Marwan, il bimbo muto siriano in fuga dalla guerra
Il trauma delle bombe a 12 anni. I genitori uccisi. Lo choc che lo ha reso muto. Fino all'incontro con Allan. Che lo ha salvato: «Così siamo fuggiti da Aleppo».
da Beirut
La guerra in Siria è ormai la guerra dei 100 fronti.
Potenze regionali e mondiali si confrontano in cielo e sul terreno nel tentativo di affermare la propria superiorità in Medio Oriente.
In Libano, però, è anche la guerra delle centinaia di migliaia di siriani arrivati nel Paese.
Ognuno di quei volti ha una storia da raccontare, a volte anche con un finale non del tutto drammatico.
CON LO SGUARDO BASSO. «Noi profughi qui per le strade di Beirut siamo subito riconoscibili. Guardiamo sempre in basso, come se avessimo paura di guardare avanti a noi o dovessimo stare ancora attenti alle macerie o agli ordigni delle nostre strade».
Allan (il nome è falso per ragioni di sicurezza) ha 35 anni e viene da Hama.
FACEVA IL RICERCATORE. «Ero un ricercatore universitario, un parassitologo. Quando è iniziata la guerra la nostra casa è stata prima sequestrata dai ribelli e poi distrutta dai bombardamenti del governo. Pochi mesi dopo mio padre è morto, non per la guerra, ma per il dolore».
Dopo la morte del padre e la distruzione della loro casa, Allan e la sua famiglia sono scappati ad Aleppo.
ASSIEME A LUI MARWAN. Con Allan c’è un bambino di 12 anni, Marwan: «Non un mio parente, ma in un certo senso fa parte della mia famiglia».
Allan racconta che lo ha conosciuto nei mesi passati ad Aleppo.
«Dopo ogni bombardamento vedevo questo bambino aggirarsi tra le macerie. Un paio di volte ho provato a parlargli senza risultato».
ORFANO E SENZA PAROLA. Col passare del tempo ha scoperto la sua storia.
Tutta la famiglia era morta sotto uno dei primi bombardamenti.
Rimasto solo, sopravviveva grazie all’aiuto dei vicini, ma aveva sempre rifiutato di trasferirsi a casa di qualcuno di loro. Viveva nella strada dove una volta era la sua casa.
«Poi ho scoperto che per lo choc aveva smesso di parlare. Dopo ogni bombardamento andava in strada. Immagino alla ricerca dei suoi genitori».
AMICIZIA SILENZIOSA. Con il passare del tempo i due hanno stretto un'amicizia silenziosa.
«Non so perché, ma quel bambino mi aveva colpito, così ho iniziato a passare molto tempo con lui camminando per le strade in silenzio. A un certo punto Marwan ha accettato di fermarsi a dormire da noi e non solo di venire a mangiare».
Potenze regionali e mondiali si confrontano in cielo e sul terreno nel tentativo di affermare la propria superiorità in Medio Oriente.
In Libano, però, è anche la guerra delle centinaia di migliaia di siriani arrivati nel Paese.
Ognuno di quei volti ha una storia da raccontare, a volte anche con un finale non del tutto drammatico.
CON LO SGUARDO BASSO. «Noi profughi qui per le strade di Beirut siamo subito riconoscibili. Guardiamo sempre in basso, come se avessimo paura di guardare avanti a noi o dovessimo stare ancora attenti alle macerie o agli ordigni delle nostre strade».
Allan (il nome è falso per ragioni di sicurezza) ha 35 anni e viene da Hama.
FACEVA IL RICERCATORE. «Ero un ricercatore universitario, un parassitologo. Quando è iniziata la guerra la nostra casa è stata prima sequestrata dai ribelli e poi distrutta dai bombardamenti del governo. Pochi mesi dopo mio padre è morto, non per la guerra, ma per il dolore».
Dopo la morte del padre e la distruzione della loro casa, Allan e la sua famiglia sono scappati ad Aleppo.
ASSIEME A LUI MARWAN. Con Allan c’è un bambino di 12 anni, Marwan: «Non un mio parente, ma in un certo senso fa parte della mia famiglia».
Allan racconta che lo ha conosciuto nei mesi passati ad Aleppo.
«Dopo ogni bombardamento vedevo questo bambino aggirarsi tra le macerie. Un paio di volte ho provato a parlargli senza risultato».
ORFANO E SENZA PAROLA. Col passare del tempo ha scoperto la sua storia.
Tutta la famiglia era morta sotto uno dei primi bombardamenti.
Rimasto solo, sopravviveva grazie all’aiuto dei vicini, ma aveva sempre rifiutato di trasferirsi a casa di qualcuno di loro. Viveva nella strada dove una volta era la sua casa.
«Poi ho scoperto che per lo choc aveva smesso di parlare. Dopo ogni bombardamento andava in strada. Immagino alla ricerca dei suoi genitori».
AMICIZIA SILENZIOSA. Con il passare del tempo i due hanno stretto un'amicizia silenziosa.
«Non so perché, ma quel bambino mi aveva colpito, così ho iniziato a passare molto tempo con lui camminando per le strade in silenzio. A un certo punto Marwan ha accettato di fermarsi a dormire da noi e non solo di venire a mangiare».
