giovedì 18 agosto 2016

Il Pd a Torino faccia mea culpa

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PIERO FASSINOnto
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Non possiamo nasconderci dietro a un dito. C'è un'intera classe dirigente, che per molti anni ha governato Torino, che nel ballottaggio che ha visto, un mese fa, Chiara Appendino prevalere su Piero Fassino, ha dovuto riconoscere l'incapacità di comunicare al capoluogo sabaudo un progetto di futuro in grado di coniugare la manutenzione ordinaria del vivere comune con l'idea di una Torino aperta ad innovazioni continue.
La Metropoli policentrica, attenta a trovare un vocazione parallela e non alternativa a quella manifatturiera, costruttrice di poli direzionali non solo nel proprio centro storico, ma anche nelle periferie del proprio territorio, si è scoperta più che priva di idee, priva di protagonisti che sapessero rappresentarle e comunicarle con efficacia.
La sconfitta della sinistra di governo nelle aree popolari e la sua tenuta nelle aree abitate da quella che un tempo si sarebbe definita "la borghesia" segna, anche fisicamente, la distanza tra quello che il Pd avrebbe voluto essere e quello che è riuscito a essere. 
La caccia al colpevole non serve a molto. Trovo quanto meno riduttivo, per non dire in parte privo di fondamento, assegnare la responsabilità di avere perso il villaggio di Asterix (eh già, così ci chiamavamo, cari amici e compagni) alle politiche di Renzi e del suo governo. 
Quando la sconfitta è così "chiara" (e scusate il gioco di parole...) nessuno è esente da colpe e, se qualcuno si sentisse tale, peccherebbe di certo di superbia. Ed ecco la parola che continua a risuonarmi nelle orecchie: "superbia". Qualcuno volgarmente la chiama "spocchia". Direi che in molti (e dopo il ballottaggio ce ne siamo accorti tutti, guardandoci attorno e scoprendo come avevano votato anche alcuni amici) hanno voluto proprio dirci: "Ma chi credete di essere? Governate convinti che non vi succederà mai nulla, con quell'accento di superiorità intellettuale, culturale, sociale, morale che vi ha fatto perdere il contatto con la realtà".
Già perché è poi la realtà che ci tocca governare. Alcuni esempi, che non scelgo certo a caso. I problemi della periferia Sud di Torino, quella porta d'ingresso che era l'orgoglio urbanistico, ma non solo, della città. Un territorio su cui abbiamo tenuto elettoralmente con una promessa di futuro che oggi pare sfaldarsi proprio perché la realtà ci presenta il conto: lavori in ritardo, cantieri eterni, dubbi sul futuro del parco della salute e del polo tecnologico che si doveva insediare presso le arcate degli ex Mercati Generali, l'incapacità di affrontare l'occupazione di quattro delle palazzine dell'ex Villaggio Olimpico, il futuro del Salone del Libro.
La capacità della città di reggere finanziariamente agli impegni presi, mantenendo contemporaneamente livelli di welfare accettabili e manutenzione ordinaria e straordinaria del verde pubblico e dell'arredo urbano.
Il rapporto complicato con i corpi intermedi della città. Anch'essi in piena crisi di rappresentanza che cercano nuove modalità di rapporto con le loro basi associative che si fanno sempre meno intermediare nel rapporto con chi governa la cosa pubblica. 
Sopra a tutto però vi è un tema che non possiamo tacere oltre. Non ci siamo rinnovati. Non abbiamo presentato una classe dirigente che comunicasse novità, entusiasmo, fiducia. Persone che alla prova di realtà riuscissero a dare la sensazione di voler governare una città per un periodo lungo. A Torino lo hanno fatto invece Chiara Appendino e i 5 stelle. 
Ora vedremo quanto in questi anni ci siamo seduti ai tavoli degli aperitivi convinti che avremmo governato per sempre; quanto, invece, saremo capaci di riappropriarci di una politica che non è solo gestione del potere, ma è anche voglia di "essere amministratori" che spendono le nottate nelle sedi consiliari, comunali o circoscrizionali che siano, sapendo che avremo meno posti da distribuire e che la dinamica "governo della città al movimento 5 stelle e governo delle Circoscrizioni al Pd" significa essere inseriti in un rapporto di reciproco controllo, che non permetterà a nessuno di avere "le spalle coperte". 
Il movimento di Grillo non è la sinistra che noi non abbiamo saputo essere. Amici e compagni se la pensate così è normale che il nostro elettorato si sposti senza colpo ferire. All'interno del movimento 5 stelle ci sono sintomi di autoritarismo e populismo estranei alla sinistra europeista che i democratici vogliono e devono rappresentare. La totale assenza di democrazia interna, che non tollereremmo mai dentro il Pd, pare essere una loro caratteristica: sul serio pensiamo che la sinistra, quella con la "S" maiuscola, possa essere organizzata in un partito che ha un direttorio, che non convoca (perché non ce le ha) direzioni, assemblee, circoli? Suvvia!
Eppure nel messaggio di novità, nella comunicazione, nello stile, appaiono giovani, forti e capaci. Ecco la sfida. Continuare a essere democratici, con le fatiche che ciò comporta, ri-costruendo una classe dirigente, fatta di persone che studiano, lavorano e, se serve, si fanno le nottate per apportare modifiche costruttive a proposte di delibere comunali o a sostenere l'eventuale ostruzionismo delle opposizioni nei consigli circoscrizionali.

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