L'INTERVISTA
Jean Paul Fitoussi: «Alitalia vada a lezione dai francesi»
In Italia, come in Francia, il governo deve difendere i propri asset. Fitoussi sull'impasse della compagnia di bandiera.
di Antonietta Demurtas
Più che scritto in punta di penna l'editoriale del Financial Times pubblicato il 14 ottobre, il giorno del cruciale consiglio di amministrazione Alitalia, sembra un'entrata a gamba tesa, non proprio disinteressata, negli affari italo-francesi.
Davanti all'imminente fusione della compagnia aerea italiana con il colosso franco-olandese Air France-Klm, il quotidiano economico britannico ha messo in guardia l'Italia: «La nuova ondata di protezionismo rischia di spaventare gli investitori». E già dal titolo - «Il passo falso di Letta» - denunciava un ritorno al nazionalismo economico che dà il suo «peggiore esempio» nel caso Alitalia.
IL CONFLITTO DI INTERESSI DEI BRITANNICI. Un'accusa, guarda caso, condivisa dalla stessa compagnia aerea inglese Iag (British Airways più Iberia) che lo stesso giorno, proprio sul caso Alitalia aveva chiamato in causa Bruxelles.
Ma per ora né i francesi né gli italiani sembrano preoccupati delle invettive anglosassoni, soprattutto perché «i britannici sono molto più protezionisti di noi nei confronti della loro industria finanziaria. L'unica che è rimasta loro», dice a Lettera43.it l'economista francese Jean Paul Fitoussi, docente di Economia internazionale all'università Luiss-Guido Carli di Roma e professore all'Istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po), che vive tra l'Italia e la Francia, e conosce bene entrambe le realtà.
Davanti all'imminente fusione della compagnia aerea italiana con il colosso franco-olandese Air France-Klm, il quotidiano economico britannico ha messo in guardia l'Italia: «La nuova ondata di protezionismo rischia di spaventare gli investitori». E già dal titolo - «Il passo falso di Letta» - denunciava un ritorno al nazionalismo economico che dà il suo «peggiore esempio» nel caso Alitalia.
IL CONFLITTO DI INTERESSI DEI BRITANNICI. Un'accusa, guarda caso, condivisa dalla stessa compagnia aerea inglese Iag (British Airways più Iberia) che lo stesso giorno, proprio sul caso Alitalia aveva chiamato in causa Bruxelles.
Ma per ora né i francesi né gli italiani sembrano preoccupati delle invettive anglosassoni, soprattutto perché «i britannici sono molto più protezionisti di noi nei confronti della loro industria finanziaria. L'unica che è rimasta loro», dice a Lettera43.it l'economista francese Jean Paul Fitoussi, docente di Economia internazionale all'università Luiss-Guido Carli di Roma e professore all'Istituto di studi politici di Parigi (Sciences Po), che vive tra l'Italia e la Francia, e conosce bene entrambe le realtà.
DOMANDA. Il protezionismo non è quindi solo tricolore?
RISPOSTA. No, il governo francese è intervenuto ogni volta che ha potuto per sbloccare delle operazioni industriali, così come fa quello italiano. Entrambi gli esecutivi cercano di realizzare piuttosto un liberalismo intelligente.
D. In che cosa consiste?
R. Nell'avere anche un certo grado di protezionismo. Ma nel caso Alitalia e Air France è un falso problema.
D. Perché?
R. Perché c'è un interesse reciproco per entrambi i Paesi a creare una grande compagnia.
D. Su cui però ognuno vorrebbe ergere la propria bandiera...
R. Per questo è normale che diventi una questione politica: una compagnia aerea fa parte degli asset strategici di un Paese, dunque bisogna vedere il modo in cui si conclude l'operazione.
D. Che cosa dovrebbe fare il premier Enrico Letta?
R. Deve garantire tutte le assicurazioni possibili a livello contrattuale chiedendo, per esempio, di non licenziare troppi dipendenti Alitalia e continuare a servire i principali aeroporti della penisola.
D. Perché un buon affare per la Francia non potrebbe esserlo per l'Italia...
R. Non sono un giurista ma sono sicuro che esistono modi per far sì che l'Italia abbia voce in capitolo nell'orientamento dell'asset. Esistono clausole che possono essere aggiunte al contratto per salvaguardare gli interessi degli italiani.
D. Che in questo dovrebbero prendere lezioni dai francesi. Basta vedere come gestirono l'operazione Yoplait, il colosso degli yogurt venduto agli americani di General Mills con una serie di diktat.
R. Esatto, dovrebbero fare così. In fondo gli italiani e i francesi hanno la stessa filosofia.
D. Solo che i francesi la mettono in atto.
R. In realtà sono riusciti ad applicarla scarsamente, anche perché ci sono le direttive europee che impediscono ai singoli Stati di agire.
D. Ciononostante nel 2005 l’allora premier Dominique de Villepin varò un decreto sulla protezione dei settori strategici.
R. Si però la Francia non è riuscita lo stesso a bloccare la fusione delle acciaierie Arcelor con l'indo-americana Mittal. Ci sono tanti casi in cui le leggi europee sulla concorrenza hanno impedito a Parigi di mettere in atto quel decreto.
D. Allora perché il Financial Times accusa solo gli italiani di protezionismo?
R. Ma perché si sa che la Gran Bretagna vorrebbe un mercato libero in Europa. Non sono totalmente dentro l'Ue, hanno sempre una gamba fuori. Londra vorrebbe un grande mercato senza vincoli.
D. E la fusione dei due colossi è un ostacolo, specie per la compagnia britannica?
R. Non piace agli inglesi che spesso hanno criticato l'interventismo statale. Ma di certo non attaccano gli americani, che pure sono peggio: fanno protezionismo senza vergogna e se ne fregano di queste leggi. Nelle telecomunicazioni, per esempio, in America ci sono solo tre operatori, in Europa più di 100.
D. Sì ma lo slogan «patriottismo economico» era di Sarkozy non di Obama.
R. Bisogna distinguere le parole dai fatti: la parola patriottismo è morale, gli atti sono concreti.
D. E infatti Parigi è riuscita a bloccare grandi iniziative come quella di Enel su Suez, di Novartis su Sanof, di Siemens su Alstom.
R. Perché la Francia ha sempre giocato con tutti i mezzi giuridici a sua disposizione. E l'Italia ora deve fare lo stesso, visto che anche il governo francese è azionista di Air France.
D. Ma questa fusione è considerata un affare per i francesi?
R. Air France è in un momento di difficoltà e vuole comprare Alitalia perché ha interesse a farlo.
D. Quindi bisogna giocarsela alla pari?
R. La Francia vuole un parternariato privilegiato con l'Italia, non per dominarla ma per diventare più forte. E questo accadrebbe se la politica industriale venisse gestita dai due Paesi insieme, in modo coordinato.
D. Se solo l'Italia avesse una politica industriale...
R. Credo che neanche la Francia abbia una politica industriale, semplicemente parla meglio e parla di più. L'Italia ha solo più timore di affrontare gli argomenti in modo pubblico, ma in fondo non c'è differenza tra i due Paesi.
Martedì
1 commento:
Intervista a Fitoussi.
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