Salvini a Roma: il V-day del fronte anti Renzi. CasaPound lancia l'altro Matteo: "È il leader, vinceremo"
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Cala dal Pincio la marcia silenziosa dei camerati, sotto i vessilli di CasaPound. Un fiume di teste rasate, che sventolano la tartaruga nera. Piazza del popolo è avvolta dalla nebbia verde dei fumogeni leghisti. Piazza piena, non pienissima, “strepitosa, 100 mila persone”, dicono gli organizzatori.
Venti, forse trenta mila. Piazza che intona, con ritmo: “Renzi, Renzi, vaffa….o”. Nasce a Roma la nuova destra. Il “fronte” nazionale italiano anti-Renzi. Simone di Stefano di Casa Pound urla dal palco: “Oggi nasce un fronte comune con un leader, Matteo Salvini, e arriveremo alla vittoria”. Destra vera, destra incazzata, linguaggio d’antan. Giorgia Meloni, pasionaria arringa mettendo a rischio le corde vocali: “Basta tasse, che sono bellissime solo quando le pagano gli altri. E basta immigrati, noi italiani non possiamo essere discriminati a casa nostra. Prima gli italiani. Questi sono i temi del fronte anti-Renzi. L’unico Nazareno che riconosciamo è Gesù”.
Musica assordante per cuori forti, Carmina Burana, che pare un rullo di tamburi, usata già per scaldare i raduni sull’umido prato di Pontida. Matteo Salvini non sta fermo un attimo, gira sul palco con l’I-Pad, filma la folla, stringe mani, camicia bianca e maglietta “Sto con Stacchio”. “Matteo”, “Matteo”, si gode la giornata in cui la sua leadership è già un culto. Panino e birretta con i giovani e la new entry Barbara Saltamartini da Giolitti (la Saltamartini sul palco starà accanto a Zaia e Maroni), poi la piazza. I maxischermi mandano le sue interviste, come se fosse il Vangelo. E poi, “Matteo, facciamoci un selfie”, “Matteo, fatti baciare”. Il Vangelo secondo Matteo è fatto soprattutto di vaffa. Ci gioca, ogni qual volta nomina Renzi nel suo discorso: “Renzi è una pedina, il servo sciocco di chi, da Bruxelles vuole controllare e amministrare l’economia italiana”. “Renzi, Renzi, vaffa….o” intona la folla. Salvini insiste: “Attenti che quello mette la tassa sul vaffa al tre per cento più Iva”. Tocca pure alla Fornero: “Vaffa a lei e a chi ce l’ha messa”. È il V-day dei lepenisti italiani: insulti, linguaggio da trivio, autocompiacimento dell’insulto e del trivio. L’unico applauso vero al noioso intervento di Zaia è sul finale: “Torneremo in regione e gli faremo un culo così” (accompagnato dalla mimica delle mani).
Un tripudio, quando Matteo parla del fisco oppressivo: “Ognuno deve essere libero di spendere come cazzo vuole”. Evviva, applausi, tutti contro Renzi. Il vaffa per gasarsi, il vaffa per lo spettacolo, il vaffa è collante del calderone popolare dei lepenisti nostrani. Sventola di tutto, in piazza del Popolo: le bandiere verdi “Padania libera”, sventola il leone di San Marco, accanto le bandiere bianche col cuore rosso, il cuore di Cristo dei neo-catecumenali, un po’ più in là le bandiere della Russia di Putin russe, portate dalle associazioni che ti spiegano: “Solo la Lega si è schierata con noi contro le sanzioni”.
Musica assordante per cuori forti, Carmina Burana, che pare un rullo di tamburi, usata già per scaldare i raduni sull’umido prato di Pontida. Matteo Salvini non sta fermo un attimo, gira sul palco con l’I-Pad, filma la folla, stringe mani, camicia bianca e maglietta “Sto con Stacchio”. “Matteo”, “Matteo”, si gode la giornata in cui la sua leadership è già un culto. Panino e birretta con i giovani e la new entry Barbara Saltamartini da Giolitti (la Saltamartini sul palco starà accanto a Zaia e Maroni), poi la piazza. I maxischermi mandano le sue interviste, come se fosse il Vangelo. E poi, “Matteo, facciamoci un selfie”, “Matteo, fatti baciare”. Il Vangelo secondo Matteo è fatto soprattutto di vaffa. Ci gioca, ogni qual volta nomina Renzi nel suo discorso: “Renzi è una pedina, il servo sciocco di chi, da Bruxelles vuole controllare e amministrare l’economia italiana”. “Renzi, Renzi, vaffa….o” intona la folla. Salvini insiste: “Attenti che quello mette la tassa sul vaffa al tre per cento più Iva”. Tocca pure alla Fornero: “Vaffa a lei e a chi ce l’ha messa”. È il V-day dei lepenisti italiani: insulti, linguaggio da trivio, autocompiacimento dell’insulto e del trivio. L’unico applauso vero al noioso intervento di Zaia è sul finale: “Torneremo in regione e gli faremo un culo così” (accompagnato dalla mimica delle mani).
Un tripudio, quando Matteo parla del fisco oppressivo: “Ognuno deve essere libero di spendere come cazzo vuole”. Evviva, applausi, tutti contro Renzi. Il vaffa per gasarsi, il vaffa per lo spettacolo, il vaffa è collante del calderone popolare dei lepenisti nostrani. Sventola di tutto, in piazza del Popolo: le bandiere verdi “Padania libera”, sventola il leone di San Marco, accanto le bandiere bianche col cuore rosso, il cuore di Cristo dei neo-catecumenali, un po’ più in là le bandiere della Russia di Putin russe, portate dalle associazioni che ti spiegano: “Solo la Lega si è schierata con noi contro le sanzioni”.
