Raggi, l’annus horribilis della sindaca in 10 punti
Dodici mesi pieni di grane in cui la sindaca della Capitale ha perso la fiducia che i romani gli avevano concesso
“Ora tocca a noi”. E’ stata questa la promessa fatta da Virginia Raggi, prima sindaca donna di Roma, al suo primo giorno da fascia tricolore. Poi allo scadere dei primi 100 giorni di amministrazione, la punta di diamante del M5S che si candida al governo del Paese, ammetteva candidamente di “non essere perfetta”.
A distanza di un anno, arriva finalmente il vero primo bilancio per l’avvocatessa per cui i grillini invocavano ad una sola voce: “Ma datele il tempo, è stata appena eletta“. È dunque tempo per tirare le somme e vedere i risultati per un’amministrazione che, nei fatti, sembra ancora ferma ai blocchi di partenza.
Ma andiamo con ordine e ripercorriamo, in dieci punti, le tappe che hanno caratterizzato questa amministrazione.
- Le promesse (e gli inciampi) della campagna elettorale – L’entusiasmo della vittoria per Virginia, la valanga che sbaragliò gli avversari è un lontano ricordo, ma al di là dei festeggiamenti, per i grillini la corsa allo scranno più alto del Campidoglio non è stata una passeggiata. Anzi risulta qualche scivolone e qualche “dimenticanza” di troppo. L’omissione nel curriculum vitae del praticantato svolto nello studio di Pieremilio Sammarco (il cui fratello Alessandro è stato legale di Silvio Berlusconi, di Cesare Previti e del fondatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri), così come alcune collaborazioni e consulenze in società vicine a uomini della destra romana: ad esempio la presidenza della HGL srl, di proprietà di Gloria Rojo, dirigente Ama ed ex segretaria di Franco Panzironi, ex Ad di Ama, braccio destro di Alemanno, arrestato il 2 dicembre 2014 per Mafia Capitale (poi condannato a 5 anni e 3 mesi e tuttora agli arresti). Senza parlare dei rapporti che Virginia ha avuto con la destra romana. Inoltre già in campagna elettorale erano state poste le basi affinché il sindaco fosse semplicemente un colonnello di frontiera della Casaleggio Associati. Il contratto (penale compresa) è stato lo strumento con cui attivare il telecomando milanese che ha per esempio pigiato il tasto No per le Olimpiadi. Le linee programmatiche fornite a fine luglio sono rimaste solo belle intenzioni. I romani non sono entrati nelle istituzioni come promesso nella prima diretta Facebook post vittoria. Anzi l’attività della giunta non è nemmeno mai partita veramente.
- Il puzzle della giunta – All’inizio la squadra della Raggi avrebbe dovuto essere annunciata. prima del voto. Poi, però, l’appuntamento dato dalla candidata pentastellata saltò perché, questa la spiegazione, alcuni componenti della squadra avevano chiesto riservatezza sul proprio nome per motivi professionali. In realtà le difficoltà non sono mancate: e i “no, grazie” sono stati parecchi. Questo ha portato a gravi ritardi nella partenza della macchina politico-amministrativa. Poi una volta annunciata la squadra più di una nomina ha fatto discutere: come quella del braccio destro Daniele Frongia a capo di gabinetto (poi passato a fare il vicesindaco) e la nomina di Raffaele Marra a vice capo di gabinetto vicario. Si scatena una polemica interna nel M5s: il dirigente comunale in passato ha avuto ruoli apicali sia con la giunta comunale di Gianni Alemanno che con quella regionale di Renata Polverini. Ma è solo l’inizio: in totale sono ben quattro i rimpasti di giunta. Il ritmo è quello di un rimpasto ogni due mesi.
- Addii, veleni e poltrone in ballo – Se è stato difficile annunciare la squadra, per Virginia sarà ancora più complicato tenersela stretta. In un valzer senza sosta, le defezioni si accompagnano alle aperte contestazioni. La festa a 5 stelle insomma finisce ancor prima di cominciare. Ben lontano dall’essere una squadra coesa, i pentastellati sono preda di faide e lotte interne. Del resto è successo anche a Marcello De Vito, ora presidente dell’assemblea capitolina, azzoppato alla vigilia delle “comunarie” da una presunta congiurache voleva candidare la Raggi al posto suo. In Campidoglio si scontrano due “cerchi magici”: quello della sindaca e il direttorio. Ad inizio settembre ci sarà un effetto slavina sulla giunta capitolina, con dimissioni di massa. Si dimetterà, per irregolarità nella nomina, il Capo di gabinetto Carla Romana Raineri. E lascia anche l’assessore al Bilancio, Marcello Minenna, l’uomo che ha in mano i conti del Campidoglio, il bilancio ma anche le partecipate, la spending review e il debito. Non solo, si susseguono la nomina e revoca dell’assessore Raffaele De Dominicis, le dimissioni di Marco Rettighieri, direttore generale Atac nominato da Tronca e le dimissioni di Armando Brandolese, amministratore unico di Atac. E ancora le dimissioni di Alessandro Solidoro, amministratore unico Ama. Cinque tecnici che hanno lasciato i loro posti in aperta contestazione della giunta Raggi e ben attenti a fare rumore denunciando un “deficit di trasparenza”, il capo di gabinetto Carla Raineri fa capire che in Campidoglio c’è carenza di legalità, i vertici di Atac si dicono costretti alle dimissioni per “indebite ingerenze” della giunta.
