Università, crolla numero laureati. Al Sud -45mila iscritti. Udu: "Atenei stanno morendo"
ROMA - E' la cifra delle ultime tre stagioni: il Sud delle università perde immatricolati, iscritti, laureati. Anche l'analisi dei dati 2014-2015, pubblici con l'Anagrafe nazionale degli studenti universitari elaborata dal Miur e in via di assestamento, dice che gli atenei meridionali hanno perso in dieci anni 45 mila iscritti e dice anche che il Centro del paese (+1,58% immatricolati, ovvero iscritti al primo anno) e il Nord (+1,25%) sono usciti dalla crisi di richiamo. Dice ancora che alcune università capaci di trasformare il sapere in lavoro registrano una crescita al primo anno notevole. Per esempio, Macerata, Ferrara, Firenze, Verona, ma anche le due romane Sapienza e Tor Vergata.
E' un percorso conosciuto, che sta lasciando solchi nel nostro paese. Visto con gli occhi dell'Unione degli universitari, che questi dati ha iniziato ad analizzare, c'è dell'altro. C'è che il calo dei laureati è di 37.616 unità, il peggiore dalla stagione 2003-04, gli ultimi dieci anni ecco. Vuol dire che molti studenti si perdono per strada, che gli atenei italiani non si riempiono solo di fuoricorso, ma di giovani che abbandonano perché non ce la fanno sul piano economico, perché trovano un lavoro che non richiede il diploma di laurea, perché non credono più nella funzione di acceleratore della propria vita da parte dell'università italiana. In un anno, spiegano i dati in assestamento, si sono persi iscritti pari a 71.784 studenti: è il 4,23 per cento. Gli immatricolati calano di 737 unità, non molti, ma i nuovi iscritti al primo anno sono in discesa da dieci anni e a fronte della ripresa del Centro-Nord, sprofonda il Sud. Per la prima volta, dato significativo, sono in calo anche i laureati: sono 258.052 nel 2014, 37.616 in meno, il 12,72 per cento. L'Udu parla di riforma Gelmini come spartiacque del rapporto tra diplomati e università. Quel dicembre 2010 - approvazione della riforma universitaria numero 240 - ha comunque coinciso con l'inizio della fase peggiore della peggiore crisi economica del Dopoguerra.
"Le prime rilevazioni su immatricolazioni e iscrizioni per l'anno accademico 2014-15 sono in linea con le nostre paure e previsioni", scrive il coordinatore Udu Gianluca Scuccimarra. "Assistiamo a una consistente migrazione di studenti dovuta allo squilibrio nelle politiche e nei finanziamenti per il diritto allo studio tra Sud e Centro-Nord. E il pesante incremento di numeri programmati ha colpito particolarmente gli atenei meridionali". Dal 2010 a oggi gli iscritti totali del sistema universitario sono passati da 1.787.752 a 1.624.208. "Senza interventi immediati e strutturali l'università italiana rischia di morire".
La Crui, la Conferenza dei rettori contraltare degli studenti, conferma preoccupazioni in linea con gli universitari sulla tenuta del sistema. Nell'ultimo documento, approvato il 7 maggio scorso, la conferenza ha rilevato nel 2015 la diminuzione di 87,4 milioni di euro per il Fondo di finanziamento ordinario: partendo dal 2009, il taglio è stato di oltre 800 milioni. Oggi l'Ffo girato dallo Stato alle università italiane rappresenta lo 0,42 per cento del Prodotto interno lordo contro lo 0,99 per cento in Francia e lo 0,92 per cento in Germania. "I risparmi progressivi, unitamente al blocco del turnover, hanno determinato la perdita di oltre diecimila docenti e ricercatori".
Il 2015 dovrà essere, nelle intenzioni del governo della "Buona scuola", l'anno rifondante degli atenei italiani. La Crui, ricordando che per il settore universitario "le dinamiche salariali sono ferme da cinque anni", chiede l'incremento del finanziamento complessivo: "L'Ffo deve coprire interamente i costi standard per studente". Gli universitari dell'Udu, certificata la nuova emorragia di laureati e iscritti, dicono dal loro canto: "Gli atenei del nostro paese perdono migliaia di studenti ogni mese. Di fronte a questo massacro pensare a una "Buona università" nata nelle stanze di partito e senza contatto con il mondo universitario sarebbe follia. E' indispensabile affrontare le vere priorità a partire dalle condizioni degli studenti: finanziamento reale del diritto allo studio da portare a livelli europei, riforma delle tasse universitarie per ridurle e introdurre criteri uniformi di progressività ed equità a livello nazionale, quindi eliminazione dei numeri programmati per favorire l'iscrizione".