Sventolano, mentre Salvini illustra il Pantheon: Don Milani, stiracchiato e interpretato in chiave di disobbedienza fiscale, La masseria delle Allodole sul “genocidio degli armeni per mano turca”. E Un uomo, il libro in cui Oriana Fallaci narra la storia di Alekos Paragunis, “uomo che non si adegua e non si rassegna” nella battaglia per la democrazia contro il regime dei colonnelli. Dietro Salvini, sul palco, sventolano le bandiere della Russia zarista, l’opposto della democrazia e della libertà. Chi non salta è comunista, intona la piazza, vecchio classico anche delle manifestazioni di Berlusconi, quando era Berlusconi: “Ci diranno – dice Salvini – che se saltelliamo “chi non salta è comunista” non ci votano i moderati. Ma chi sono i moderati? Sono gli artigiani, gli imprenditori, i commercianti, gli avvocati, quelli che vivono del loro lavoro. E sapete che mi hanno detto i moderati l’altro giorno in Toscana? Che ne hanno le palle piene per colpa del primo ladro e strozzino d’Italia che si chiama Stato”.
Chi non salta è comunista. Pure Maroni saltella, Zaia, Cota, e la “gente”, anzi la “ggente”, la “società civile”, rimasta sul palco, dopo aver preso la parola. Claudio, l’esodato che si sente un “bancomat” del governo; Roberto l’agricoltore che ce l’ha con l’Europa: “Lo sapete che se la Merkel chiude le frontiere rimaniamo senza latte, carne e pane?”. Il pescatore che avverte che rimarremo anche senza pesce. Greta, la studentessa che se la prende con Marino: “I centri sociali sono una minoranza e Marino gli autorizza le manifestazioni”. Ognuno inizia rivolgendosi al “presidente Renzi”. E la piazza prontamente: “Vaffa….o”. Il nuovo ideologo del cerchio magico salviniano, l’economista Armando Siri, è il più duro: “Ma Renzi è consapevole che le nostre città sono cimiteri, basta vedere le saracinesche abbassate? È lui il responsabile della Gestapo fiscale che si chiama Equitalia”.
Compare Marine Le Pen, in un saluto registrato. L’applausometro dice che arriva seconda dopo Salvini. Basta rom, basta immigrati. Gran finale di Salvini: “Faccio appello alla guardia costiera: non vi siete arruolati per fare gli aiuto-scafisti, ma per far rispettare i confini. Riportateli a casa! E se qualcuno mi diffida per discriminazione razziale, io con quella diffida mi ci pulisco il naso”. Simone Di Stefano, di Casa Pound, annuisce: “In una nazione in cui muoiono negli ospedali i nostri bambini non c’è spazio per nessuno. Prima gli italiani, i nipoti dei nostri nonni che furono gli eroi del Carso, del Grappa, del Piave”.
In prima fila davanti alle transenne, un militante alza un cartello con la foto del Duce, divisa e saluto romano: “Salvini – c’è scritto – ti stavo aspettando”. Il fronte anti-Renzi è nato, radicale ed estremista. Salvini si sente già candidato premier – “quando saremo al governo”, ripete - sì e no nomina Forza Italia, (“vedremo, prima i contenuti, poi le alleanze”). Il Duce, dalla foto, lo guarda. E Matteo conclude: “Ai burocrati faremo un mazzo così. Vince chi resiste, chi crede, chi combatte”.
Chi non salta è comunista. Pure Maroni saltella, Zaia, Cota, e la “gente”, anzi la “ggente”, la “società civile”, rimasta sul palco, dopo aver preso la parola. Claudio, l’esodato che si sente un “bancomat” del governo; Roberto l’agricoltore che ce l’ha con l’Europa: “Lo sapete che se la Merkel chiude le frontiere rimaniamo senza latte, carne e pane?”. Il pescatore che avverte che rimarremo anche senza pesce. Greta, la studentessa che se la prende con Marino: “I centri sociali sono una minoranza e Marino gli autorizza le manifestazioni”. Ognuno inizia rivolgendosi al “presidente Renzi”. E la piazza prontamente: “Vaffa….o”. Il nuovo ideologo del cerchio magico salviniano, l’economista Armando Siri, è il più duro: “Ma Renzi è consapevole che le nostre città sono cimiteri, basta vedere le saracinesche abbassate? È lui il responsabile della Gestapo fiscale che si chiama Equitalia”.
Compare Marine Le Pen, in un saluto registrato. L’applausometro dice che arriva seconda dopo Salvini. Basta rom, basta immigrati. Gran finale di Salvini: “Faccio appello alla guardia costiera: non vi siete arruolati per fare gli aiuto-scafisti, ma per far rispettare i confini. Riportateli a casa! E se qualcuno mi diffida per discriminazione razziale, io con quella diffida mi ci pulisco il naso”. Simone Di Stefano, di Casa Pound, annuisce: “In una nazione in cui muoiono negli ospedali i nostri bambini non c’è spazio per nessuno. Prima gli italiani, i nipoti dei nostri nonni che furono gli eroi del Carso, del Grappa, del Piave”.
In prima fila davanti alle transenne, un militante alza un cartello con la foto del Duce, divisa e saluto romano: “Salvini – c’è scritto – ti stavo aspettando”. Il fronte anti-Renzi è nato, radicale ed estremista. Salvini si sente già candidato premier – “quando saremo al governo”, ripete - sì e no nomina Forza Italia, (“vedremo, prima i contenuti, poi le alleanze”). Il Duce, dalla foto, lo guarda. E Matteo conclude: “Ai burocrati faremo un mazzo così. Vince chi resiste, chi crede, chi combatte”.
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