mercoledì 30 luglio 2014

Un sud sempre più a fondo mentre a Minori ci sono quattro poveri diavoli che vorrebbero costituire una ulteriore repubblica Minorese non si comprende con quali soldi. Tutti e quattro questi imbecilli da premio Nobel per l'Economia.

DATI ECONOMICI
È  un Paese spaccato, «diviso e diseguale dove il Sud scivola sempre più nell'arretramento» quello che emerge dal rapporto Svimez 2014 sull’economia del Mezzogiorno, pubblicato il 30 luglio.
Il Pil del Sud nel 2013 è «crollato del 3,5% contro il -1,4% del centro Nord». Negli anni di crisi 2008-2013 «il Sud ha perso il 13,3% con il 7%». Il divario di Pil pro capite è tornato ai livelli di 10 anni fa.
PIL DEL SUD GIÙ DAL 2008. Lo Svimez calcola che il crollo del 2014 «approfondisce la flessione dell'anno precedente (-3,2%), con un calo superiore di quasi due percentuali rispetto al Centro-Nord (-1,4%)». Ed è «per il sesto anno consecutivo» che il Pil del Mezzogiorno «registra segno negativo, a testimonianza della criticità dell'area». Anche gli andamenti di lungo periodo «confermano un Paese spaccato e diseguale: negli anni di crisi 2008-2013 il Sud ha perso -13,3% contro il -7% del Centro-Nord».
SOLO IL TRENTINO CON VALORE POSITIVO. A livello regionale nel 2013 il segno è negativo per tutte le regioni italiane, a eccezione del Trentino alto Adige (+1,3%) e della stazionaria Toscana (0%). Anche le regioni del Centro-Nord, sono tornate a segnare cali significativi, come, il Piemonte (-2,6%) e il veneto (-3,6%). Nel Mezzogiorno la forbice resta compresa tra il -1,8% dell'Abruzzo e il -6% della Basilicata, fanalino di coda nazionale. In posizione intermedia la Campania (-2,1%) e la Sicilia (-2,7%). Giù anche Sardegna (-4,4%) , Calabria (-5%) e Puglia (-5,6%).
2008-13: ITALIA PEGGIO DELLA GRECIA. Nel periodo 2001-2013 l'Italia è andata peggio della Grecia, «il tasso di crescita cumulato è stato + 15% in Germania, +19% in Spagna, + 14,3% in Francia. Segno positivo perfino in Grecia, +1,6%. Negativa l'Italia, con -0,2%, tirata giù sostanzialmente dal Mezzogiorno, che perde oltre il 7%, contro il +2% del Centro-Nord».
CROLLO DEI CONSUMI DELLE FAMIGLIE. Nel periodo 2008-2013 «la caduta cumulata dei consumi delle famiglie ha sfiorato nel Mezzogiorno i 13 punti percentuali (-12,7%), risultando di oltre due volte maggiore di quella registrata nel resto del Paese (-5,7%)».
CALANO ANCHE GLI INVESTIMENTI. Gli investimenti fissi lordi «sono crollati del 33% nel Mezzogiorno e del 24,5% nel Centro-Nord»: quelli nell'industria si sono ridotti «addirittura del 53,4%, più del doppio rispetto al già pesante calo del Centro-Nord (-24,6%). Giù anche gli investimenti nelle costruzioni, con un calo cumulato del -26,7% al Sud e del -38,4% al Centro-Nord, ed in agricoltura, (-44,6% al Sud, quasi tre volte più del Centro-Nord, -14,5%)». Ed è «ancora in calo la spesa pubblica per investimenti al Sud: nel 2012 la spesa aggiuntiva per il Sud è scesa al 67,3% del totale nazionale, ben al di sotto della quota dell'80% fissata per la ripartizione delle risorse aggiuntive tra aree depresse del Centro-Nord e del Sud del Paese». E sono «particolarmente preoccupanti i tagli agli investimenti in infrastrutture».
NORD IN RIPRESA, PIL GIÙ NEL SUD NEL 2014. Le stime dello Svimez prevedono un Centro-Nord in lieve ripresa mentre «il Sud no», in una Italia che così «continua a essere spaccata in due». Nel 2014 «il Pil italiano dovrebbe crescere dello 0,6%, quale risultato del +1,1% del Centro-Nord e del -0,8% del Sud».

RISCHIO DESERTIFICAZIONE UMANAE INDUSTRIALE.

