IL FASCINO IRRESISTIBILE DELLA VAGHEZZA: GRILLO E L'ISTRUZIONE PUBBLICA
Nei giorni scorsi, Renato Mannheimer ha realizzato per il Corriere della Sera un sondaggio secondo il quale tra coloro che si recheranno per la prima volta alle urne per eleggere i propri rappresentanti alla Camera dei Deputati, vale a dire quei giovanissimi di età compresa tra i 18 e i 23 anni, il Movimento 5 Stelle raccoglierebbe quasi un terzo dei voti. Le ragioni di questa affermazione vanno lette nella capacità di “bucare” il web da parte di Beppe Grillo e probabilmente nell'incapacità politica di chi, partiti o federazioni, vuole farsi rappresentante di certe istanze nate dalla contestazione di uno dei più grandi movimenti studenteschi mai determinatisi in Italia.
Ci si chiede, dunque, cosa si nasconda dietro un progetto elettorale che riesce ad avere un appeal così “strong” su chi si affaccia per la prima volta alle urne. Il buio, come ha osato scrivere Stefano Feltri qualche giorno fa sul Fatto Quotidiano, oppure un programma con una prospettiva per il cambiamento? La settimana scorsa, ci siamo soffermati su come il movimento di Beppe Grillo abbia intenzione di affrontare il tema del lavoro, trovandoci costretti a sostenere, indirettamente, le tesi di Stefano Feltri. Ora, anche a fronte di un sondaggio che premia la capacità di fare leva sul voto dei giovanissimi, è necessario dare uno sguardo a come i “cittadini” del Movimento 5 Stelle, una volta eletti, avranno intenzione di rappresentare un tema di fondamentale importanza come quello dell'istruzione.
Pagina 15 (l'ultima) del programma messo in rete da Grillo presenta le tredici proposte per rendere più efficiente il sistema dell'istruzione in Italia: tralasciamone alcune che appaiono scontate o infinitamente poco rilevanti. Al primo posto, come poteva essere altrimenti, c'è l'abolizione della legge Gelmini. Bene, la prima domanda che viene in mente di porre è “Come?”. Già immediatamente dopo l'approvazione della legge, si era sviluppato un dibattito all'interno del movimento studentesco circa la possibilità di mettere insieme le forze per proporre un referendum abrogativo della riforma voluta dal ministro dell'Istruzione. Sorgevano due problemi: il primo era quello di un ritorno al passato, alle norme volute da Berlinguer e dalla Moratti che non convincevano comunque nessuno; il secondo è che l'emanazione della legge dipendeva dall'approvazione di numerosi decreti attuativi, che un referendum non avrebbe probabilmente abrogato. Occorrono dunque, al di là di banali slogan, riflessioni serie. Occorre anche chiedersi se una nuova riforma dell'Università possa essere realmente un bene o non rischi di aggravare ulteriormente la situazione.
Dopo una serie di proposte che nascono da un inverosimile dibattito sul web, al quinto posto del programma sull'istruzione ecco la patata bollente: “Abolizione del valore legale del titolo di studio”. Il dibattito sull'argomento è ampio e aperto, ne abbiamo anche parlato sul Corsaro, ed è un dibattito che va avanti da decenni, da quando questo punto venne ritrovato all'interno del “Piano di rinascita democratica” della Loggia P2. Di certo non convince l'assunto di base secondo il quale “si eviterebbe così che i titoli conseguiti con votazioni elevate presso università generose possano dare ingiusti vantaggi su quelli conseguiti presso università più severe e rigorose”. Secondo Ferdinando di Orio, rettore dell’Università dell’Aquila, che a proposito ha indirizzato una lunga lettera ai parlamentari eletti in Abruzzo è vero il contrario. Scrive infatti il rettore di Orio: “L’abolizione di una garanzia 'in uscita' dall’Università verso il mondo del lavoro, si tradurrebbe solo in una penalizzazione 'in ingresso' nel mondo dell’Università, con un corto-circuito logico che, classificando gli Atenei in diverse categorie di eccellenza, finirebbe per discriminare gli studenti fin dall’accesso nelle Università, con una chiara violazione del dettato costituzionale”. Non si tratta però soltanto di difendere l'esistente, ma di evitare che una norma simile rientri in un complesso contesto legislativo, del quale la riforma Gelmini è soltanto un primo importante passaggio, che ha intenzione di distruggere l'istruzione universitaria.
Punto 6 del programma: “Risorse finanziarie dello Stato erogate solo alla scuola pubblica”. Come non essere d'accordo, dal momento che da oltre un decennio i movimenti studenteschi in Italia sulla questione hanno alzato le barricate. Poi, probabilmente, quando si richiede la “valutazione dei docenti universitari da parte degli studenti”, non si conoscono le norme di certificazione approvate nell'ultimo decennio e che già in qualche modo rendono obbligatorio questo percorso. Sono norme che rispondono a criteri di aziendalizzazione degli Atenei italiani, sui quali probabilmente i “cittadini” del Movimento 5 Stelle sono tra l'altro d'accordo, quando reclamano “Integrazione tra Università e Aziende”. Anche qui, però, dimostrano di non conoscere quanto avviene negli Atenei italiani, dove le aziende e i privati, grazie alla cosiddetta riforma Gelmini della quale si chiede l'abrogazione, sono addirittura parte dei Consigli di Amministrazione, e dove lo sfruttamento di capitale umano a costo zero, attraverso stage e tirocini non retribuiti, è all'ordine del giorno.
Si resta infine di sasso leggendo: “Insegnamento gratuito della lingua italiana per gli stranieri (obbligatorio in caso di richiesta di cittadinanza)”. Dal momento che corsi gratuiti di lingua italiana per stranieri ne esistono migliaia in tutta Italia, organizzati e portati avanti soprattutto da associazioni solidaristiche e mutualistiche, che si occupano in primo luogo di accoglienza e integrazione razziale, vogliamo pensare che i “cittadini” del Movimento 5 Stelle abbiano intenzione di insistere sulla necessità che lo Stato si faccia carico di questi costi. Vogliamo però anche soffermarci su quella parentesi dal retrogusto vagamente leghista.
Nel complesso, desta molte perplessità il fatto che nel programma, se così vogliamo definirlo dal momento che sembra più una mistura di slogan e di incongruenze, non si parli di diritto allo studio, di borse di studio, di criteri di accesso, di forme innovative di welfare studentesco. Si ha la consapevolezza, all'interno del Movimento 5 Stelle, di quanti disagi abbiano creato i tagli al fondo ordinario, i criteri di reddito e di merito continuamente rivisti, l'impennata in tutta Italia dei costi della contribuzione studentesca, l'introduzione di criteri falsamente meritocratici che penalizzano in maniera pesante i fuori corso?
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