Quando la Chiesa sposa la Mafia
La mano delle cosche: dai funerali ai matrimoni
E ora tutti scoprono prassi secolari
Di Alessandro Righi
Da una parte le attività malavitose, dall’altro quella fede portata all’esasperazione. Il confine tra sacro e profano si è ormai assottigliato e l’interferenza della malavita anche in alcune attività della Chiesa è ormai argomento di discussione da decenni. La lotta sfrenata per portare a spalla la vara in processione da parte dei clan è stata frutto negli anni di diverse interpretazioni. Ma scovando cronache e testi sul tema della commistione Chiesa-Mafia spuntano anche matrimoni combinati, feste religiose condizionate e funerali stravolti.
È uno strano rapporto quello tra Chiesa e clan malavitosi e non sono pochi i sostenitori della scuola di pensiero secondo cui vi sarebbe “una convinzione dei mafiosi di essere così giustificati davanti a Dio”.
È uno strano rapporto quello tra Chiesa e clan malavitosi e non sono pochi i sostenitori della scuola di pensiero secondo cui vi sarebbe “una convinzione dei mafiosi di essere così giustificati davanti a Dio”.
Se fosse una sfida
Quella delle processioni condizionate non è certamente una storia nuova. Anzi. Ma dopo la scomunica ai mafiosi lanciata da Papa Francesco nel corso della sua visita di giugno in Calabria ci si interroga ancora se i due recenti inchini ai boss, prima quello calabrese di Oppido Mamertina (Reggio Calabria) e l’ultimo a Palermo, possano essere una sfida allo Stato. E sull’argomento ieri è intervenuto Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia: “Se si tratta di una sfida, è bene che la risposta dello Stato sia chiara e immediata nei confronti dei troppi silenziosi complici che Cosa Nostra ha arruolato in questi anni, anche tra chi veste i paramenti sacri”. Ma cosa si dovrebbe fare per mettere davvero fine a questa sciagurata abitudine? Sull’Osservatore romano, l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, chiedeva, subito dopo i fatti di Oppido Mamertina, “regolamenti più incisivi, formazione cristiana vera e magari l’obbligo di esibire il certificato penale, affinché confraternite e comitati feste siano trasparenti e vicini al dettato evangelico”. Un articolo molto duro che chiedeva di dare seguito alle parole con i fatti, che fanno rima con provvedimenti. Mano dura quindi. E se il pezzo è apparso sul quotidiano della Santa Sede, presto ci sarà da attendersi la mano dura di Bergoglio.
Quella delle processioni condizionate non è certamente una storia nuova. Anzi. Ma dopo la scomunica ai mafiosi lanciata da Papa Francesco nel corso della sua visita di giugno in Calabria ci si interroga ancora se i due recenti inchini ai boss, prima quello calabrese di Oppido Mamertina (Reggio Calabria) e l’ultimo a Palermo, possano essere una sfida allo Stato. E sull’argomento ieri è intervenuto Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Antimafia: “Se si tratta di una sfida, è bene che la risposta dello Stato sia chiara e immediata nei confronti dei troppi silenziosi complici che Cosa Nostra ha arruolato in questi anni, anche tra chi veste i paramenti sacri”. Ma cosa si dovrebbe fare per mettere davvero fine a questa sciagurata abitudine? Sull’Osservatore romano, l’arcivescovo di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, chiedeva, subito dopo i fatti di Oppido Mamertina, “regolamenti più incisivi, formazione cristiana vera e magari l’obbligo di esibire il certificato penale, affinché confraternite e comitati feste siano trasparenti e vicini al dettato evangelico”. Un articolo molto duro che chiedeva di dare seguito alle parole con i fatti, che fanno rima con provvedimenti. Mano dura quindi. E se il pezzo è apparso sul quotidiano della Santa Sede, presto ci sarà da attendersi la mano dura di Bergoglio.
La mala non molla
Eppure i mafiosi, nonostante le attività anticrimine e numerosi schiaffi ai vari clan criminali, riescono ancora a infiltrarsi in quelle che dovrebbero essere soltanto attività attinenti al campo della religione. “La Chiesa sta affrontando con molto impegno e rigore la questione del rapporto tra i boss e la religione, sta intervenendo e lo sta facendo con molto rigore”, ha affermato il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, “ma la subcultura mafiosa, nonostante le operazioni di polizia e carabinieri e i colpi inferti a Cosa nostra, sopravvive”. Alla luce di tutto ciò è lecito domandarsi se questa volontà di essere in prima linea nelle manifestazioni religiose sia una strategia vera e propria per lanciare anche dei segnali alla popolazione. Proprio in questa direzione va il pensiero di Mila Spicola, vicesegretario del Pd Sicilia che lancia l’allarme sul controllo del territorio da parte della criminalità organizzata: “In tempo di crisi e nel vuoto economico e di valori la criminalità organizzata ricomincia a mostrare apertamente presenza e volto. Mafia, camorra e ‘Ndrangheta lanciano dei segnali di controllo del territorio. In Campania, Calabria e Sicilia, nei luoghi del disagio. Abbiamo l’obbligo di non sottovalutare questi segnali”.
Eppure i mafiosi, nonostante le attività anticrimine e numerosi schiaffi ai vari clan criminali, riescono ancora a infiltrarsi in quelle che dovrebbero essere soltanto attività attinenti al campo della religione. “La Chiesa sta affrontando con molto impegno e rigore la questione del rapporto tra i boss e la religione, sta intervenendo e lo sta facendo con molto rigore”, ha affermato il procuratore di Palermo, Francesco Messineo, “ma la subcultura mafiosa, nonostante le operazioni di polizia e carabinieri e i colpi inferti a Cosa nostra, sopravvive”. Alla luce di tutto ciò è lecito domandarsi se questa volontà di essere in prima linea nelle manifestazioni religiose sia una strategia vera e propria per lanciare anche dei segnali alla popolazione. Proprio in questa direzione va il pensiero di Mila Spicola, vicesegretario del Pd Sicilia che lancia l’allarme sul controllo del territorio da parte della criminalità organizzata: “In tempo di crisi e nel vuoto economico e di valori la criminalità organizzata ricomincia a mostrare apertamente presenza e volto. Mafia, camorra e ‘Ndrangheta lanciano dei segnali di controllo del territorio. In Campania, Calabria e Sicilia, nei luoghi del disagio. Abbiamo l’obbligo di non sottovalutare questi segnali”.
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