domenica 22 novembre 2015

Comunque la pensiate questo è un articolo da leggere.

Terrorismo, perché abbiamo paura dei migranti

Dopo gli attacchi, profughi associati al jihad. E dito puntato contro gli stranieri. Incertezza e paura irrigidiscono il confine mentale tra 'noi' e 'loro'. Ecco perché.

22 Novembre 2015
La più grande crisi migratoria dalla Seconda guerra mondiale e gli attacchi di Parigi hanno provocato la reazione istintiva di diversi leader politici mondiali, che hanno deciso di chiudere le porte ai rifugiati per paura che fra loro possano nascondersi terroristi.
BARRIERE DI EUROPA E USA. Dal 10 novembre la Germania applica di nuovo gli accordi di Dublino anche ai siriani, fermandoli ai confini e rinviandoli al primo Paese di ingresso nell'Unione europea.
La Francia ha chiesto all'Ue controlli più severi all'ingresso e all'uscita delle frontiere esterne di Schengen anche per i cittadini europei.
«Meglio prevenire che curare», è anche l'approccio del Congresso Usa che ha votato lo stop all'ingresso dei rifugiati siriani e iracheni.
TERRORISTI CITTADINI DELL'UE. Nessuno dei terroristi di Parigi, però, ha nazionalità siriana o irachena.
Tutti gli attentatori identificati finora sono cittadini dell'Ue.
E i rifugiati sono tali perché scappano dalla violenza, non perché vogliono alimentarla.
Allora perché l'immigrazione viene così spesso associata al pericolo del terrorismo?
Questa reazione è stata spiegata da Vox.com che cita studi psicologici su conflitti ed emozioni.
IL CONFINE TRA 'NOI' E 'LORO'. Mina Cikara, che dirige il laboratorio di neuroscienze ad Harvard, sostiene che gli attacchi terroristici abbiano risvegliato una delle nostre reazioni più viscerali: quando ci sentiamo minacciati, tracciamo delle linee mentali chiare fra 'noi' e 'loro' (gli stranieri).
Così, quando si vedono attacchi come quelli di Beirut e Parigi, «quei confini mentali diventano più circoscritti, più piccoli».
MIGRANTI UGUALE JIHADISTI. Ciò significa, secondo Cikara, che le nostre percezioni di chi sono 'loro' vengono esagerate fino a far diventare potenziali terroristi dei profughi siriani innocenti che scappano dalla guerra.


L'incertezza e la paura ci rendono più intolleranti

Il senso di incertezza sulla scia di un attacco terroristico è particolarmente efficace per accrescere il nostro sospetto nei confronti degli stranieri.
Nel 2014 Ingrid Haas, psicologa dell'Università del Nebraska Lincoln, ha pubblicato una serie di esperimenti dimostrando che, quando il suo team manipolava la paura e i sentimenti di incertezza dei partecipanti, questi ultimi diventavano più intolleranti nei confronti degli altri.
DISINFORMAZIONE PERICOLOSA. Haas avverte inoltre che nei fatti di cronaca più caotici la disinformazione è destinata a proliferare (soprattutto sui social network) e narrazioni minacciose come «terroristi inflitrati tra i rifugiati» possono rivelarsi particolarmente efficaci per chi legge o ascolta tali affermazioni.
MANCANZA DI LEGAMI PROVATI. Secondo gli psicologi, le emozioni negative («i rifugiati sono pericolosi») dovrebbero lasciare spazio a quelle positive («i rifugiati sono esseri umani come noi e hanno bisogno di aiuto»).
Ma la reazione nei confronti dei migranti è più emotiva che razionale.
Ed è improbabile che possa essere contrastata dalla mancanza di dati che dimostrino un legame diretto tra immigrazione e terrorismo.

Entriamo facilmente in empatia con le immagini dei singoli morti

Gli studiosi hanno capito da tempo «l'effetto vittima identificabile» per cui entriamo più facilmente in empatia con le immagini dei singoli morti.
«Questo è il motivo per cui foto e storie possono essere così potenti», sostiene Deborah Small, docente di marketing e psicologia presso la University of Pennsylvania.
«Nel caso della Siria, abbiamo anche colpevoli identificabili, che provocano rabbia e paura. Poi abbiamo statistiche sui rifugiati. Raccontare le loro storie potrebbe rendere il loro dramma più comprensibile».
L'identificazione dei profughi aumenterebbe la sensazione che anche gli altri siano 'noi' piuttosto che 'loro', e siano quindi degni della nostra empatia.
IL TEMPO GIOCA UN RUOLO FONDAMENTALE. Anche il passare del tempo aiuta a ridimensionare le emozioni.
Secondo Haas «dovremmo aspettare un po' prima di prendere importanti decisioni su cambiamenti di politica dell'immigrazione e provocare escalation della guerra», come invece ha fatto la Francia.
Quando la risposta emotiva è così forte «diventa difficile per le persone prendere decisioni ben ragionate».
E il risultato, alla fine, può essere controproducente.

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