Secondo il centro studi Svimez, che ha elaborato alcune proiezioni sul futuro del Paese, il Sud è oggi «una terra a rischio desertificazione industriale e umana, dove si continua a emigrare, non fare figli e impoverirsi»: in cinque anni le famiglie assolutamente povere sono aumentate di due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione e 14mila nuclei.
CROLLO DELL’INDUSTRIA NEL SUD. Lo Svimez, ha registrato che negli anni della crisi, 2008-2013, «il settore manifatturiero al Sud ha perso il 27% del proprio prodotto, e ha più che dimezzato gli investimenti (-53%)», mentre «la crisi non è stata altrettanto profonda nel Centro-Nord, dove la diminuzione di prodotto e occupazione è stata di circa 16 punti inferiore, quella degli investimenti di oltre il 24%».
CALANO ANCHE GLI OCCUPATI. Nel 2013 «la quota del valore aggiunto manifatturiero sul Pil è stata pari al Sud al 9,3%, un dato ben lontano dal 18,6% del CentroNord e dal 20% auspicato dal presidente di Confindustria Giorgio Squinzi». Gli addetti nell'industria in senso stretto al Sud sono scesi dai 43,6 per mille abitanti del 2008 a 37,4. Il valore aggiunto dell'industria in senso stretto è stato pari al 20,7% nel Centro-Nord e all'11,8% al Sud. A livello regionale «l'Abruzzo si conferma in linea e anzi superiore al centro-Nord, con un valore del 21,8%, seguito dal Molise con il 17% e dalla Basilicata (14,5%). In coda la Sicilia (8,2%) e la Calabria (7,6%), tutte comunque in calo rispetto ai valori già bassi registrati nel 2007».
IMPRESE TROPPO PICCOLE NEL MERIDIONE. Le imprese meridionali continuano a essere di piccole dimensioni: in dieci anni, dal 2001 al 2011, «il peso delle micro imprese under 9 addetti è passato dal 33,9% al 37,6%». Così, «il Sud è ormai a forte rischio di desertificazione industriale, con la conseguenza che l'assenza di risorse umane, imprenditoriali e finanziarie potrebbe impedire all'area meridionale di agganciare la possibile ripresa e trasformare la crisi ciclica in un sottosviluppo permanente».
SUD SEMPRE PIÙ POVERO. Desertificazione non solo industriale ma anche umana, perché nel Sud «si parte, e si fanno meno figli». Il Sud è poi «sempre più povero. In Italia oltre due milioni di famiglie si trovavano nel 2013 al di sotto della soglia di povertà assoluta, equamente divise tra Centro-Nord e Sud (1 milione e 14mila famiglie per ripartizione), con un aumento di 1 milione 150mila famiglie rispetto al 2007». La povertà assoluta, indica ancora il rapporto Svimez, «è aumentata al Sud rispetto all'anno scorso del 2,8% contro lo 0,5% del Centro-Nord. Nel periodo 2007-2013 al Sud le famiglie assolutamente povere sono cresciute oltre due volte e mezzo, da 443mila a 1 milione 14mila, il 40% in più solo nell'ultimo anno».

RECORD NEGATIVO DI OCCUPATI NEL MERIDIONE.

Svimez ha poi riscontrato che, secondo le tendenze più recenti, al Sud si concentra oltre l'80% delle perdite dei posti di lavoro italiani. E, dato ancor più sconcertante, nel 2013 il numero degli occupati del Sud è sceso per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, il livello più basso delle serie storiche, disponibili dal 1977.
60% DEI DISOCCUPATI AL SUD. Il Mezzogiorno tra il 2008 ed il 2013 registra una caduta dell'occupazione del 9%, a fronte del -2,4% del Centro-Nord. Nel Sud, dunque, pur essendo presente appena il 26% degli occupati italiani si concentra il 60% delle perdite determinate dalla crisi.
CRISI DURA PER I GIOVANI. Posti di lavoro persi soprattutto tra i lavoratori giovani under 34 (-12% contro il -6,9% del Centro-Nord). Il livello degli occupati, sceso sotto la soglia psicologica dei sei milioni, «testimonia, da un lato, il processo di crescita mai decollato, e, dall'altro, il livello di smottamento del mercato del lavoro meridionale e la modifica della geografia del lavoro».
Lo Svimez segnala anche l'aumento del tasso di disoccupazione. Quello ‘ufficiale’ nel 2013 è stato del 19,7% al Sud e del 9,1% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro.
LAVORO FEMMINILE SOTTO GLI STANDARD EUROPEI. Le donne continuano a lavorare poco: «Nel 2013 a fronte di un tasso di attività femminile medio del 66% in Europa a 28, che arriva all'83% in Finlandia, se l'Emilia Romagna è perfettamente allineata con la media europea, le regioni del Mezzogiorno vanno peggio di Malta e della Romania (che registrano tassi di attività femminile rispettivamente del 50% e del 48,4%), scendendo fino al 38% in Puglia, il 37% in Calabria e Campania, il 35% in Sicilia».
Anche i giovani non se la passano bene: rispetto alla media europea del 75,3%, i giovani diplomati e laureati italiani presentano un tasso di occupazione di circa 27 punti più basso, pari al 48,3%.

LA POLITICA ECONOMICA PESA SUL DIVARIO.

Le manovre pesano di più al Sud, rileva lo Svimez: con un impatto (considerando le manovre effettuate dal 2010 al 2014 dai vari governi, per 109 miliardi) pari nel 2015 al 9,5% del Pil al Sud contro il 6% del Centro-Nord. Così, rileva lo Svimez, «la politica economica appare contribuire alla crescente divaricazione» tra Meridione e Settentrione, anche per i tagli alla spesa che «concorrono a penalizzare in maniera significativa l'economia» del Mezzogiorno «già strutturalmente meno capace di agganciare la ripresa».
TAGLI INCIDONO DI PIÙ AL SUD. Gran parte del diverso impatto «è dovuta ai tagli alle spese operati dai Governi, il cui peso ha inciso molto più al Sud che al Centro-Nord. Nel 2015, ad esempio, al Sud il valore cumulato della spesa pubblica dovrebbe essere tagliato il doppio rispetto al Centro-Nord, cioè del 6,2% contro il 2,9% dell'altra ripartizione», e «si tratta di spese particolarmente dolorose». Le manovre «considerate nei loro effetti diretti e indiretti tolgono nel 2014 lo 0,65% del Pil al Sud e lo 0,21% al Centro-Nord».
UNICA SPERANZA I FONDI PER LA COESIONE. Quanto ai fondi per la coesione, «se per ipotesi si riuscissero a spendere tutte le risorse tecnicamente disponibili l'impatto potenziale sul Pil nell'area sarebbe nel 2014 dell'1,3%, invertendo così la tendenza da negativa a positiva»; e questo comporterebbe anche «34.400 posti di lavoro in più al Sud nel 2014 e 82.400 nel 2015».
Mercoledì, 30 Luglio 2014

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