martedì 19 novembre 2013

Su questo problema i grillini ci possono erudire? E la Cisl qualcosa ci può dire su come non perdere nessuno? Se tutti ritornassero a lavorare, se hanno un lavoro, forse qualche problema si potrebbe risolvere investendo i soldi risparmiati.

IL DOCUMENTO “PERCHÉ NESSUNO SI PERDA”

Formazione professionale: il federalismo non funziona

Le scuole regionali sono concentrate al Nord. Al Sud l’offerta formativa extrascolastica è carente
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Da noi sono considerate un po’ scuole da “sfigati”. In altri Paesi, come la Germania, sono il fiore all’occhiello del sistema scolastico. Ma se la crescita della disoccupazione giovanile è un «incubo», come ha detto il premier Enrico Letta, allora puntare sulle scuole di formazione professionale potrebbe essere una delle soluzioni per un buon risveglio. Visto che, dati alla mano, con una qualifica professionale si riesce a trovare lavoro più facilmente: a un anno dal diploma il 70% dei ragazzi trova un primo lavoro e l’85% lavora dopo due anni.  
Cifre da sogno per un neolaureato, che potrebbero servire a intercettare soprattutto quel “lavoro che c’è ma non si vede” (espressione cara a Pietro Ichino). Solo nel 2011 dal Rapporto Excelsior Unioncamere sono stati registrati più di 100mila posti rimasti “inoccupati” (skill shortage). E probabilmente, vista la difficoltà del conteggio, potrebbero essere anche molti di più. In alcuni casi ai colloqui non si sono presentati abbastanza candidati, in altri coloro che hanno risposto all’annuncio non avevano i requisiti richiesti. E guarda caso a mancare sono soprattutto professioni manuali, quelle che non si imparano con un corso online per intenderci: operai, parrucchieri, estetiste, meccanici, idraulici, macellai ecc.

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Nei giorni decisivi per la legge di Stabilità, dall’Associazione degli enti di formazione professionale (Aef) della Lombardia è partito un documento titolato “Perché nessuno si perda”, che è stato recapitato a Roma al ministro del Lavoro Enrico Giovannini. È un programma in dieci punti che ha come sottotitolo “L’istruzione e formazione professionale (Iefp) risorsa strategica per combattere gli abbandoni scolastici e aiutare i giovani a entrare nel mondo del lavoro”, e che chiede di potenziare gli investimenti nella formazione professionale come strumento per sconfiggere il disagio lavorativo nel nostro Paese. Il taglio di finanziamenti che le scuole di formazione professionale lombarde temevano è stato scongiurato dalle dichiarazioni dell’assessore regionale al Lavoro Valentina Aprea: «Nel bilancio della Lombardia di quest'anno sono garantiti i finanziamenti, per il 2015-2016 arriveranno i fondi dell’Unione Europea. Devo però lamentare che nel riparto nazionale stabilito dal ministero del Lavoro per la formazione professionale delle Regioni la Lombardia, insieme a Veneto e a Friuli Venezia, è rimasta penalizzata in quanto le risorse assegnate non premiano gli sforzi che stiamo sostenendo per questi percorsi». Ma quello dei centri di formazione professionale resta comunque, nell’Italia dei licei, un comparto dell’istruzione penalizzato.
Il benchmark nella formazione professionale europea è il sistema duale tedesco. In Germania chi frequenta una formazione professionale studia sia all’interno delle imprese sia negli istituti professionali. L’azienda e la scuola sono quindi i due pilastri del sistema: nelle aziende si svolge la parte pratica della formazione; mentre le basi teoriche si imparano sui banchi degli istituti. In Italia, invece, esistono ben tre tipi di formazione professionale: il sistema degli istituti tecnici, quello degli istituti professionali e quello della formazione professionale regionale. Ma i tre sistemi convivono in maniera disordinata, «senza che il loro sviluppo sia stato pianificato o comunque razionalizzato a livello sistemico»scrivono Gabriele Ballarino e Daniele Checchi, docenti dell’Università degli studi di Milano. Il sistema degli istituti tecnici è quello più antico, nato alla fine dell’Ottocento nelle aree più sviluppate del Paese per volere degli imprenditori più illuminati. Gli istituti professionali, invece, sono stati creati negli anni Cinquanta per ragazzi e ragazze di origine popolare che provenivano dalle scuole di “avviamento professionale” prima della riforma della scuola media unitaria del 1962. Il sistema della formazione professionale regionale, infine, è legato all’articolo 117 della Costituzione, affidato alle autonomie locali. 
Dall’anno scolastico 2011/2012, poi, il sistema formativo italiano è stato formalmente sdoppiato: al termine della scuola media si possono scegliere licei, istituti tecnici, istituti professionali, o i percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali organizzati a livello regionale. Sono qualifiche riconosciute e spendibili a livello nazionale e comunitario, e che aprono direttamente le porte al mondo del lavoro. La formazione professionale in questo modo viene realizzata dalle strutture formative accreditate dalle Regioni, oppure dagli istituti professionali, in regime di sussidiarietà, se previsto dalla programmazione regionale. Ma «paradossalmente, nell’organizzazione della formazione professionale sembra esserci più variazione tra regioni in Italia, dove la repubblica è “una e indivisibile”, che in Germania, dove la repubblica è federale», aggiungono Ballarino e Checchi

