INTERVISTA
Nicola Piepoli: «I sondaggi? Se ne fanno pochi»
Il vero statista non segue l'umore del popolo. Ne è convinto l'esperto d'exit poll. «Siamo meno credibili a causa di B».
di Francesco Pacifico
Silvio Berlusconi ha legato la vita del governo Letta alla cancellazione dell’Imu e dell’Iva. Matteo Renzi ha intimato al presidente della Repubblica di non firmare alcun atto di clemenza. Amnistia o indulto che sia. Beppe Grillo, invece, minaccia le barricate in difesa del reato di immigrazione clandestina.
Parafrasando Emanuele Macaluso (che si riferiva al sindaco di Firenze), la politica vecchia e nuova ragiona così: «Si leggono i sondaggi, si vede l’aria che tira, si valuta se fa gioco o meno mettere in campo una certa posizione».
Un'analisi che fa imbestialire Nicola Piepoli, titolare dell’omonimo istituto di ricerca e pioniere in Italia degli exit poll. Che dice a Lettera43.it: «Ma mica si fanno tanti sondaggi in Italia».
Parafrasando Emanuele Macaluso (che si riferiva al sindaco di Firenze), la politica vecchia e nuova ragiona così: «Si leggono i sondaggi, si vede l’aria che tira, si valuta se fa gioco o meno mettere in campo una certa posizione».
Un'analisi che fa imbestialire Nicola Piepoli, titolare dell’omonimo istituto di ricerca e pioniere in Italia degli exit poll. Che dice a Lettera43.it: «Ma mica si fanno tanti sondaggi in Italia».
DOMANDA. Ne è proprio sicuro?
RISPOSTA. Se un partito spende 200 mila euro in questa direzione è pure troppo. E che cosa sono per un partito 200 mila euro?
D. Sarà, ma l’agenda politica è scandita dai sondaggi.
R. Ma chi lo dice? Ammesso che siano davvero usati, sono i numeri a smentire questa diceria. Sa quanto fatturano tutti gli istituti come il mio sul versante dei sondaggi politici?
D. No, quanto?
R. Quattro milioni di euro. Una bazzecola sui 500 complessivi che si spendono in Italia per le ricerche di marketing.
D. Le sembrano pochi?
R. La politica francese spende per questa voce 50 milioni di euro. Una sera sì e una no, i telegiornali aprono con un sondaggio. Sono una cosa seria.
D. Invece in Italia?
R. Non sono credibili dopo l’uso che ne ha fatto Berlusconi. Con il risultato che la gente confonde il sondaggista, che è un semplice e neutro ricercatore, con la parte politica che gli commissiona il sondaggio.
D. E Berlusconi cosa chiedeva al sondaggista Piepoli?
R. Berlusconi non mi ha mai chiesto nulla. Ero un fornitore di Palazzo Chigi già dai tempi di Craxi o di Andreotti. Mi aveva portato lì Giovanni Goria, un amico, uno che teneva in considerazioni i sondaggi come faceva De Gaulle.
D. Come si comportava il Generale?
R. De Gaulle si affidava a due istituti demoscopici differenti. Uno lo consultava il lunedì per sapere se doveva riverniciare i treni di bianco come chiedevano i cittadini. L’altro il venerdì, e prima di partire per Colombey-les-Deux-Églises, su questioni come l’indipendenza dell’Algeria.
D. Allora la Francia è come l’Italia?
R. Non proprio. I sondaggi sulle bazzecole il Generale li seguiva eccome. Infatti il lunedì successivo il colore dei treni da blu diventava bianco. Se invece c’era da decidere sulla fine di una guerra, allora sceglieva per conto proprio.
D. Cosa accade quando si seguono gli umori popolari?
R. Il caos. Il politico assennato, indipendentemente dalle nostre indagini, dovrebbe conoscere i bisogni della popolazione. Nel 1974 Amintore Fanfani mica scomodò i sondaggisti per lanciare il referendum sul divorzio. Era convinto di stravincere e invece perse.
