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"La possibilità di rientrare in Italia alla dottoressa Sabina Berretta fu data...". Una lettera arrivata a Repubblica aggiunge un nuovo tassello alla vicenda della scienziata italiana che dopo essersi laureata con lode all'università di Catania non riuscì a vincere nemmeno il posto da bidella nell'istituto di Fisiologia dove svolgeva attività di ricerca. E grazie a una borsa di studio del Cnr volò invece in America: dove ha fatto una brillante carriera e ora dirige l'Harvard Brain tissue resource center del McLean Hospital di Boston, la banca dei cervelli più importante del mondo.

A scrivere è Giuseppe Ferraro, professore di Fisiologia umana al dipartimento di Biomedicina Sperimentale e Neuroscienze cliniche dell'Università di Palermo. E questa è la storia che il professore racconta ora a Repubblica: "Era il 1992, lo ricordo bene, perché erano i giorni immediatamente successivi all'omicidio Borsellino. Partecipammo ad un concorso per due posti di ricercatore, che con la vecchia legge erano posti a tempo indeterminato, nel settore Fisiologia umana. Eravamo sei iscritti, la prima prova fu a luglio, l'atmosfera in città era tesissima e facemmo le prove scritte in uno stato emotivo particolare. Alla prova orale, a ottobre, fummo ammessi in tre. E quei due posti li vincemmo io e la professoressa Berretta. Essendo un incarico pubblico bisognava presentare tutte le documentazioni necessarie. Io lo feci. La professoressa Berretta, no. Pensavamo tutti, anche il rettore, che il terzo qualificato potesse prendere dunque il suo posto. Ma scoprimmo solo allora che il bando per quel tipo di concorso, che non è più attivo perché oggi i ricercatori sono solo a tempo determinato, non prevedeva graduatoria. Solo i vincitori potevano accedere. Bisognò dunque indire un nuovo bando per assegnare quel posto: e passarono altri due anni".

Da Boston, dove vive, Sabina Berretta ribatte: "Certo, ricordo bene di essere stata a Palermo. Vivevo già da due anni in America e al laboratorio del Mit dove ero approdata con la borsa di studio italiana apprezzavano molto il mio lavoro. Partecipai al concorso soprattutto per un riguardo al mio professore di Fisiologia che ci teneva molto e a cui era stato chiesto di trovare candidati idonei. Mi resi però conto che il posto era per un titolo di ricercatore, sì: ma senza laboratorio e senza fondi. Insomma avrei dovuto interrompere le mie ricerche già avviate in America. Ricordo che mi venne mostrato uno stanzino usato come stabulario per i ratti e mi fu detto che forse si poteva trasformare in un ambiente di ricerca. Se non avessi già conosciuto la realtà degli Stati Uniti, quasi sicuramente sarei stata felice di accettare quel posto. So che coloro che lo vinsero hanno avuto in Italia delle brillantissime carriere: sono stimati colleghi. Ma proprio subito dopo quel concorso a Palermo il Mit mi offrì una borsa di studio molto prestigiosa con ampi fondi per proseguire le mie ricerche. La mia scelta a quel punto non fu difficile: misi la scienza, la possibilità di proseguire i miei studi, davanti a tutto. E non me ne sono mai pentita".

Il professor Ferraro naturalmente non critica la scelta della collega, che definisce "una brillantissima studiosa". Vuole soprattutto mandare un messaggio ai giovani: "Con determinazione e impegno anche in Italia ce la si fa. E all'epoca anche un ateneo del Sud, pur con i suoi limiti, diede la possibilità di rientrare in Italia alla signora. Che prese una decisione rispettabilissima. Io ho fatto un percorso diverso: ero a Londra quando vinsi il concorso, so quali differenze di possibilità e offerta ci sono all'estero. Decisi di rientrare perché il settore era carente, venivamo fuori da una dissennata legge, la 382 sulle idoneità di associati che consentì a molte persone non perfettamente qualificate di entrare nei ranghi dell'università. Mi sentii, insomma, parte di un cambiamento necessario. In Italia ci sono ancora molte situazioni difficili e da correggere. Il mio messaggio è che vale la pena battersi anche da qui".

Due
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percorsi che si sono intrecciati per un breve momento, quello della dottoressa Berretta e del professor Ferraro: entrambe testimonianza della grande vitalità della ricerca italiana. A cui bisognerebbe certamente dedicare - dicono entrambi - più fondi e più attenzione.