratelli d’Italia, a Venezia, il prossimo 7 marzo, dal titolo Difendiamoci. Poi, il gran finale prima delle amministrative con un evento tutti assieme, con la leader del Front national Marine Le Pen. 
Eccola, la sostanza politica. Riempire la piazza per riempire il vuoto della destra, nell’epoca del tramonto berlusconiano, orfana di guida, di leader e di prospettiva. E pure di popolo, fanno notare i leghisti, perché Berlusconi “una roba così ormai se la sogna: non tira più”. “Mai con Alfano”, “chissenefrega delle alleanze, parliamo dei problemi”, “noi andiamo dritti, chi vuole sostenga le nostre battaglie”. Il centrodestra, per come l’abbiamo conosciuto in questi vent’anni non c’è più. Prova ne è il nervosismo al quartier generale berlusconiano. Alla fine Forza Italia sosterrà Zaia, ma insegue, non detta più l’agenda. E osserva con spavento la calata su Roma di quello che doveva essere un alleato ed è diventato l'avversario più temuto.

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