domenica 20 settembre 2015

Riceviamo e pubblichiamo

Reddito di cittadinanza, cos’è e perché è insostenibile 

di Giulia Cortese
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Del reddito di cittadinanza si parla molto, soprattutto di questi tempi, ma il tema non è certo nuovo. Da circa 30 anni, convegni europei e mondiali sull’argomento sono organizzati dalla rete di coordinamento BIEN (Basic Income Eearth Network). Nel 2006 è stata pubblicata BIS (Basic Income Studies), rivista scientifica internazionale interamente dedicata alle discussioni sull’applicazione del reddito di base. Rientrando nei confini nazionali, il dibattito sul punto si è sviluppato sul sito BIN Italia.
Come ha scritto l’economista Andrea Fumagalli, ex vicepresidente del BIN-Italia, l’idea del reddito di cittadinanza “deriva dalla coscienza che nel nuovo millennio il disporre di un lavoro può non essere sufficiente a garantire l’esistenza di una vita dignitosa”. Sul tema non è facile fare chiarezza. In generale, è considerato un reddito di base a carattere universale e illimitato nel tempo che ha come unico requisito la cittadinanza. Quindi nessuna distinzione economica, lavorativa e patrimoniale della persona maggiorenne che ne usufruisce. Su Lavoce.info, gli economisti Tito Boeri e Roberto Perotti hanno calcolato che un Rdc a 500 euro al mese, dato a 50 milioni di persone che abbiano compiuto 18 anni, può avere un costo di 300 miliardi di euro, “quasi il 20 per cento del Pil”. Chiaramente inattuabile, in questi termini, nel nostro Paese.
La proposta del Movimento 5 Stelle, che costituisce il pezzo forte della sua offerta politica, limita il diritto di richiedere e percepire il reddito di cittadinanza a tutti i cittadini che hanno compiuto i diciotto anni di età, che sono residenti sul territorio nazionale e che percepiscono un reddito netto annuo inferiore ad euro 7.200 netti. Sul suo blog, Grillo ha approcciato più volte il problema in maniera piuttosto caotica. Il progetto del reddito di cittadinanza sembra oscillare fra un qualcosa di simile al sussidio di disoccupazione – che in tal caso coprirebbe solo i disoccupati – e un vero e proprio reddito minimo garantito, ovvero un social benefit i cui requisiti sono la cittadinanza italiana e assenza o insufficienza di reddito. Il benefit oscillerebbe dagli 800 ai 1000 euro mensili, una somma davvero alta se rapportata ai miseri stipendi medi italiani. A fornire supporto logistico per la realizzazione del progetto, secondo Grillo, dovrebbero essere i centri per l’impiego, notoriamente costosi e mal funzionanti nel nostro Paese. Senza considerare che l’intero impianto del reddito di cittadinanza incentiverebbe di molto il ricorso al lavoro in nero, tale fenomeno potrebbe convincere le autorità ad obbligare i beneficiari ad attività formative o in lavori socialmente utili, rischiando così di portare l’Italia indietro di due secoli, ai tempi delle “Poor Laws” inglesi, dove si obbligavano i poveri ai lavori forzati per un piatto di lenticchie.
Sui costi, è difficile fare previsioni, anche perché rimane poco chiaro a quanto potrebbe arrivare il numero dei potenziali utenti. Molti lavoratori atipici a basso reddito, impiegati in lavori faticosi e logoranti, sarebbero certamente incentivati a rinunciare al proprio lavoro. D’altronde, se gli stessi deputati lamentano la difficoltà nella copertura degli 80 euro promessi dal Governo Renzi, come pensano di trovarne 600 o 1000 per il Reddito di cittadinanza?
La domanda che sorge spontanea è: dove si trovano questi soldi? Dal recupero dell’evasione fiscale (è una voce presunta che non è possibile mettere a bilancio sperando che arrivino come per magia fondi garantiti in modo strutturale e tutti gli anni); patrimoniale (anche nelle migliori previsioni il ricavo si aggira sui 5-6 miliardi di euro). Dopo la stretta fiscale di questi anni, immaginare un finanziamento di tale programma tramite altre tasse appare indesiderabile.
Negli anni scorsi, non sono mancate le proposte sotto forma di progetto di legge, mirate al sostegno per i redditi bassi. Si va dalla proposta di SEL sul Reddito minimo garantito al sostegno di “inclusione attiva” proposta dalla Commissione Giovannini. Altra cosa sarebbe tutelare il reddito minimo. Si tratta di un tema molto importante, che trova consensi trasversali in molte forze politiche, in quanto forma di tutela di base per tutti coloro che non hanno un reddito per sopravvivere, giovani e anziani compresi.
Fonte: futuro-europa.it

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