Il presidente del consiglio municipale è stato per dieci mesi incompatibile e ineleggibile perché deteneva quote di una società che opera in convenzione con il Comune di Roma. Ma il M5S in nome della trasparenza ha sempre negato l'incompatibilità. E quando è arrivato il parere dell'Avvocatura Massimo Di Camillo ha ceduto le sue quote "per il bene dei consiglieri municipali" ed è rimasto in sella. Olé. Carramba che sorpresa
Il MoVimento 5 Stelle si fonda su due principi: onestà e trasparenza. A fare da corollario una rigorosa selezione della classe dirigente, fatta dai cittadini stessi che vagliano i curricula dei candidati. Ma un conto sono i principi un conto è la pratica. Perché spesso e volentieri il M5S applica un’altra regola: quella della trasparenza e onestà quannocepare. Prendiamo ad esempio il caso di Massimo Di Camillo, presidente del consiglio del Municipio XII, eletto anche se ineleggibile perché in palese conflitto d’interessi.
Il conflitto d’interessi del consigliere a 5 Stelle
La storia è emblematica del modo di fare dei 5 Stelle. Di Camillo è stato eletto dieci mesi fa consigliere municipale e successivamente presidente del consiglio del Municipio retto da Silvia Crescimanno. Ma non avrebbe potuto farlo perché socio al 50% di una società titolare di un asilo nido in convenzione con il Comune di Roma. Durante questi dieci mesi curiosamente Di Camillo ha anche espresso parere contrario all’apertura di un altro nido nella zona costato 1,2 milioni di euro e frutto di un accordo tra il Comune e il consorzio Solari. Il consigliere 5 Stelle spiegava che «Nella zona abbiamo un altro asilo che attualmente non è occupato. Questo fa venire dei dubbi su facoltà o legittimità di aprire un nuovo asilo. Aspettiamo il nuovo bando e vediamo quante richieste ci saranno». L’altro asilo era l’Only Kids di proprietà della società RO.MA.Srl della quale fino al 27 settembre 2016 Di Camillo era anche amministratore.
A sollevare la questione del conflitto di interessi e dell’incompatibilità di Di Camillo non sono stati i 5 Stelle. A farlo sono stati i consiglieri d’opposizione del gruppo di Fratelli d’Italia Giovanni Picone, Marco Giudici e Francesca Grosseto. I consiglieri a marzo hanno denunciato come la posizione di Di Camillo fosse in violazione dell’articolo 63 del Testo Unico degli Enti Locali (Tuel).
La trasparenza del MoVimento 5 Stelle
Quando venne denunciata l’incompatibilità del consigliere il gruppo consiliare del M5S disse che non c’era alcuna irregolarità. L’onesto Di Camillo del MoVimento degli onesti era nel giusto. Ma nel frattempo il presidente del consiglio municipale si sbarazza delle quote di sua proprietà. Questo avviene il 6 aprile 2017. Che bisogno c’era di farlo se non c’era nessuna incompatibilità? Di Camillo spiegò di “non voler mettere in difficoltà tanti consiglieri”.
Uno degli altri motivo che hanno spinto Di Camillo a cedere le quote della società che ha un contratto con il Comune fino a fine luglio 2017 è il fatto che intanto era stato richiesto un parere all’Avvocatura capitolina. Il parere dell’Avvocatura certifica che il consigliere era incompatibile e ineleggibile. Lo è stato dal giorno della sua elezione fino ad aprile. Dimostrando un tenace attaccamento alla poltrona più che ai principi del M5S Di Camillo ha rimosso la causa dell’incompatibilità appena prima di essere dichiarato incompatibile. Successivamente Di Camillo dichiarò che il parere dell’Avvocatura non contava più. Il consigliere infatti aveva rimosso le cause di incompatibilità. Il MoVimento 5 Stelle, Presidente del Municipio in testa, lo ha sempre difeso sostenendo non ci fosse alcuna incompatibilità. Roma Today però rivela che il Segretariato in data 6 aprile aveva protocollato il parere con cui dichiarava l’incompatibilità del consigliere. Parere che Crescimanno ha sempre detto di non aver mai ricevuto. Curiosamente proprio la stessa data in cui Di Camillo ha ceduto le quote societarie. Forse è un caso ma anche Silvia Crescimanno è stata protagonista di una divertente storia di onestà e trasparenza à la 5 Stelle.
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