"Abbiamo perso la capacità di tradurre le emozioni e i sentimenti in parole, viviamo una sorta di analfabetismo sentimentale. In presenza di donne che si emancipano e acquistano sicurezze e nuove prospettive, gli uomini restano un passo indietro, fanno fatica a confrontarsi con questa nuova generazione di donne. Sicuramente è un problema culturale, questo è un paese dove fino a poco tempo fa c'era il delitto d'onore, quindi quando non si sa come affrontare una situazione, ad esempio un abbandono, si ritorna un po' sul brodo primordiale che si conosce, ad una "cultura" arcaica", afferma la conduttrice televisiva Serena Dandini a proposito della lotta contro la violenza sulle donne. Eppure, in una paese che non sempre si è mostrato all'avanguardia in tema di diritti delle donne, è stato creato uno spettacolo teatrale -Ferite a morte - che affronta con tale intensità e trasporto l'argomento, da essere stato scelto come evento ufficiale, il prossimo 25 novembre, nel giorno delle celebrazioni contro la violenza sulle donne nella sede delle Nazioni Unite a New York. L'autrice, i cui monologhi teatrali sono raccolti in un volume edito da Rizzoli, si dice orgogliosa che per una volta sia l'Italia a guidare gli altri paesi su un tema così delicato.
"Siamo sempre il fanalino di coda in molti ambiti, essere chiamati con una drammaturgia a scuotere le persone in una sede prestigiosa come l'Onu è importante...del resto noi abbiamo ratificato la Convenzione di Istanbul, mentre Francia e Spagna ancora non l'hanno fatto. L'Italia può essere il volano di una crescita positiva della presa di coscienza del fenomeno delle violenze domestiche. Andremo anche a Bruxelles, il 28 novembre, dove abbiamo già portato lo spettacolo nel giugno scorso nella sede del Parlamento Europeo, prima ancora saremo a Washington, il 19, nella Hall of the Americas della sede dell'Organizzazione degli Stati Americani (Oas) e sarà una giornata speciale perché le lettrici saranno le ministre delle pari opportunità del Nord e del Sud America, dal Guatemala al Canada, perché come ho già detto purtroppo questo è un problema globale e questo ci consente di adottare un linguaggio comune e di creare una rete che abbatta confini e differenze di lingua e cultura. Infine chiudiamo la tournée a Londra il 3 dicembre, dove la Thomson Reuters Foundation promuove in collaborazione con International New York Times la Trust Women Conference, con l'obiettivo di agire sul tema dei diritti alle donne".
È davvero bello che l'Italia sia in prima linea, ma come abbiamo fatto?
Credo che lo spettacolo abbia colpito gli addetti ai lavori che l'hanno visto in Italia e a Bruxelles, forse perché ha un taglio particolare...è una Spoon River al femminile, le storie sono inventate ma costruite partendo da fatti di cronaca veri e le protagoniste vengono da tutto il mondo, da New York alla Nigeria. La mia idea era quella di far arrivare al cuore e alla coscienza delle persone una serie di cose che secondo me dagli articoli o dai servizi in Tv non arrivava, per questo ho puntato sulla drammaturgia, perché è fatta di pianto, di riso, di immedesimazione. È certamente importante fare convegni e studi sull'argomento, ma con Ferite a morte ho notato che si crea un'immedesimazione molto forte con la vita, il quotidiano delle protagoniste dello spettacolo. Ognuna di noi si riconosce in un pezzettino di queste storie e credo che questo spinga chi non l'ha ancora fatto a parlare, a denunciare le violenze subite...è un bel cortocircuito, una botta emotiva che investe sia gli uomini che le donne.
Negli ultimi anni ci sono state molte più denunce: siamo di fronte ad un imbarbarimento dei costumi o le donne hanno maggiore consapevolezza e coraggio nel denunciare i maltrattamenti subiti?
