lunedì 12 giugno 2017

ALESSANDRO D'AMATO
Beppe Grillo e il suo fido yesman Luigi Di Maio sono i principali responsabili della sconfitta del MoVimento 5 Stelle alle elezioni amministrative. Il Capo Assoluto del MoVimento 5 Stelle e l’erede al trono designato hanno portato avanti con il solito atteggiamento rispettivamente da “io so’ io e voi nun sete un…” e “zì, badrone” che li ha portati a scegliere candidati ubbidienti invece che bravi nelle città al voto; a Parma lo strappo si era consumato prima, a Genova lo spettacolo orribile dell’addio di Putti (contrario alla politica dei selfie…) e della querelle Cassimatis hanno fatto capire a tutti che nel M5S comanda Beppe. E ai cittadini che vanno al voto di essere governati magari va anche bene, ma di essere comandati proprio no.

Il disastro M5S e la linea sociopatica di Grillo e Di Maio

La linea di Grillo e Di Maio ha così portato a una sconfitta cocente, ancora più pesante se raffrontata ai numeri lusinghieri del M5S in alcune città come Palermo, dove alla fine Forello è rimasto vittima di una faida interna  insensata partita dopo il caso delle firme false, che Grillo e Di Maio hanno fermato quando ormai era troppo tardi e usando anche lì la mannaia delle sospensioni invece di ascoltare e incanalare il disastro della base cercando di portarla unita alle elezioni: per paura di sporcarsi le mani dopo i servizi delle Iene hanno comandato da Roma e Genova sanzioni su sanzioni, spaccando un gruppo che si era formato insieme alla nascita del M5S ben prima delle elezioni del 2013 e aveva contribuito agli ottimi risultati nell’isola.
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I voti del M5S a Palermo e a Genova (Corriere della Sera, 12 giugno 2017)
Grillo e Di Maio hanno scelto la “corrente” Cancelleri-Forello e mollato quella dei deputati indagati che evidentemente, a parte le ipotesi irreali di complotto, qualche ragione storica ce l’avevano. E così Forello non è riuscito a fermare Leoluca Orlando che si è riconfermato al primo turno in città e ha rivitalizzato il centrodestra, scivolando al terzo posto nelle preferenze degli elettori.
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I voti del M5S a Verona e a Parma (Corriere della Sera, 12 giugno 2017)

Il processo a Di Maio

Come di costume, i retroscena dei giornali ci parlano di un MoVimento che ha capito la lezione solo a metà. Emanuele Buzzi sul Corriere della Sera ci raccontano di un processo a Di Maio:
C’è chi lo dice apertamente. «Chi ha deciso la linea a Palermo e Genova deve assumersi le proprie responsabilità. E farsi da parte», dice un parlamentare. Il riferimento nemmeno troppo velato è all’area pragmatica e a Luigi Di Maio. Il vicepresidente della Camera potrebbe tornare di nuovo sulla graticola, anche se le sue chance per la corsa a candidato premier sembrano difficili da scalfire.
Non mancano già i primi affondi: «Paghiamo il distacco dalle lotte che ci hanno contraddistinto: ci siamo messi a mercanteggiare senza ottenere nulla, se non perdere credibilità tra chi ci sostiene», rimbrotta un parlamentare. Qualcuno guarda già oltre e chiede apertamente che per la prossima legislatura gli over 40 possano essere candidati anche a Montecitorio (in questo momento le regole interne al Movimento non lo consentono) perché «ci sono troppo immaturi» alla Camera.
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Ovviamente nulla c’entrano le norme per le candidature alla Camera con la sconfitta alle amministrative, e poco c’azzecca anche la trattativa sulla legge elettorale. Basti vedere Parma, dove Federico Pizzarotti ha allungato una severa scoppola alle velleità da Rasputin di Massimo Bugani, che pensava davvero di fare ombra a un sindaco che ha ben lavorato con un candidato rimediato all’ultimo e due comizi in città.

Il KO e la faida interna

Con la sconfitta di ieri c’entrano di più i disastri di Roma e Torino, dove Virginia Raggi e – dopo un buon inizio – Chiara Appendino si stanno rivelando sempre più inadeguate al compito di amministrare città a loro modo complesse. E anche qui il M5S ha delle responsabilità, visto che preferisce nascondere la testa sotto la sabbia dei complotti invece di assumersi le responsabilità. Annalisa Cuzzocrea su Repubblica racconta che come al solito i grillini hanno cominciato a sfogarsi nelle chat interne mentre la Comunicazione ha detto a tutti di stare zitti:
 Alle nove di sera, un messaggio perentorio della comunicazione invita gli eletti dei 5 stelle a non rilasciare dichiarazioni. Le attese erano negative, il nervosismo di Beppe Grillo al seggio ne è stata la prova tangibile. Ma su un successo “miracoloso” nella sua città, il fondatore sperava. Non l’avesse fatto, non l’avrebbe scelta per il comizio di chiusura insieme a Luigi Di Maio.
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Gli exit poll di Genova: Luca Pirondini fuori dal ballottaggio
E loro sono stati obbedienti, anche se l’obbedienza in politica non è sempre una virtù.
Ad attivisti amici, una deputata di peso come Roberta Lombardi dice: «Dobbiamo curare di più il lavoro sui territori, essere più presenti, pensare che il percorso nazionale si costruisce su ogni singolo comune». Altri sono più arrabbiati: «I nostri consiglieri, i nostri sindaci, si sentono abbandonati. I gruppi sono stati lasciati allo sbando». Quel che serve, dicono in molti, è un coordinamento vero. La piattaforma Rousseau — che ha una parte dedicata allo sharing delle buone pratiche negli enti locali — non è sufficiente. Che la sconfitta di Parma sarebbe stata bruciante, il fedelissimo della Casaleggio Max Bugani e il senatore Nicola Morra lo avevano capito quando, alla chiusura, non si sono ritrovati davanti praticamente nessuno. Cinque anni fa Grillo sollevava il braccio di Federico Pizzarotti. Di quella vittoria — «la nostra Stalingrado», aveva scritto il blog — sono rimaste solo macerie. A Pizzarotti era stato rimproverato proprio quello che molti parlamentari dicono oggi: l’aver parlato della necessità di una struttura fisica, di un coordinamento vero. Cacciato lui, a Parma il Movimento è di fatto scomparso.
Più che Stalingrado oggi Parma è una Caporetto. Che dimostra che un MoVimento 5 Stelle senza Grillo è possibile. E che l’era degli yesman ha preso oggi una robusta tranvata. Per scomparire definitivamente, però, ci vorrà una sconfitta personale. Potrebbe arrivare presto.

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