domenica 3 maggio 2015

Il secondo articolo sensato scritto sull'argomento. Fabrizio Merli, giornalista della Provincia Pavese, in questo articolo evidenzia un'onestà intellettuale che non avevo colto in altre occasioni. E allora fermiamoci veramente e proviamo a riflettere con calma di che cosa è oggi l'informazione e di qual è il ruolo essenziale dei giornalisti in una società nella quale si producono milioni di informazioni e purtroppo il 90% di queste informazioni non informa su niente. E ho ripetuto il verbo informare volutamente per tre volte. Due articoli della Provincia Pavese ottimi in un solo giorno. Forse anche la Provincia Pavese può cambiare in meglio?

Poichè oggi, sulla "Provincia Pavese", ho scritto della vicenda di Mattia Sangermano e, quindi, ho dovuto approfondire un minimo la mia conoscenza dei fatti, credo di avere il dovere civico di precisare alcune cosette.
In un tema scolastico, il titolo sarebbe "Se questo è un black bloc".
Dunque, il primo maggio alcune centinaia di persone vestite di nero e a volto coperto hanno devastato Milano. Ho visto molti video e la mia impressione è che si tratti di gente che, se non ha un addestramento militare, poco ci manca. Un solo dettaglio: quando si devono liberare delle tute e dei cappucci neri per non essere identificati nei video girati dalla questura, piazzano quattro fumogeni per terra, a quadrilatero, si infilano nella cortina arancione e ne escono vestiti da pacifici manifestanti.
In mezzo a questo caos, un giornalista televisivo vede un ragazzo vestito di nero, con il cappuccio nero, si avvicina e, quello, si fa intervistare.
Se questo è un black bloc...
Nel profluvio di azioni che il ragazzo avrebbe voluto fare, ma - dice, non ha fatto, gli scappano una serie di cazzo, coglione, minchia eccetera. L'intervistatore gli chiede di esprimere gli stessi concetti senza parolacce e lui si scusa.
Se questo è un black bloc....
Poi torna a casa sua, e la madre e il padre, ai quali hanno fatto vedere l'intervista che, nel frattempo, ha fatto il giro del web, gli fanno un cazziatone. Anzi, per usare le parole di Mattia, "mio padre è ancora incazzato". Non è finita. Ai giornalisti di Repubblica.it chiede pubblicamente scusa e si dice pronto a ripulire Milano. Poco dopo, ai cronisti di Corriere.it, il padre fa presente che il ragazzo a quasi ventun'anni, frequenta ancora l'ultimo anno di superiori e - stando a quanto riportano i colleghi - dice più o meno: "Mio figlio non è cattivo, è solo un pirla". Lui cerca di intervenire nell'intervista, ma viene zittito dal genitore.
Se questo è un black bloc....
Dovendo scriverci un pezzo, telefono alla scuola che Mattia frequenta. Il ritratto che ne esce - per quel poco che qui si possa riferire - è quello di un ragazzo tormentato, non certo di un ideologo dell'antagonismo.
Se questo è un black bloc....
Nel frattempo, sui social accade il "bordello" (tanto per restare in tema). I più gentili postano l'immagine di Hitler che, rivolto a Mattia, gli dice "mi stai simpatico, farai la doccia per primo". Poi c'è chi diffonde simpaticamente l'indirizzo della famiglia, chi crea, seduta stante, un gruppo che suona, più o meno, "scopiamoci la mamma di Mattia", e una serie di insulti, contumelie e sfottò che sarebbe troppo lungo riferire.
Se questi sono i social network, non oso pensare cosa avrebbero fatto degli anti-social network. Forse gli avrebbero mandato a casa Hannibal Lecter.
Tralascio i politici che attaccano il sindaco di Pavia, colpevole di avere detto che gli sembra strano che un black bloc si preoccupi del "cazziatone" di mamma e papà.
Morale?
Forse l'ansia di trovare un capro espiatorio sta crescendo in maniera direttamente proporzionale alla velocità con cui si danno le (presunte) notizie. Io non critico il collega della Tv, perchè facendo più o meno lo stesso mestiere, siamo ormai tutti parte di un sistema dove vince chi ha il tweet più veloce. Forse - ed è un parere del tutto personale - l'informazione dovrebbe riflettere un secondo, magari accettare il rischio di estrarre la pistola per secondi, ma colpire il bersaglio, per rimanere nella metafora da frontiera.
Forse.

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