Gli muovono le stesse accuse che agli inizi degli anni '90 muovevano a un suo predecessore, quelle di "tracimare" dalle sue competenze, di "interferire", di "forzare", di prendere parte a "giochi politici". Accuse che all'allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga costarono la fama di "picconatore" e una richiesta di impeachment. Oggi la presidenza di Giorgio Napolitano, più volte sulla graticola perché considerato troppo "addentro" ai giochi di Palazzo, sembra rievocare quella di Cossiga. Una vicinanza che si traduce anche in riconoscenza, come racconta la lettera pubblicata oggi dal Corriere della Sera del 2 novembre 2005. "Ho molto apprezzato il riferimento al dissenso dell'are riformista del Pci su episodi che hanno dolorosamente coinvolto la mia persona", scrive Cossiga a Napolitano. Poi aggiunge: "Ma alcuni che dissentivano da te si sono ricreduti".
In quella lettera all'attuale Capo dello Stato, Francesco Cossiga gli scrive quindi del suo apprezzamento per le posizioni assunte dall'ala "riformista" (nota anche come "migliorista") del Pds, durante gli anni più difficili del suo settennato. Napolitano, guida dei cosiddetti miglioristi, manifestò dissenso rispetto alle posizioni del suo partito, che si era unito nel cavalcare l'insofferenza verso il Cossiga Presidente, culminato nel dossier di 40 pagine per la messa in stato d'accusa. Ma, pur avendo sottolineato che al "Quirinale si era totalmente smarrito il senso della misura", Napolitano criticò l'aspra scelta del Pds.
Oggi Napolitano sembra dover seguire le orme del suo predecessore, vista la "pretesa" di una parte politica di metterlo in stato d'accusa. Scrive il Corriere:
"Pretesa che poggia su basi più che fragili, costituzionalmente inesistenti, lanciata dal circuito Movimento 5 Stelle - Fatto Quotidiano. Ma su cui soffia aggressivamente pure Forza Italia, nella speranza di alzare il più tossico dei polveroni. In modo da intimidire il Capo dello Stato, condizionarne i passi (in vista di un impossibile salvacondotto per il Berlusconi decaduto da senatore?), spingerlo a sloggiare dal Colle dopo averlo pregato con il cappello in mano, appena otto mesi fa, di concedere il bis.
Quando toccò a Cossiga, "Napolitano indicò le dimissioni come la via d'uscita che avrebbe salvaguardato di più la saldezza di un sistema se non sabotato, di sicuro ferito. Con Emanuele Macaluso, Gianni Pellicani e Umberto Ranieri spinse per quella soluzione. Pagandone un prezzo rispetto ai compagni di partito E lo stesso Cossiga glielo riconobbe".
La lettera di Cossiga a Napolitano si conclude con l'augurio che "il centrosinistra (anche se con il trattino) si realizzi". Infine una sorta di presagio: "Ma perché non eleggerti capo dello Stato? Io ti voterei!". Napolitano lo divenne l'anno dopo.
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