- Il caso Muraro – Dopo le cinque dimissioni in un giorno tra assessori e importanti dirigenti del Comune, che il Movimento 5 stelle non ha spiegato ma su cui ha molto litigato, scoppia il caso Muraro, grande tallone d’Achille della giunta Raggi. Dopo 5 mesi di imbarazzo tra i cinquestelle, l’assessore di Roma all’Ambiente si dimetterà dopo che sarà chiaro il suo coinvolgimento da indagata nell’inchiesta sui rifiuti aperta mesi fa dalla Procura di Roma. Sarà lei stessa a emettere il giudizio più spietato nei confronti della prima cittadina: “È una guerra tra bande, non lavorano per Roma” dirà dopo due mesi dalle dimissioni dopo essere stata raggiunta da un avviso di garanzia. Sotto indagine per reati ambientali, vengono messi sotto la lente d’ingrandimento della Procura i suoi rapporti con il “re della monnezza” Manlio Cerroni. Finisce così l’esperienza in Campidoglio dell’ex consulente decennale di Ama. Dai primi blitz di luglio in piena emergenza rifiuti, ai vari “spazzatour” nei quartieri più sporchi della città, dai processi mediatici alle indagini reali per abuso d’ufficio e reati ambientali, a emergere sarà soprattutto la strenua difesa che metterà in atto la Raggi. Il primo punto. tutto politico, è ancora senza risposta: perché Raggi scelse chi era stata super retribuita consulente di Ama negli anni in cui l’azienda era governata dagli uomini di Gianni Alemanno, Panzironi e Fiscon, poi finiti dentro Mafia Capitale. Virginia Raggi sapeva dal 18 luglio dell’indagine sull’assessora. L’assessora ha negato per giorni e giorni alla stampa di sapere qualcosa. E la bugia ha coinvolto anche la sindaca. E a salire i vertici pentastellati: Luigi Di Maio, informato da una mail inviata da Paola Taverna non ha detto nulla. Solo dopo ammetteranno. E Muraro, parlerà ancora con la stampa. “C’è all’opera un gruppo trasversale di affaristi dentro e fuori il Movimento“. Parole che saranno ancora più comprensibili quando scoppierà l’altra grossa bomba: l’arresto di Marra.
- Il caso Marra – Il 16 dicembre Raffaele Marra, capo del personale del Comune e considerato molto vicino alla sindaca, è stato arrestato dai carabinieri con l’accusa di corruzione. A volerlo in quella posizione fu proprio Raggi che lottò con molte resistenze interne. Tanto che Roberta Lombardi definì Marra un virus che infetta il movimento. L’inchiesta riguarda l’acquisto di un immobile dell’Enasarco, per la quale secondo l’accusa, Marra avrebbe ricevuto una somma dal costruttore Sergio Scarpellini (anche lui finito in manette). All’epoca dei fatti, Marra era a capo del Dipartimento politiche abitative del comune di Roma durante la giunta di centrodestra di Alemanno. Appreso dell’arresto Raggi non avrà remore a scaricare Marra definendolo solo come uno dei 23mila dipendenti del Comune. “Ci siamo fidati e abbiamo sbagliato” si giustificherà in una conferenza stampa senza domande. Ciò che emergerà in seguito è invece un rapporto strettissimo. Virginia Raggi risulta infatti indagata nell’inchiesta relativa alla nomina a capo del Dipartimento turismo del Campidoglio di Renato Marra, fratello di Raffaele. La nomina successivamente è stata revocata. Ma la Raggi rischia concretamente un rinvio a giudizio per abuso di ufficio e falso in atto pubblico. A far discutere saranno le chat e le memorie dei telefoni cellulari e del Pc di Marra che aperte nei laboratori del Nucleo investigativo dei Carabinieri daranno un quadro inquietante dei rapporti e della gestione della Capitale. Ed è dalle chat che emerge l’incapacità della sindaca di intervenire: non solo l’ex braccio destro della sindaca ha individuato una posizione per suo fratello che viene invitato a presentare domanda ma la Raggi viene messa a conoscenza della nomina a cose fatte (compreso l’aumento di stipendio). Intanto tra i grillini non se ne parla e anzi cercano di evitare l’argomento. ma si sta già studiando un piano per attutirne l’impatto politico-mediatico nazionale: che fare in caso di rinvio a giudizio per la sindaca? A quel punto il giustizialismo del tutti a casa tanto predicato dai grillini vacillerà come un castello di carte. Non a caso nel nuovo codice per gli eletti c’è una vera e propria svolta garantista affermando che non c’è necessariamente gravità in caso di avviso di garanzia, né tanto meno l’espulsione.
