Sono quasi 65mila i detenuti che vivono stipati nelle 205 carceri italiane, la cui capienza massima è di 47.615 posti. Da inizio anno i morti per suicidio in cella sono già 39. I casi di proteste, risse e infezioni dovute alle scarse condizioni igieniche, sono quasi quotidiani. E’ la vita nelle prigioni italiane. Routine conosciuta molto bene don Virgilio Balducchi, per oltre vent’anni cappellano del carcere di Bergamo e dal 2012 responsabile dei sacerdoti che lavorano ogni giorno nei penitenziari della penisola. Come ispettore generale dei cappellani carcerari, don Balducchi, 63 anni, coordina il lavoro dei preti in prima linea e interagisce con le diverse associazioni di sostegno ai detenuti. Ovviamente, anche lui ha apprezzato l’intervento del Presidente dellaRepubblica Giorgio Napolitano a favore di misure urgenti per alleviare le sofferenze dei detenuti in Italia.
Don Balducchi, in una situazione di grave sovraffollamento come cambia il lavoro dei cappellani?
“L’emergenza rende difficilissimo, per tutti gli operatori, rispondere ai bisogni, anche i più elementari, dei detenuti. In molti istituti, ad esempio, è impossibile per il cappellano conoscere tutte le persone ospitate, non c’è il tempo materiale, sono troppi. Figuriamoci quando si tratta di organizzare attività di gruppo o intraprendere un percorso spirituale. Come dicevo, è un problema che riguarda tutti gli attori in campo. Basta leggere i pronunciamenti delle associazioni di volontariato o della polizia carceraria: si fatica a distinguerli, i toni sono identici, il problema è sentito trasversalmente in maniera drammatica”.
E’ cresciuta, negli anni, la domanda di sostegno spirituale ed esistenziale da parte dei detenuti?
“Certamente si. La condizione di degrado in cui si vive spinge molti alla richiesta di ascolto. Inoltre, molti detenuti non hanno contatti con l’esterno e cercano un volto amico, qualcuno con cui parlare di ciò che esiste oltre le mura. Per molti versi, è più facile offrire un aiuto materiale - regalare un paio di scarpe o una maglietta a chi non può permettersele - piuttosto che ascolto e comprensione. Anche per questo, i casi di depressione in carcere sono numerosissimi”.
Oltre all’amnistia, sarebbero necessarie delle modifiche del codice penale?
“Senza dubbio. Spesso, quando si tratta di legiferare, l’approccio del ceto politico è semplicistico. Giocando sulla paura dell’opinione pubblica, si forniscono risposte securitarie a problemi complessi che non sono necessariamente legati all’illegalità. Il così detto reato di clandestinità è un esempio in questo senso. Leggi come la Fini-Giovanardi sulla droga, ma anche molte altre, andrebbero modificate: hanno incancrenito il codice penale e fatto aumentare il numero dei detenuti”.
Quasi la metà dei detenuti in Italia è di origine straniera e molti sono musulmani. Pensa che nel nostro Paese, come accade in Francia, sia il caso di affiancare ai cappellani degli imam? 
“In alcuni casi, piuttosto rari, ciò avviene anche in Italia. Alcuni cappellani hanno un rapporto proficuo con gli imam e si lavora in sinergia. Poi, se d’accordo con lo Stato e le associazioni islamiche, si decidesse di estendere in maniera strutturale la loro presenza in carcere, io sarei favorevole. In ogni caso, com’è ovvio, nel rapporto con i detenuti i cappellani usano la carità, e la carità non conosce distinzioni di razza, cultura o religione”.
Proprio il tema della carità è uno dei più presenti negli interventi di Papa Francesco. Com’è stato accolto dai detenuti questo nuovo pontificato?
“Con grande calore e ottimismo. E lo dico a ragion veduta, ricevendo una mole sempre maggiore di lettere indirizzate proprio al Papa. Francesco, con le sue parole di apertura forti e semplici, è riuscito a porsi come qualcuno a cui si può chiedere. Qualcuno che si può toccare”. 
Il degrado delle carceri italiane nelle foto della Uil-Penitenziari
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