Mario Adinolfi e i gay
Blog post del 21/02/2015
Per i tanti che non lo conoscono, Mario Adinolfi è un giornalista. In passato è stato parlamentare e militante del Partito Democratico, per poi allontanarsene e recentemente ha deciso di investire vita e carriera nella battaglia contro quelli che chiama i "falsi miti di progresso": aborto, eutanasia, unioni omosessuali, fecondazione eterologa e tutto quelle cose per cui, al contrario, si battono i progressisti in ogni parte del mondo. Per promuovere la sua causa ha scritto anche un libro e di recente ha fondato un quotidiano che ha chiamato "La Croce".
A Mario Adinolfi non dispiace la polemica. Anzi si potrebbe dire che la cerca. In una recente intervista ha spiegato che le donne debbano essere "sottomesse" aggiungendo che però "questo non significa che non ci sia parità fra uomo e donna". Ma questa è un'evidente contraddizione logica: se c'è parità, non puo esserci sottomissione e viceversa. La sua seconda moglie ha poi chiarito: "Sottomessa significa essere al servizio della mia famiglia e, quindi, fare tutto ciò che è in mio potere per rendere armoniosa la vita insieme a mia figlia e mio marito" Ma in lingua italiana sottomessa non signifca affatto "rendere armoniosa la vita familiare". Si potrebbe pensare che il termine "sottomossione" sia cercato di proposito per sollevare scandalo, indignazione e far parlare di sé.
Ma la sua battaglia non sembra trovare finora grosse sponde. I grandi partiti politici lo ignorano, l'opinione pubblica lo ignora, le gerarchie della Chiesa Cattolica lo ignorano così come la stampa ufficiale cattolica. Ha fatto breccia nella minoranza degli ultracattolici e dei conservatori più radicali; ma anche qui deve fare i conti con una concorrenza spietata; è protetto e ospitato da Radio Maria (dove conduce una trasmissione) ma buona parte di quel mondo attentissimo a cercare le pagliuzze negli occhi di tutti, non gli perdona il suo essere divorziato e risposato e lo attacca quotidianamente con non poca veemenza.
C'è invece una categoria che paradossalmente non lo ignora. Gli omosessuali. E Adinolfi deve essersene accorto dato che non passa giorno senza che il suo quotidiano non dica qualcosa sui gay. Un giorno un articolo contro le adozioni, un giorno un articolo sulle terapie riparative, un giorno la lobby LGBT, un giorno la critica alla politica che pensa alle unioni gay invece che le povere famiglie. E ogni volta, comprensibilmente, schiere di omosessuali o persone che difendono i loro diritti, si indignano, si scandalizzano e lo criticano rispondendo alle sue accuse, spesso smentendole. Su Facebook la differenza è palese: nelle rare occasioni in cui il suo giornale non tocca l'argomento gay, il numero di like e commenti sfiora lo zero. Quando al contrario tocca l'argomento c'è un impennata. Con l'ovvio aumento in termini di visibilità e pubblicità.
Tutti i giorni a parlare dei gay. Lui naturalmente giura di non avere nulla contro gli omosessuali. Ha dichiarato che la sua scrittrice preferita è Marguerite Yourcenar e che adora Jim Parson, l'attore che interpreta Sheldon in The Big Bang Theory. Due omosessuali. "Per questo sorrido quando mi danno dell'omofobo". Ma poi leggendo i suoi articoli o i suoi libri vediamo che non dice no non solo ai matrimoni gay e alle adozioni. Ma si oppone anche alle più timide unioni civili, alla stepchild adotion. Dice no anche alla lotta contro le discriminzioni, si oppone alla legge sull'omofobia anzi per lui non esiste neppure il concetto stesso di omofobia. Dice no all'esibizione di Concita Wurts a Sanremo, dice no persino alla pubblicità con le coppie gay. Il buon gay è quello che non sbandiera troppo la sua vita, che vive nell'ombra possibilmente nella castità o che prova perlomeno a "curarsi" tramite quelle terapie riparative che l'OMS e gli psicologi hanno duramente condannato. E quando dice di rispettare gli omosessuali, probabilmente dice il vero. Nelle sue parole o in quelle delle Sentinelle in Piedi, che lo considerano una sorta di guida spirituale, raramente traspare odio esplicito. Loro sono sinceramente convinti di amare le persone omosessuali, di rispettarle. Ma è il bene e il rispetto che si riserva verso una persona malata, sfortunata, con cui la natura è stata ingiusta. Anche se non usa e non usano mai queste parole o queste descrizioni. Voi direste mai queste parole a una persona che ritenete malata e sfortunata e che volete aiutare? Ma ovviamente no. Ci girereste intorno, sforzandovi di essere comprensivi e compassionevoli. Ma fareste di tutto perché si curi o perché non peggiori la sua vita. Se cammina sull'orlo di un burrone cercherete di allontanarlo o perlomeno che non caschi giù.
E' un amore capovolto che diventa odio. Il suo giornale si chiama "La Croce": un uomo perseguitato che diventa strumento di persecuzione. E proprio per questo che Mario Adinolfi e tutto il mondo che in lui si riconosce è tanto combatutto dagli omosessuali. Perchè le loro parole e loro battaglie, nel nome dell'amore e dei bambini, fanno male. Perché risvegliano l'ancestrale paura di essere rifiutati nel nome dell'amore, l'orrore di sentirsi sbagliati, di essere nati sbagliati, l'orrore che accompagna tanti gay, tante lesbiche e tutti i "diversi" di questo pianeta e che ne trascina molti giù da un palazzo altissimo o con una corda al collo nel buio di un garage.
Chissà se a Mario Adinolfi importa qualcosa di tutto questo? Chissà se ha mai provato a pensarci. Finora sembra aver mostrato interesse sopratutto verso i modi in cui ottenere like e visibilità e con la visibilità un posto al sole da qualche parte. Visto che combattere i diritti gay gli da questa visibilità, combattiamo i diritti gay. Dice di rispettare gli omosessuali ma non ha mai dedicato mezza parola nella descrizione della bellezza e la naturalezza del sentimento che può legare due persone adulte e consenzienti, anche se sono dello stesso sesso. E perché in fondo la lotta per i diritti civili è semplicemente questo: che le persone siamo libere di vivere i loro sentimenti ma non nel segreto di una stanza ma alla luce del sole, riconosciute e tutelate dallo Stato e della società in cui vivono. Senza dover temere più nulla.
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