giovedì 14 febbraio 2013

E c'era bisogno di un bancario per fare tutti questi danni e non mantenere le promesse fatte durante la campagna elettorale? Non bastava rimandare le elezioni e lasciarlo fare a quelli che governavano Parma prima?


Ecco Parma a Cinque stelle: tasse e inceneritore...

10 febbraio 2013
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C’è l’apparenza e Parma appare bella, curata, come sempre. La giornata è fredda ma il sole è gentile. Intorno, il via vai di biciclette sostituisce le auto, bloccate dal divieto di transito. È impossibile parlare male di questa città. È impossibile immaginare che queste piazze, questi teatri, queste biblioteche, questo fiume che corre veloce e limpido, queste persone che assicurano la «tenuta civica» devono misurarsi con un debito di quasi 900 milioni di euro. Quando un amministrazione (comunale, statale) consuma i soldi pubblici, e si carica di un passivo così enorme, prima o poi i guasti vanno a rovinare addosso alla gente.

Soprattutto quando si somma la crisi economica, e tutto insieme diventa il carburante per un voto di forte protesta, di rottura, che ha premiato nella primavera scorsa il Movimento 5 stelle e Federico Pizzarotti, trentanovenne perito elettronico, buone idee e tutte di sicura presa nel popolo arrabbiato, ma a digiuno di politica e di pratica amministrativa. 

Le promesse sono rimaste lì, nel programma elettorale: «Mai più centri commerciali». Ed ecco Decathlon, 9 mila metri quadrati, già approvati, irreversibili, «ma non ci rappresentano», si difendono i puristi della giunta. «Mai più società partecipate», il pozzo nero e avido della gestione Vignali: tutto dev’essere pubblico, di più: del popolo. Gestito direttamente. Ma per far cassa si dovranno vendere ai privati quote consistenti delle Spa municipalizzate. Poi il bersaglio grosso, il grimaldello per aprire la porta del potere: «Mai l’inceneritore». E invece eccolo qui, dietro lo svincolo dell’autostrada, pronto a bruciare i rifiuti. La strategia dei nuovi governanti era modesta: sperare che i magistrati trovassero da eccepire sulla costruzione di questo complesso che sembra una fabbrica vecchia maniera, con la ciminiera alta (ma meno snella). «Non ci sono abusi edilizi», ha sancito il tribunale. La strada legale è sbarrata. Quella economica è proibita: le penali da pagare per cambiare rotta sarebbero insostenibili, attorno ai 180 milioni di euro. 

BRUCIANO LE ILLUSIONI
Si potrebbero cercare soluzioni politiche, lavorando con gli altri enti locali per mettere a profitto il termovalorizzatore, che non sarà bello come nel fasullo rendering appeso alle recinzioni, con gli alberelli di contorno - tutti appena piantati - e facciate mimetiche, ma può essere utile, e ormai c’è, bisognerebbe ragionare su come farlo guadagnare, come riempirlo, dato che è sovradimensionato: se fa utili, aiuterebbe il sindaco ad abbassare le tariffe sui rifiuti. E poi il costo per la raccolta è il più alto dell’Emilia: 168 euro a tonnellata. Perché non concentrarsi su come ridurlo? 

Ma per i grillini la strada della politica porta all’inferno. Tanto che alla vicepresidenza della multiutility che si occupa dell’impianto (Iren), nella nomina che spetta direttamente al Comune, Pizzarotti ha sistemato Lorenzo Bagnacani, profeta delle energie naturali e da sempre antagonista di Iren, seppur in conflitto d’interesse: è infatti amministratore di una società fornitrice della stessa Iren. Scriveva ieri Italia oggi: «Come mettere un vegetariano nel reparto assaggio di un salumificio». 

La politica, allora. Che dovrebbe essere sublimata, adesso, che la dissennata stagione marcata Pdl ha costretto Parma a fronteggiare un nemico sconosciuto. «Pizzarotti ha l’alibi del disastro per la grandeur di Ubaldi, gli investimenti assurdi, dal ponte nord alla scuola dell’Europa... Vignali poi ha innestato su questo sperpero un mandato clientelare e corrotto, poggiato sui soldi in transito dalle partecipate. D’accordo. Ma adesso l’emergenza va governata». Questo il compito con cui misurare il comitato di eterna contestazione del Movimento 5 stelle. Il capogruppo del Pd in palazzo comunale invece osserva la resa dell’amministrazione: «Decide tutto l’assessore al Bilancio, Gino Capelli. È lui il protagonista. Ma è un tecnico e “taglia”: la spesa, anche quella sociale, gli sgravi fiscali. E impone tasse. Tutto l’idealismo grillino si è ridotto a un approccio contabile, senza il sostegno politico di un partito di maggioranza o dell’azione della giunta. Oltre il risanamento non c’è progetto. Non abbiamo ancora visto un piano sul quale aprire un confronto...». 

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