E' un percorso conosciuto, che sta lasciando solchi nel nostro paese. Visto con gli occhi dell'Unione degli universitari, che questi dati ha iniziato ad analizzare, c'è dell'altro. C'è che il calo dei laureati è di 37.616 unità, il peggiore dalla stagione 2003-04, gli ultimi dieci anni ecco. Vuol dire che molti studenti si perdono per strada, che gli atenei italiani non si riempiono solo di fuoricorso, ma di giovani che abbandonano perché non ce la fanno sul piano economico, perché trovano un lavoro che non richiede il diploma di laurea, perché non credono più nella funzione di acceleratore della propria vita da parte dell'università italiana. In un anno, spiegano i dati in assestamento, si sono persi iscritti pari a 71.784 studenti: è il 4,23 per cento. Gli immatricolati calano di 737 unità, non molti, ma i nuovi iscritti al primo anno sono in discesa da dieci anni e a fronte della ripresa del Centro-Nord, sprofonda il Sud. Per la prima volta, dato significativo, sono in calo anche i laureati: sono 258.052 nel 2014, 37.616 in meno, il 12,72 per cento. L'Udu parla di riforma Gelmini come spartiacque del rapporto tra diplomati e università. Quel dicembre 2010 - approvazione della riforma universitaria numero 240 - ha comunque coinciso con l'inizio della fase peggiore della peggiore crisi economica del Dopoguerra.
"Le prime rilevazioni su immatricolazioni e iscrizioni per l'anno accademico 2014-15 sono in linea con le nostre paure e previsioni", scrive il coordinatore Udu Gianluca Scuccimarra. "Assistiamo a una consistente migrazione di studenti dovuta allo squilibrio nelle politiche e nei finanziamenti per il diritto allo studio tra Sud e Centro-Nord. E il pesante incremento di numeri programmati ha colpito particolarmente gli atenei meridionali". Dal 2010 a oggi gli iscritti totali del sistema universitario sono passati da 1.787.752 a 1.624.208. "Senza interventi immediati e strutturali l'università italiana rischia di morire".
La Crui, la Conferenza dei rettori contraltare degli studenti, conferma preoccupazioni in linea con gli universitari sulla tenuta del sistema. Nell'ultimo documento, approvato il 7 maggio scorso, la conferenza ha rilevato nel 2015 la diminuzione di 87,4 milioni di euro per il Fondo di finanziamento ordinario: partendo dal 2009, il taglio è stato di oltre 800 milioni. Oggi l'Ffo girato dallo Stato alle università italiane rappresenta lo 0,42 per cento del Prodotto interno lordo contro lo 0,99 per cento in Francia e lo 0,92 per cento in Germania. "I risparmi progressivi, unitamente al blocco del turnover, hanno determinato la perdita di oltre diecimila docenti e ricercatori".
Il 2015 dovrà essere, nelle intenzioni del governo della "Buona scuola", l'anno rifondante degli atenei italiani. La Crui, ricordando che per il settore universitario "le dinamiche salariali sono ferme da cinque anni", chiede l'incremento del finanziamento complessivo: "L'Ffo deve coprire interamente i costi standard per studente". Gli universitari dell'Udu, certificata la nuova emorragia di laureati e iscritti, dicono dal loro canto: "Gli atenei del nostro paese perdono migliaia di studenti ogni mese. Di fronte a questo massacro pensare a una "Buona università" nata nelle stanze di partito e senza contatto con il mondo universitario sarebbe follia. E' indispensabile affrontare le vere priorità a partire dalle condizioni degli studenti: finanziamento reale del diritto allo studio da portare a livelli europei, riforma delle tasse universitarie per ridurle e introdurre criteri uniformi di progressività ed equità a livello nazionale, quindi eliminazione dei numeri programmati per favorire l'iscrizione".
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