- La vicenda polizze – La vicenda ha impegnato per molti giorni tutti i media. Si tratta del caso delle polizze vita sottoscritte dal suo ex capo di segreteria Salvatore Romeo e in cui Raggi era indicata come beneficiaria. Romeo ne aveva fatte due a favore della sindaca: una da 3000 euro con scadenza nel 2019, una senza scadenza da 30 mila euro. Queste fatte prima della vittoria della Raggi alle elezioni. Una terza è poi stata fatta a dicembre scorso, da 8000 euro. La sindaca Raggi, “esterrefatta”, presenta in Procura un esposto contro l’uomo di cui si sente vittima, Salvatore Romeo, che con lei è indagato per abuso di ufficio e che le aveva giurato devozione.
- Il no alle Olimpiadi – È lunga, lunghissima, l’onda del no della sindaca Virginia Raggi alle Olimpiadi del 2024. Tanto da toccare anche la Corte dei conti: la procura ha aperto un fascicolo sul bilancio del comitato a sostegno della candidatura di Roma ai Giochi. Sul piano politico le settimane dello scontro a distanza tra l’inquilina del Campidoglio e Giovanni Malagò si sono rette su sgarbi istituzionali (su tutti, l’inutile attesa del numero uno del Coni in Campidoglio, con la sindaca a pranzo in un ristorante in zona Termini pur sapendo dell’appuntamento) e continui scambi di accuse. Allo stato dell’arte per Roma la vicenda rimane la più grande occasione perduta.
- Lo stadio della Roma – I grillini ne hanno avevano fatto una bandiera: la trasparenza contro la speculazione. Ma nella delibera licenziata dalla Giunta Raggi sullo stadio della Roma, tanti sono ancora i nodi da sciogliere e tanti rimangono i punti oscuri. Il progetto, fortemente cambiato rispetto a quello proposto e approvato dalla Giunta di Ignazio Marino è ora al vaglio di una tre giorni per arrivare al voto entro mercoledì 14 giugno, in modo da “poter consegnare tutti i documenti alla Regione Lazio il 15 giugno”. Ma ormai a sollevare perplessità non è più solo l’opposizione. A far parlare è stato l’allontanamento della ‘dissidente’ consigliera Cristina Grancio da parte del M5S a causa della sua contrarietà al progetto.
- Il sogno infranto dei rifiuti zero – La rivoluzione grillina doveva partire proprio da qui. La campagna elettorale all’insegna di #romaversorifiutizero si è fermata alla dichiarazione di intenti. E dalle promesse si è passati direttamente alle giustificazioni. E se è vero che l’eredità era pesante è altresì incontrovertibile che sul tema si sono susseguiti solo proclami e false partenze. E così tra un complotto dei frigoriferi, un topo e il degrado diffuso, persino un editoriale del New York Times firmato da Frank Bruni. ha certificato che “la situazione” dei rifiuti “è peggiore del solito e più deprimente che mai”. Le soluzioni messe in campo dal blog si fermano alla chiacchiera da bar dello sport. I rimpalli di responsabilità con la regione Lazio fanno emergere il tentativo di giocare allo scaricabarile. E alla fine quello che rimane è solo un altro progetto che non riesce a risolvere la situazione. Intanto i cassonetti nelle strade della Capitale, tranne qualche zona, non accennano a svuotarsi. Come del resto non diminuiscono i cumuli di sacchetti.
- Il trasporto pubblico – E’ stato l’altro tema su cui i grillini hanno puntato in campagna elettorale. Ma il “miracoloso cambiamento” promesso in campagna elettorale, anche in questo caso, è rimasto solo sulla carta. Rimangono da annoverare il blitz a Tor Pagnotta del 22 febbraio scorso con la “scoperta” dei 45 filobus fermi e l‘insanabile scontro fra Campidoglio e vertici Atac, che nero su bianco, denunciano le ingerenze su alcune questioni di gestione del personale. Tutt’ora manca una visione d’insieme un progetto con cui superare la solita giustificazione: “è colpa di chi c’era prima”. Un anno dopo la presa di potere manca insomma un vero e proprio progetto alternativo. Meglio sognare ancora la funivia urbana, come se questo servisse davvero per una città come Roma.
Insomma ad un anno di distanza dalle elezioni i romani fanno pollice verso alla sindaca e alla sua giunta. Secondo il sondaggio Index Research, la Capitale non sta meglio: rifiuti e trasporti in cima alla lista dei servizi che sarebbero addirittura peggiorati. Secondo i romani nessuno dei temi che riguardano la qualità della vita dei cittadini sono migliorati. In particolare, sono peggiorati la gestione dei rifiuti per il 56,8% degli intervistati, il sistema dei trasporti per più della metà.
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