Sembra incredibile, ma da un anno a questa parte da un lato c'è più attenzione, ma dall'altro sembra quasi che ci sia un'intensificazione del fenomeno. Forse siamo noi che siamo più sensibili sull'argomento, anche se culturalmente per certi versi si sono fatti dei passi indietro. Nel mio libro c'è anche una parte più scientifica che ho scritto insieme a Maura Misiti, una ricercatrice del CNR, che dimostra - ahimè - che i dati sono più o meno sempre gli stessi, quindi è l'attenzione che è aumentata, anche da parte della stampa che adesso tratta i casi di cronaca in maniera diversa. Ciò non toglie che la situazione in Italia sia devastante: il femminicido è la punta dell'iceberg di una quotidiana, diffusissima, terribile piaga di violenza domestica.
La sensazione è che il femminicidio sia una parte di un problema più grande che comprende l'omofobia, il razzismo e tutte le forme di violenza e intolleranza che si registrano ultimamente nei confronti dei più deboli...
Infatti è così, io dico sempre che è la stessa cultura che porta il povero ragazzino gay a gettarsi dalla finestra perché si sente solo e disperato. È importante che ci siano le leggi e un inasprimento delle pene, e questo decreto legge sul femminicidio che è stato approvato nei giorni scorsi è un primo piccolo passo, ma senza la prevenzione e una rieducazione culturale seria che parte dalle scuole non si va da nessuna parte. Quanto alla legge, penso che si stata fatta di corsa, ma meglio di niente...se si aspetta l'ideale si rischia di non fare neanche un passo in avanti. Sul tema della prevenzione credo che bisognerà tornare, anche perché un punto nevralgico della Convenzione di Istanbul che l'Italia ha ratificato. È necessario aumentare i centri anti-violenza che sono un punto di riferimento per chi subisce violenze fisiche e psicologiche, e poi il lavoro nelle scuole sugli stereotipi di genere.
Forse ci vorrebbero pene più certe e severe, ad esempio nel caso della violenza sessuale...
Abbiamo parlato delle attenuanti del delitto d'onore che sono state tolte pochi anni fa, aggiungiamo che lo stupro è diventato reato contro la persona e non più contro la morale nel '96 e si capisce la mentalità del paese...c'è ancora tanto da lavorare. In Spagna da quando sono intervenuti sulla materia con pene più aspre hanno registrato un calo delle violenze, questo vuol dire che funziona, ma continuo a ripetere che non basta. È importante che si lavori tutti insieme per arginare il fenomeno, uomini e donne, non si può continuare a considerare il femminicidio un problema solo del genere femminile come se parlassimo di mestruazioni o menopausa...è una cosa folle. In tutto il mondo si combatte la piaga della violenza domestica, declinata in modo diverso a secondo degli usi e costumi del posto, e sono sempre e solo donne ad occuparsene, nei centri antiviolenza, nelle aule dei tribunali, nei centri di supporto psicologico. È un problema che riguarda la società, il genere umano, non è un "argomento femminile": bisogna iniziare ad abbattere questi muri se si vogliono cambiare davvero le cose.
Ferite a morte è una vivida rappresentazione dei tanti casi di violenza che si sentono al telegiornale, come l'ha ideata?
Ho usato l'escamotage drammaturgico di far parlare le donne morte, così che possano finalmente raccontare la loro versione dei fatti, alternando qualche risata a momenti molto forti e drammatici...del resto la vita delle donne è molto più variegata di come viene solitamente dipinta negli articoli di cronaca nera o nei programmi con i plastici dove vengono considerate dei pezzi di carne, sia da vive che da morte. Quello che ho appreso lavorando su questo tema è che il fenomeno è enorme, ma costante, se si osserva dai primi del '900 ad oggi i dati del ministero mostrano una diminuzione degli omicidi uomo su uomo, mentre quelli uomo su donna si aggirano sempre sullo stesso numero...come se non fosse cambiato nulla.
Serena Dandini
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La Presse
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