La fuga in Libano grazie a una bugia
Allan ha tentato di scoprire se il piccolo avesse parenti ancora in vita.
Non trovando però nulla dagli assistenti sociali che avevano cercato di prendersi cura di Marwan.
Era davvero rimasto solo.
«Mi raccontarono che avevano cercato di portarlo in un centro di accoglienza, ma che lui continuava a scappare e a tornare nella sua strada, nel quartiere di al-Halabi».
ALEPPO INVIVIBILE. Con il passare del tempo la situazione ad Aleppo continuava a peggiorare.
«Non si poteva più vivere: bombe, colpi di mortaio, niente acqua e poco da mangiare. Con mia madre abbiamo deciso di andare in Libano, ormai avevamo perso tutti. Una sera parlai con Marwan e gli dissi che noi stavamo partendo e che sarebbe potuto venire con noi. Non mi rispose e mi guardò per un tempo che mi è sembrato lunghissimo, poi per la prima volta mi abbracciò».
Tutta la famiglia iniziò il viaggio che li ha portati alla frontiera libanese, lontano dalle bombe e dagli orrori della guerra.
«DISSI CHE ERA MIO FIGLIO». «Mano a mano che ci avvicinavamo al Libano mi chiedevo come avrei fatto a far entrare legalmente Marwan. Ho pensato che l’unico modo fosse dichiarare che era mio figlio, che mia moglie era morta e che nei bombardamenti avevo perso tutti i documenti».
Un rischio: «Ero terrorizzato, cosa sarebbe accaduto se non avessero creduto alla mia storia o se Marwan avesse parlato? Quando ci interrogavano lui si stringeva a me e credo che questo abbia aiutato a dare forza alla mia storia. In pochi minuti da single sono diventato sposato e vedovo con prole».
LONTANI DALLE BOMBE. Ora tutta la famiglia vive, con altri rifugiati, in una stanza umida e buia.
«Qui almeno non abbiamo paura dei cecchini o dei barili bomba. Dovrei far curare Marwan da uno psicologo, forse tornerebbe a parlare, ma qui riusciamo a malapena ad avere i soldi per mangiare. Non riesco a immaginare quale futuro ci aspetta. La Siria non esiste più e il Libano non ci ama».
«VORREI ANDARE IN EUROPA». Quale soluzione, dunque? «Vorrei andare in Europa. Sogno di riprendere il mio lavoro da parassitologo, magari con una delle università con cui collaboravo. Ma non posso partire, mia madre è troppo vecchia e Marwan è troppo piccolo per affrontare i rischi del viaggio fino da voi. Vorrei farle una domanda. Perché invece di accoglierci quando siamo disperati e rischiamo la vita e non ci fate partire regolarmente da qui?».
Non trovando però nulla dagli assistenti sociali che avevano cercato di prendersi cura di Marwan.
Era davvero rimasto solo.
«Mi raccontarono che avevano cercato di portarlo in un centro di accoglienza, ma che lui continuava a scappare e a tornare nella sua strada, nel quartiere di al-Halabi».
ALEPPO INVIVIBILE. Con il passare del tempo la situazione ad Aleppo continuava a peggiorare.
«Non si poteva più vivere: bombe, colpi di mortaio, niente acqua e poco da mangiare. Con mia madre abbiamo deciso di andare in Libano, ormai avevamo perso tutti. Una sera parlai con Marwan e gli dissi che noi stavamo partendo e che sarebbe potuto venire con noi. Non mi rispose e mi guardò per un tempo che mi è sembrato lunghissimo, poi per la prima volta mi abbracciò».
Tutta la famiglia iniziò il viaggio che li ha portati alla frontiera libanese, lontano dalle bombe e dagli orrori della guerra.
«DISSI CHE ERA MIO FIGLIO». «Mano a mano che ci avvicinavamo al Libano mi chiedevo come avrei fatto a far entrare legalmente Marwan. Ho pensato che l’unico modo fosse dichiarare che era mio figlio, che mia moglie era morta e che nei bombardamenti avevo perso tutti i documenti».
Un rischio: «Ero terrorizzato, cosa sarebbe accaduto se non avessero creduto alla mia storia o se Marwan avesse parlato? Quando ci interrogavano lui si stringeva a me e credo che questo abbia aiutato a dare forza alla mia storia. In pochi minuti da single sono diventato sposato e vedovo con prole».
LONTANI DALLE BOMBE. Ora tutta la famiglia vive, con altri rifugiati, in una stanza umida e buia.
«Qui almeno non abbiamo paura dei cecchini o dei barili bomba. Dovrei far curare Marwan da uno psicologo, forse tornerebbe a parlare, ma qui riusciamo a malapena ad avere i soldi per mangiare. Non riesco a immaginare quale futuro ci aspetta. La Siria non esiste più e il Libano non ci ama».
«VORREI ANDARE IN EUROPA». Quale soluzione, dunque? «Vorrei andare in Europa. Sogno di riprendere il mio lavoro da parassitologo, magari con una delle università con cui collaboravo. Ma non posso partire, mia madre è troppo vecchia e Marwan è troppo piccolo per affrontare i rischi del viaggio fino da voi. Vorrei farle una domanda. Perché invece di accoglierci quando siamo disperati e rischiamo la vita e non ci fate partire regolarmente da qui?».
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