Minaccia Isis, l'Italia è capace di riderci su
«C'è un solo Califfo: Franco». «Con le mani quando volete». «Attenti alle buche». Lo Stato Islamico minaccia Roma. E la città risponde con la solita ironia.
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22 Novembre 2015
Questi gradassi dell'Isis sono abituati a terrorizzare il mondo, ma forse non hanno calcolato la speciale consistenza degli italiani e dei romani in specie: Indro Montanelli li definiva “emollienti”, capaci cioè di assorbire di tutto e di più ammorbidendolo fino a renderlo innocuo.
Una sorta di resistenza passiva in grado di scardinare qualsiasi minaccia.
BASTEREBBE LEGGERE MONTANELLI... I gradassi dell'Isis non leggono Montanelli e hanno, a quanto pare, una pallida idea di cosa li aspetterebbe da queste parti: al loro annuncio spaventoso, «Prenderemo Roma!», i romani anziché atterrirsi hanno reagito con lampi di genio, folgorazioni che risalgono tutta una tradizione comica da Verdone a Sordi a Trilussa al Belli su, su fino alle Pasquinate e a Plauto, alla satira latina imperiale.
Cesare trova uno schiavo che troppo gli somiglia, e s'insospettisce: «Ma niente niente, tu' madre sta a Roma?». «No, ma c'è passato mi' padre».
«NUN PIJATE ER RACCORDO». «Isis, co le mani quando ve pare» è stata la scritta a spray che ha aperto le danze ed è diventata irrimediabilmente virale; poi si sono moltiplicati cinguettii, messaggi, risposte, scritte, una parte delle quali riassunte da Dagospia: «Se te porti via mi moje, la croce ce l'hai tu a vita»; «Nun pijate er raccordo che resta imbottijati»; «Ricodateve che nella Ztl s'entra solo dopo le 19»; «Nun fate via Nazionale e piazza Venezia che so piene de buche»; «Ve ce vojo vede co li cammelli sui sampietrini».
«C'È SOLO UN CALIFFO: FRANCO». E così via, nella grandiosa attitudine a trasformare sciagure casalinghe in armi incruente con cui seppellire di risate disgrazie proprie e minacce altrui.
«A Roma c'è un solo Califfo... er mitico Franco». «Ma chi ve credete d'esse: a banda de la Majana?».
In un crescendo rossiniano (andrebbe spiegato a questi che proibiscono la musica cosa significa): «Se venite a rompe li cojoni nun ve compriamo più er Kebab»; «Occhio che ne la metro ve se nculano le borse co tutte le bombe».
Una sorta di resistenza passiva in grado di scardinare qualsiasi minaccia.
BASTEREBBE LEGGERE MONTANELLI... I gradassi dell'Isis non leggono Montanelli e hanno, a quanto pare, una pallida idea di cosa li aspetterebbe da queste parti: al loro annuncio spaventoso, «Prenderemo Roma!», i romani anziché atterrirsi hanno reagito con lampi di genio, folgorazioni che risalgono tutta una tradizione comica da Verdone a Sordi a Trilussa al Belli su, su fino alle Pasquinate e a Plauto, alla satira latina imperiale.
Cesare trova uno schiavo che troppo gli somiglia, e s'insospettisce: «Ma niente niente, tu' madre sta a Roma?». «No, ma c'è passato mi' padre».
«NUN PIJATE ER RACCORDO». «Isis, co le mani quando ve pare» è stata la scritta a spray che ha aperto le danze ed è diventata irrimediabilmente virale; poi si sono moltiplicati cinguettii, messaggi, risposte, scritte, una parte delle quali riassunte da Dagospia: «Se te porti via mi moje, la croce ce l'hai tu a vita»; «Nun pijate er raccordo che resta imbottijati»; «Ricodateve che nella Ztl s'entra solo dopo le 19»; «Nun fate via Nazionale e piazza Venezia che so piene de buche»; «Ve ce vojo vede co li cammelli sui sampietrini».
«C'È SOLO UN CALIFFO: FRANCO». E così via, nella grandiosa attitudine a trasformare sciagure casalinghe in armi incruente con cui seppellire di risate disgrazie proprie e minacce altrui.
«A Roma c'è un solo Califfo... er mitico Franco». «Ma chi ve credete d'esse: a banda de la Majana?».
In un crescendo rossiniano (andrebbe spiegato a questi che proibiscono la musica cosa significa): «Se venite a rompe li cojoni nun ve compriamo più er Kebab»; «Occhio che ne la metro ve se nculano le borse co tutte le bombe».
Sarà esorcismo contro la paura, ma funziona egregiamente
Sarà pure un esorcismo contro la paura, ma bisogna dire che funziona egregiamente, fin oltre l'intento originale: si ride, amarognolo magari, ma in modo irresistibile.
Fino al terrore più grande di tutti, che non è il terrorismo di fonte islamica ma un altro, tutto interno: «Nun ho capito... Ma quando se paga questa Isis?».
E così è questa gente nostra, questa gente che siamo: incasinata, inconcludente, incapace di darsi una regolata, sinceramente pure un po' stronza quando ci si mette, ma non ne trovi di simile per quanto mondo puoi girare.