D. La morale?
R. I politici fanno lo stesso oggi. Se Churchill avesse interpellato il suo popolo nel 1939, l’Inghilterra non sarebbe mai entrata in guerra contro la Germania. Nel 1969 De Gaulle legò il suo destino al referendum sulla regionalizzazione della Francia. Sapeva che avrebbe perso e infatti si dimise una volta arrivato l’esito delle urne.
D. Meglio le imprese come i clienti?
R. Imprenditori e politici si comportano allo stesso modo: ci sono quelli che ci contattano perché vogliono battere la concorrenza e altri perché vogliono sentirsi dire che sono i più belli del reame.
D. Renzi e Grillo si comportano come Berlusconi?
R. Non so dire con certezza se Renzi stia commettendo gli stessi errori di Berlusconi. Non ho rapporti diretti con lui. Grillo invece di sondaggi ne fa tanti, ma li effettua attraverso internet. E i risultati sono un po’ distorti.
RISPOSTA. Se un partito spende 200 mila euro in questa direzione è pure troppo. E che cosa sono per un partito 200 mila euro?
D. Sarà, ma l’agenda politica è scandita dai sondaggi.
R. Ma chi lo dice? Ammesso che siano davvero usati, sono i numeri a smentire questa diceria. Sa quanto fatturano tutti gli istituti come il mio sul versante dei sondaggi politici?
D. No, quanto?
R. Quattro milioni di euro. Una bazzecola sui 500 complessivi che si spendono in Italia per le ricerche di marketing.
D. Le sembrano pochi?
R. La politica francese spende per questa voce 50 milioni di euro. Una sera sì e una no, i telegiornali aprono con un sondaggio. Sono una cosa seria.
D. Invece in Italia?
R. Non sono credibili dopo l’uso che ne ha fatto Berlusconi. Con il risultato che la gente confonde il sondaggista, che è un semplice e neutro ricercatore, con la parte politica che gli commissiona il sondaggio.
D. E Berlusconi cosa chiedeva al sondaggista Piepoli?
R. Berlusconi non mi ha mai chiesto nulla. Ero un fornitore di Palazzo Chigi già dai tempi di Craxi o di Andreotti. Mi aveva portato lì Giovanni Goria, un amico, uno che teneva in considerazioni i sondaggi come faceva De Gaulle.
D. Come si comportava il Generale?
R. De Gaulle si affidava a due istituti demoscopici differenti. Uno lo consultava il lunedì per sapere se doveva riverniciare i treni di bianco come chiedevano i cittadini. L’altro il venerdì, e prima di partire per Colombey-les-Deux-Églises, su questioni come l’indipendenza dell’Algeria.
D. Allora la Francia è come l’Italia?
R. Non proprio. I sondaggi sulle bazzecole il Generale li seguiva eccome. Infatti il lunedì successivo il colore dei treni da blu diventava bianco. Se invece c’era da decidere sulla fine di una guerra, allora sceglieva per conto proprio.
D. Cosa accade quando si seguono gli umori popolari?
R. Il caos. Il politico assennato, indipendentemente dalle nostre indagini, dovrebbe conoscere i bisogni della popolazione. Nel 1974 Amintore Fanfani mica scomodò i sondaggisti per lanciare il referendum sul divorzio. Era convinto di stravincere e invece perse.
D. La morale?
R. I politici fanno lo stesso oggi. Se Churchill avesse interpellato il suo popolo nel 1939, l’Inghilterra non sarebbe mai entrata in guerra contro la Germania. Nel 1969 De Gaulle legò il suo destino al referendum sulla regionalizzazione della Francia. Sapeva che avrebbe perso e infatti si dimise una volta arrivato l’esito delle urne.
D. Meglio le imprese come i clienti?
R. Imprenditori e politici si comportano allo stesso modo: ci sono quelli che ci contattano perché vogliono battere la concorrenza e altri perché vogliono sentirsi dire che sono i più belli del reame.
D. Renzi e Grillo si comportano come Berlusconi?
R. Non so dire con certezza se Renzi stia commettendo gli stessi errori di Berlusconi. Non ho rapporti diretti con lui. Grillo invece di sondaggi ne fa tanti, ma li effettua attraverso internet. E i risultati sono un po’ distorti.
Lunedì, 14 Ottobre 2013
1 commento:
Se questa è la democrazia diretta realizzatela voi.
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