Fondi in continuo calo e prospettive di carriera incerte
Ecco perché le nostre eccellenze decidono di andare via
Ecco perché le nostre eccellenze decidono di andare via
Italia senza fascino
per i ricercatori
Estero scelta obbligata
per i ricercatori
Estero scelta obbligata
di Daniele Lettig wROMA Come un fiume carsico, la polemica sulle difficoltà della ricerca in Italia si riaffaccia ciclicamente. L’ultimo capitolo è il post pubblicato su Facebook il 13 febbraio da Roberta D’Alessandro, ricercatrice italiana che vive e lavora a Leida, in Olanda, diretto contro il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini: «Ministra, la prego di non vantarsi dei miei risultati» esordiva il post, condiviso in poco tempo da migliaia di persone. La Giannini, il giorno precedente, sempre su Facebook aveva esultato per le 30 borse di studio ottenute da ricercatori italiani nell’ambito del programma “Consolidator Grant 2015” dell’European Research Council (Erc), un’agenzia dell’Unione europea dedicata al supporto della ricerca scientifica. I progetti d’eccellenza che superano le rigide selezioni vengono finanziati con somme che possono arrivare fino a 2 milioni di euro per cinque anni. Il bando pubblicato nel 2015 ha assegnato 30 borse, su un totale di 302, a ricercatori di nati nel nostro Paese, che risulta al terzo posto nella classifica delle nazioni con più finanziamenti ottenuti. Tuttavia gli assegni non vengono attribuiti al Paese-Italia, ma ai singoli ricercatori: sono loro poi a decidere l’istituzione presso la quale utilizzarli. E quelli che hanno scelto di svolgere le loro ricerche in Italia sono meno della metà, 13 su 30. Questo aspetto potrebbe non essere un problema: anche sei ricercatori britannici andranno fuori dal loro Paese. Però il Regno Unito avrà un bilancio di 67 nuovi studiosi: 26 che resteranno a lavorare in patria, e ben 41 provenienti dall’estero. Al contrario in Italia, a fronte dei 17 connazionali che faranno ricerca all’estero, non arriverà neanche uno studioso straniero. «I fondi Erc sono la ciliegina sulla torta. Il problema è che la torta in Italia non c’è, ed è un problema strutturale» dice Francesco Sylos Labini, astrofisico del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) a Roma. Dal 2009 al 2015, infatti, l’importo del Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), cioè dei soldi che servono a pagare gli stipendi e a gestire le strutture universitarie, è passato da circa 7,5 miliardi di euro a poco meno di 6,5: «Un taglio – prosegue Sylos Labini – non degli stipendi, ma dei soldi “liberi”, quelli destinati a reclutamento e ricerca». Risultato? La diminuzione di circa un sesto del numero di professori e ricercatori, dai 60 mila del 2008 ai 51 mila del 2015. Anche le risorse destinate ai bandi Prin (Progetti di interesse nazionale), ovvero alla ricerca di base, sono costantemente calate: il valore annuale di questo finanziamento, che fino al 2010 si aggirava sui 100 milioni di euro, negli ultimi tre anni è sceso a 13 milioni. L’ultimo bando del ministero, pubblicato a novembre 2015 , prevede uno stanziamento di poco meno di 92 milioni spalmati sui prossimi tre anni. In Francia, il programma analogo ha erogato nel solo 2014 finanziamenti per 414 milioni. Quindi, dice ancora l’astrofisico, «la domanda è: una volta che hai vinto l’ Erc vai a svolgere la tua ricerca in un Paese che ha un finanziamento strutturale e dunque ti offre una prospettiva di carriera certa, o in uno dove non sai se mai verrai assunto?» «Se si vuole far venire una persona brillante, gli si deve garantire una prospettiva a lungo termine» aggiunge il fisico Giorgio Parisi, che ha scritto una lettera aperta all’Ue firmata da altri 68 colleghi: lo scopo è fare pressione al nostro governo affinché «porti i fondi per la ricerca a un livello superiore a quello della pura sussistenza»: attualmente, è il suo allarme, «stiamo finanziando la ricerca degli altri perché non siamo in grado di sostenere la nostra».
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