martedì 21 aprile 2015

Lo scrittore De Luca ha ragione. Tra la morte sicura a casa della guerra e quella probabile su un barcone si sceglie la seconda.

Guerre e povertà: ecco cosa spinge i migranti a scappare dai loro Paesi

Parla Paolo Beccegato di Caritas: «Stiamo andando verso un aumento abbondante dei flussi migratori internazionali»

Tullio M. Puglia/ Getty Images News

   
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Cosa c'è dietro l'aumento dei flussi migratori cui assistiamo? Il diffondersi progressivo dei conflitti a livello mondiale a partire dal 2006, il moltiplicarsi di eventi meteorologici estremi, le speculazioni finanziarie sulle derrate alimentari di base, e ancora la crescita della spesa militare e il parallelo disintegrarsi degli arsenali ex sovietici e libico. È in questa sequenza di cause, o nel sommerso di diverse concause, che vanno ricercate le ragioni delle «migrazioni forzate» degli ultimi anni, ed è prevedibile che – data l'entità dei fenomeni di cui si parla – assisteremo a una crescita significativa del fenomeno nel prossimo futuro. A spiegarlo è Paolo Beccegato, vicedirettore della Caritas italiana e responsabile dell'area internazionale dell'organizzazione.  
Beccegato, come possiamo spiegare, oltre l'emergenza, la crescente pressione migratoria verso l'Italia e l'Europa?
Il ragionamento parte dal fatto che sul piano geopolitico internazionale, e tutti gli studi lo confermano, abbiamo assistito a un ritorno alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Guerre spesso fra Stati ma comunque quasi sempre con connessioni internazionali; se verso la fine degli anni '90, inizio anni 2000, c'era stato una diminuzione del numero dei conflitti nel mondo, dal 2006 in poi il loro numero è tornato a crescere. Il che ha comportato, di conseguenza, a una crescita di sfollati, rifugiati, distruzioni e quant'altro. 
Quindi il ritorno della guerra fra le cause principali, poi?
Il secondo aspetto è quello del continuo degradarsi dell'ambiente sotto la spinta del cambiamento climatico e anche sotto la spinta delle responsabilità antropiche rispetto a questo fenomeno, vale a dire l'inquinamento della terra, dell'acqua e dell'aria; a ciò aggiungiamo i fenomeni meteorologici estremi che stanno producendo sempre di più una serie di conflitti alla base dei quali troviamo  concause ambientali, da qui una serie di flussi migratori dovuti prevalentemente a una motivazione ambientale significativa, anche in questo caso ampiamente dimostrata scientificamente. Questo è dunque il secondo grande aspetto del fenomeno migratorio che va preso in considerazione. 
Parliamo poi delle speculazioni finanziarie sul cibo...
Sì, se sommiamo a quanto abbiamo detto le speculazioni finanziarie sui prodotti alimentari, e mettiamo insieme questi diversi fattori scorgiamo un contesto internazionale che contribuisce a spiegare perché ci siamo questi enormi flussi migratori. Quindi non sono più persone in cerca di una vita migliore, cosa che comunque avrebbero tutto il diritto di fare, ma si tratta di persone in fuga da una vita invivibile. Si tratta di migranti forzati.
Il nesso speculazione-alimenti, forse è meno conosciuta, di cosa parliamo esattamente?
Diciamo speculazioni finanziarie sulle commodities (beni di larga diffusione e fruibili sui mercati, ndr) in particolare sulle derrate alimentari: grano, frumento, riso e via dicendo. Questo è stato individuato come un elemento cruciale rispetto alle dinamiche geopolitiche. Quando nel 2007-2008 e poi nel 2011-2012 ci sono stati questi grandissimi picchi di prezzi del cibo, grandi Stati importatori di cibo, per esempio l'Egitto, ma un po' tutto il Medio Oriente popoloso e arido, sono andati in crisi. E I primi moti di piazza della Primavera araba sia nel 2007-2008 e poi quelli più noti del 2011-2012, cominciarono al grido di: “pane!”. La richiesta di democrazia si aggiunse successivamente. Questa fenomenologia unita alle altre due produce una situazione difficile. 
La questione delle spese per gli armamenti quanto influisce?
Le spese militari fino al 2001 stavano leggermente diminuendo e dal 2002 in poi, cioè dopo l'11 settembre, ripresero a crescere nel mondo. Quindi anche qui bisogna considerare un gran proliferare di armi, la dispersione di tutto il patrimonio bellico delle ex Repubbliche sovietiche, la diffusione di tecnologia militare low cost da parte della Cina, oltre alla dispersione del patrimonio bellico della Libia nel 2011; sono tutti fenomeni che spiegano la diffusione di armi a basso costo nel mondo. 
Quelli elencati non sono fattori di crisi che si risolvono rapidamente, in pochi mesi, dobbiamo quindi pensare a flussi migratori che proseguiranno, destinati ad aumentare?
La risposta è sì. Siamo infatti di fronte a un insieme di cause tutte pesanti, strutturali, si tratta di  cose che non si risolvono affrontando la singola emergenza, ciascuno dei fenomeni che abbiamo elencato per altro è in crescita. E' quindi facile prevedere che il contesto internazionale stia andando in questa direzione, cioè verso un aumento abbondante dei flussi migratori internazionali cosa che tutti gli analisti concordano nel prevedere. 
L'Italia e l'Europa che parte hanno in tutto questo? 
Bisogna ragionare su uno sforzo di accoglienza maggiore da parte dell'Italia e dell'Europa; se pensiamo ai milioni di rifugiati già accolti da altri Paesi per esempio del Medio Oriente che, in proporzione, ospitano una quantità di persone molto superiore di quella che accogliamo noi, dobbiamo essere capaci  come Europa di fare di più anche sotto questo aspetto e l'Italia deve fare la sua parte. E poi, certo, il programma Triton  dell'Ue è molto ridotto rispetto al precedete Mare nostrum, più completo e ampio, per quanto con i suoi difetti, quale strumento per intervenire nel gestire i flussi. Tuttavia dobbiamo ricordarci che noi ci indigniamo quando queste persone muoiono nel mare, ma già prima, nel viaggio verso la Libia, attraverso il deserto, sono sottoposti a sofferenze indicibili. Per questo la comunità internazionale deve dispiegare un'azione molto più ampia, sul piano diplomatico, attraverso pressioni politiche ed economiche, per contenere i focolai di guerra in tutto il mondo, focolai per altro noti e conosciuti da tempo. 

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