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La situazione frammentaria della formazione professionale regionale è descritta dai numeri del monitoraggio di Isfol (Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori) relativi all’anno accademico 2011/2012. Gli iscritti al sistema di istituti di formazione professionale quell’anno erano circa 250mila. Ma anche in questo l’Italia non è una sola: al Nord si trova il 52% degli iscritti ai percorsi di qualifica triennale e oltre il 72% dei qualificati triennali e il 76% dei diplomati quadriennali, al Sud, invece, le istituzioni accreditate dalle Regioni stentano a decollare, privilegiando i percorsi delle istituzioni scolastiche che non gravano sulle casse regionali. Perché i centri di formazione professionale regionali dipendono dalle “doti” elargite dalle casse regionali. E più da Roma si chiudono i rubinetti, più si investe di meno in questi settori: solo nel 2012 sono arrivati alle Regioni 4,5 miliardi di euro in meno di trasferimenti statali. Intanto, davanti al rischio disoccupazione, le richieste di iscrizione per questo tipo di formazione aumentano: nell’anno scolastico 2012/2013 sono state 281mila, ma le strutture di formazione professionale accreditate, per mancanza di risorse, sono state in grado di accogliere solo 130mila domande.
Tra le maggiori richieste avanzate nel documento recapitato da Aef al ministro Giovannini, c’è proprio la garanzia di sistemi di formazione professionale adeguati in tutte le regioni, con la possibilità per gli enti locali di spendere in questo ambito al di fuori dei vincoli previsti dal patto di stabilità. E non solo perché con queste scuole si trova lavoro più facilmente e meglio (nel 64% dei casi il tipo di occupazione è per giunta coerente con la qualifica professionale conseguita), ma anche perché - secondo quanto scritto nel documento - questo tipo di formazione può essere uno strumento valido per combattere gli abbandoni scolastici, proprio perché interessa soprattutto la «popolazione studentesca più difficile per insuccessi formativi pregressi, livello di motivazione, orientamento all’obiettivo, problemi sociali e familiari». Oltre che uno strumento di integrazione sociale, visto che il 16% degli allievi è rappresentato da ragazzi stranieri nati in Italia o ricongiunti.
Ma «esistono differenze notevoli tra le regioni», dice Antonio Bernasconi, coordinatore della Associazione degli enti di formazione professionale della Lombardia. «Su 281mila iscritti, 61.500 sono solo in Lombardia. Noi riusciamo ad avere un rapporto forte con circa 30mila aziende della regione, con una offerta formativa corposa. E dopo due anni dal diploma l’87% dei ragazzi ha un lavoro, con un contratto prevalentemente di apprendistato. In molte altre regioni non si ha la stessa possibilità». 
Guardando i dati regionali snocciolati da Isfol, in effetti, tra le Regioni che contribuiscono maggiormente all’offerta delle Istituzioni formative troviamo Lombardia (31,5%), Veneto (16,4), Piemonte (14,9%) e Lazio (7,9). La maggior parte dell’offerta delle istituzioni scolastiche (quindi non regionali) proviene, invece, da Puglia (22,6%), Toscana (11%), Sicilia (10,%8) ed Emilia Romagna (9,9%). Al primo posto per numero di iscritti negli istituti di competenza regionale, si trova proprio la Lombardia. Al Sud e nelle isole è presente solo il 13,2% degli iscritti alle istituzioni formative del Paese, ma oltre la metà degli studenti italiani iscritti nelle istituzioni scolastiche statali di formazione professionale (Ifp), cioè 4 iscritti su 5. Riguardo al numero di percorsi attivati disponibili, sul podio c’è ancora la Lombardia: 2.333, di cui 1.846 di istituzioni formative regionali. La Puglia, invece, che pure si posiziona bene per numero di percorsi, su un totale di 1.326 solo 142 sono forniti da istituzioni non scolastiche ricadenti sulle casse regionali. 
Nel 2011 a livello nazionale per la formazione professionale, in base ai dati raccolti da Isfol, sono stati impiegati 648 milioni e 316 mila euro. Il valore più elevato riguarda ovviamente la Regione Lombardia, che assomma il 29% degli impegni del totale nazionale, seguita dalla Sicilia (oltre il 14%), dal Veneto (oltre il 13%) e dall’Emilia-Romagna (9%). 
Tra le qualifiche maggiormente “attrattive” per i ragazzi, al primo posto si colloca l’operatore del benessere, seguito dagli operatori della ristorazione, elettricisti, meccanici, segretarie e i tecnici per la riparazione dei veicoli a motore. E i numeri, come confermano anche le ricerche Almadiploma, confermano la bonta di questi percorsi: dopo il diploma, si trova lavoro con più facilità, prima degli altri, con contratti più sicuri e stipendi migliori. A un anno dalla conclusione degli studi, i diplomati degli istituti professionali guadagnano in media 813 euro, quelli che escono dai licei 364

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