MELODRAMMATICI E IRRIMEDIABILMENTE PROVINCIALI. Sempre Montanelli diceva, a proposito di cose guerresche, che gli italiani non hanno mai concluso un conflitto bellico dalla stessa parte in cui lo avevano cominciato. Opportunisti, certo. Ma anche per la dannata abitudine a dividersi su tutto, dalla vita alla morte, a scindersi perfino in se stessi.
Melodrammatici, da Nord a Sud, figli di Verdi e nipoti di Mario Merola. E irrimediabilmente provinciali, Roma è l'unica capitale, anzi caput mundi, dove se discore er dialetto: ma cosa dovrebbe fare un romano, che ha visto la storia e il mondo passargli davanti senza scomporsi più di tanto?
BELLICOSI A PAROLE, MOLTO MENO SUL CAMPO. Siamo così: bellicosi a parole, molto meno sul campo, più portati a fare all'amore che la guerra. Cosa che in molti ci rimproverano, però sta di fatto che chi viene qua, poi non se ne va più: forse succederebbe anche a questi scalmanati, solo a dargliene il tempo.
I romani, comunque, ne sono convinti: «Tempo mezz'ora diventeno romani e penseno “vabbè ma mo se dovemo mette a tajà capocce? Ma a chi je va... O famo domani”».
A leggerli, questi lampi di ironia forse disperata, forse solo strafottente, ci si diverte, ma si prova anche una fitta di tenerezza: eccolo qua il pacifismo degli italiani, dei romani, una formula segreta, come la Coca-Cola, irripetibile, qualcosa di beffardo ma, al fondo, minaccioso («Co le mani quando ve pare»), oppure anche l'opposto: una minaccia (alla minaccia ricevuta) che finisce in beffa, in burla.
GENTE MAESTRA NELLA RESISTENZA PASSIVA. Questa gente che siamo, che non riusciamo a definire, a spiegare neppure noi stessi, che subisce di tutto, che è maestra nella resistenza passiva, o emolliente, però alla fine si stanca e allora esce fuori il Superman ai bucatini che risolve tutto, er sor Mario Brega: «Du giovanotti hanno detto na frase che nun m'è piaciuta... Ar più spavaldo jo detto, viè qua, a cornuto...».
Seguiva condimento alla romana, dopodiché: «M'ha chiesto mi fija, 'Papà, che è successo?'; 'Niente, amore: due de passaggio...'».
Fino al terrore più grande di tutti, che non è il terrorismo di fonte islamica ma un altro, tutto interno: «Nun ho capito... Ma quando se paga questa Isis?».
E così è questa gente nostra, questa gente che siamo: incasinata, inconcludente, incapace di darsi una regolata, sinceramente pure un po' stronza quando ci si mette, ma non ne trovi di simile per quanto mondo puoi girare.
MELODRAMMATICI E IRRIMEDIABILMENTE PROVINCIALI. Sempre Montanelli diceva, a proposito di cose guerresche, che gli italiani non hanno mai concluso un conflitto bellico dalla stessa parte in cui lo avevano cominciato. Opportunisti, certo. Ma anche per la dannata abitudine a dividersi su tutto, dalla vita alla morte, a scindersi perfino in se stessi.
Melodrammatici, da Nord a Sud, figli di Verdi e nipoti di Mario Merola. E irrimediabilmente provinciali, Roma è l'unica capitale, anzi caput mundi, dove se discore er dialetto: ma cosa dovrebbe fare un romano, che ha visto la storia e il mondo passargli davanti senza scomporsi più di tanto?
BELLICOSI A PAROLE, MOLTO MENO SUL CAMPO. Siamo così: bellicosi a parole, molto meno sul campo, più portati a fare all'amore che la guerra. Cosa che in molti ci rimproverano, però sta di fatto che chi viene qua, poi non se ne va più: forse succederebbe anche a questi scalmanati, solo a dargliene il tempo.
I romani, comunque, ne sono convinti: «Tempo mezz'ora diventeno romani e penseno “vabbè ma mo se dovemo mette a tajà capocce? Ma a chi je va... O famo domani”».
A leggerli, questi lampi di ironia forse disperata, forse solo strafottente, ci si diverte, ma si prova anche una fitta di tenerezza: eccolo qua il pacifismo degli italiani, dei romani, una formula segreta, come la Coca-Cola, irripetibile, qualcosa di beffardo ma, al fondo, minaccioso («Co le mani quando ve pare»), oppure anche l'opposto: una minaccia (alla minaccia ricevuta) che finisce in beffa, in burla.
GENTE MAESTRA NELLA RESISTENZA PASSIVA. Questa gente che siamo, che non riusciamo a definire, a spiegare neppure noi stessi, che subisce di tutto, che è maestra nella resistenza passiva, o emolliente, però alla fine si stanca e allora esce fuori il Superman ai bucatini che risolve tutto, er sor Mario Brega: «Du giovanotti hanno detto na frase che nun m'è piaciuta... Ar più spavaldo jo detto, viè qua, a cornuto...».
Seguiva condimento alla romana, dopodiché: «M'ha chiesto mi fija, 'Papà, che è successo?'; 'Niente, amore: due de passaggio...'».
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