sabato 28 dicembre 2013

Un parere

Carlo De Benedetti

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Grillo e i nemici della "Google Tax" non vogliono alcuna equità fiscale

Pubblicato: 27/12/2013 11:18

L'incontenuta deriva populistico-sfascista ha portato Beppe Grillo - tra i più accesi difensori degli elusori legali delle tasse come Google, mito inossidabile del suo sodale Gianroberto Casaleggio - a indicare sul suo blog il nuovo avversario da abbattere, il presidente PD della Commissione Bilancio della Camera, Francesco Boccia, colpevole d'aver voluto nella legge di Stabilità la norma incongruentemente definita "web tax" da oppositori e detrattori.
Stupisce invece che legali, giornalisti, imprenditori, economisti da anni in prima linea sul fronte dell'innovazione, persone in gamba che danno l'idea di credere in quanto dicono e scrivono, si siano trovati più uniti che mai nel tentativo di impedire che l'Italia diventi un paese dove il fisco sia (un po' più) equo e la concorrenza senza privilegiati. Il loro comune nemico è lo stesso Boccia, l'obiettivo dichiarato difendere Google et similia (aziende globali basate negli USA) dal rischio di pagare le tasse sulla pubblicità fatturata in Italia, che per il solo motore di ricerca nel 2014 varrà intorno a un miliardo di euro, pari alla metà del totale raccolto sulla rete da tutti gli operatori. Di fatto, Google avrà ricavi inferiori a quelli di Mediaset ma superiori a ogni altra azienda mediatica, Rai compresa. Rispetto a tutte loro, Google paga oggi tasse irrisorie, nell'ordine della frazione infinitesima.
I prodi paladini dell'iniquità e dell'antimercato sperano ancora di fermare la "web tax" con un blitz fuori tempo massimo, magari a Bruxelles. Dicono di combattere mossi da tre preoccupazioni: che, una volta trattata fiscalmente come il gruppo che presiedo e come qualsiasi azienda che viva di pubblicità italiana, Google disinvesta nel nostro paese; che l'introduzione di una tassa nazionale avversata da americani e inglesi rallenti la crescita digitale italiana, già men che esaltante; che l'Italia di trovi isolata nel contesto comunitario.
Lo ripeto qui chiaramente: sono timori risibili e ridicoli, soprattutto dopo che l'ultima versione della norma ha limitato l'obbligo di avere una partita IVA a chi, con una stabile organizzazione in Italia, vende spazi e servizi pubblicitari. Nient'altro. Chi non sa cos'è una "stabile organizzazione" può trovare la sua definizione nel Testo Unico del 22/12/1986 e nel DLG del 12/12/2003. Tra l'altro, il legislatore stabilisce che "costituisce una stabile organizzazione dell'impresa (...) il soggetto, residente o non residente, che nel territorio dello Stato abitualmente conclude in nome dell'impresa stessa contratti diversi da quelli di acquisto di beni". La fototessera di Google.
Ho letto con interesse quanto hanno scritto due esperti di media contrarissimi alla "web tax", Riccardo Puglisi e Marco Gambaro: "La via maestra consiste nel coordinamento fiscale tra paesi se l'intenzione è quella di combattere una competizione ritenuta distruttiva di base imponibile, cioè di gettito per gli Stati. L'Italia dovrebbe creare un fronte comune con paesi come la Francia e la Germania per trovare soluzioni coordinate a livello di Unione Europea". Hanno ragione. Ma, contrariamente a loro, sono convinto che la norma Boccia serva ad accelerare l'avvio di un patto fiscale su base continentale, cominciando magari con un asse Francia-Italia. Che è quanto Google e il Dipartimento di Stato vogliono evitare a tutti i costi.

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