venerdì 15 gennaio 2016

Matteo Salvini deus ex machina della Lega per le amministrative. Ma nei territori gli sfilano il partito dalle mani

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SALVINI CALDEROLI
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Sul fronte delle alleanze per le prossime comunali –ancora in alto mare nel centrodestra- le carte continuerà darle lui, ma il processo di rottamazione salviniana nei gangli della Lega, a oltre due anni dall’incoronazione del leader, procede più che a rilento. E così a febbraio, alla fine della tornata dei congressi regionali, Matteo Salvini rischia di portare a casa solo la Liguria, con l’elezione del fedelissimo Edoardo Rixi. Oltre al Friuli Venezia-Giulia che da un anno e mezzo è nelle mani del fidato capogruppo alla Camera Massimiliano Fedriga.
In tutto il resto della “Padania”, l’altro Matteo è in affanno. Il caso più eclatante è quello del Piemonte, che esce da un decennio di controllo da parte di Roberto Cota, e dove la Lega è chiamata a congresso il 14 febbraio. Contro il trentenne ed ex assessore regionale Riccardo Molinari, fedelissimo di Salvini, è schierata Gianna Gancia, moglie di Roberto Calderoli, che negli ultimi mesi è stato molto attivo in regione per sostenere la consorte. I motivi della battaglia piemontese di Calderoli non sono chiari: fonti vicine a Salvini si chiedono il perché di questo accanimento. “Roberto ha avuto carta bianca da Matteo, in Senato si muove come vuole, come è successo con i milioni di emendamenti alle riforme. Cosa vuole ancora?”. Altri ipotizzano che Calderoli sia infastidito dal fatto che, sul fronte alleanze e nelle trattative col Cavaliere, Salvini ha scelto come interlocutore privilegiato Giancarlo Giorgetti.
Non c’è solo il vicepresidente del Senato a remare contro. Anche l’europarlamentare Gianluca Buonanno, molto radicato in Valsesia, ha deciso di sostenere la Gancia, pare in polemica con via Bellerio per essere stato allontanato dai talk show per via delle pistole esibite e di altre esternazioni fuori dalle righe. In questo quadro, la corsa di Molinari, che pure ha raccolto le 350 firme necessarie per la candidatura, appare molto in salita. Al punto che Salvini starebbe decidendo – e la conferma arriva da ambienti vicini al leader- di far saltare il congresso e nominare commissario almeno fino a dopo le comunali: si parla un quarantenne lombardo, il consigliere regionale Pietro Foroni.
In Veneto la strada appare più in discesa, ma il candidato che succederà all’esule Flavio Tosi dopo un anno di commissariamento della Liga non è certo un ragazzo di Salvini. Si tratta dell’ex sindaco di Vittorio Veneto Gianantonio Da Re, sessantenne, già sodale dell’ex ras di Treviso Gianpaolo Gobbo e bossiano da sempre. Insomma, un uomo della vecchia guardia. Lorenzo Fontana, veronese e uomo forte di Salvini a Bruxelles, è stato indotto dal leader a fare un passo indietro: troppo alto il rischio di una sconfitta ad opera di Da Re, che è molto legato al governatore Zaia di cui è uno dei padri politici. E così la soluzione unitaria per il congresso del 7 febbraio appare come un compromesso del giovane leader con i vecchi padroni della Liga dai tempi del Senatur. Con un nodo in più: contro il candidato in pectore si sta muovendo il potente sindaco di Padova Massimo Bitonci.
Spine anche in Emilia, dove poco prima di Natale il candidato salviniano, il 24enne piacentino Matteo Rancan, è stato sconfitto al congresso dal consigliere comunale di Reggio Emilia Gianluca Vinci, che non è certamente ostile al leader, ma è stato un ammiratore del sindaco di Verona Tosi, di cui voleva importare il modello amministrativo in Emilia. Nello scorso ottobre, in Romagna il segretario regionale e deputato Gianluca Pini ha passato la mano a un suo fedelissimo, Jacopo Morrone, con una soluzione unitaria e per acclamazione. I romagnoli storicamente sono un po’ a lato rispetto alle faide leghiste del lombardo-veneto, ma la lunga segreteria Pini si è distinta per una certa autonomia da via Bellerio: schema che dovrebbe ripetersi anche con Morrone.
La potentissima Lombardia è già andata a congresso a novembre del 2015, dopo una serie di rinvii che i maligni attribuiscono alle difficoltà dell’allora candidato salviniano, Massimiliano Romeo, capogruppo leghista al Pirellone. Alla fine l’ha spuntata Paolo Grimoldi, deputato, vecchia conoscenza di Salvini dai tempi dei Giovani padani. Un candidato che, raccontano in Lega, è stato più tollerato dal leader che realmente desiderato. Tra i due infatti, nonostante l’apparente armonia, sottopelle cova una antica rivalità. Tanto che a via Bellerio si sospetta che la vecchia guardia maroniana, a partire dall’assessore regionale Gianni Fava, pensi a lui come candidato da far crescere e lanciare nel momento in cui la stella di Salvini dovesse appannarsi. Non subito però. Al congresso federale previsto entro fine 2016 (ma che potrebbe tenersi già a primavera) non sono previsti candidati alternativi al segretario in carica.
Lo scacchiere delle regioni, molto importanti nel Carroccio, non sorride al leader. Tra i leghisti, una delle ipotesi che circola è che questi risultati siano dovuti a resistenze della base rispetto all’ipotesi di costruire un partito unico su base nazionale, fondendo la Lega con “Noi con Salvini”. Un progetto che il leader accarezza da tempo, ma che ancora non si è concretizzato. Anche per le difficoltà incontrate nel centrosud nel tentativo di costruzione di una classe dirigente potabile. Con questi numeri, il progetto “national” in chiave lepenista sembra destinato a restare nel cassetto ancora per alcuni mesi.

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