giovedì 16 febbraio 2017

“Il congresso è sempre lo strumento principe di partiti democratici”, parla Veca

Pd
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Il filosofo della politica: “L’urgenza dei problemi consiglia di non anticipare le elezioni, ma nel Pd occorre aprire subito un nuovo ciclo”
 
«Se prendiamo atto del fatto che un ciclo si è chiuso, un ciclo che ha a che vedere anche con una leadership e una proposta di governo della società italiana che in qualche modo è stata bocciata con la riforma costituzionale, è chiaro che, per aprire un nuovo ciclo, serve un congresso». Filosofo della politica a lungo impegnato a sinistra, sulla questione che oggi divide il Partito democratico Salvatore Veca ha una posizione originale, non riconducibile a nessuno dei due fronti: quello di chi vuole anticipare il congresso (anche) per potere andare al più presto alle elezioni e quello di chi chiede di non anticipare né il congresso né le elezioni rispetto alle rispettive scadenze naturali. «Sganciamo i due piani – spiega – il piano istituzionale-governativo e quello politico-partitico. La rilevanza e l’urgenza dei problemi che abbiamo in ambito nazionale, europeo e internazionale è tale che pensare a una chiusura anticipata della legislatura, per come la vedo io, implicherebbe costi maggiori rispetto al beneficio di ridare legittimità democratica al governo. Ma sull’altro piano, per quello che riguarda il Partito democratico, se è vero che un ciclo si è chiuso con la sconfitta nel referendum, allora c’è bisogno di riaprirne rapidamente un altro, altrimenti non si vede perché uno dovrebbe votare il Pd, se non si capisce cos’è il Pd».
Non la convincono gli argomenti di chi dice che affrettare i tempi vorrebbe dire ridurre tutto a una conta? «Trovo che la scelta di un’anticipazione del congresso abbia più virtù che vizi. Mi pare ci sia bisogno di un grande coinvolgimento, di partecipazione, di un confronto delle idee: questo manca da tempo. Il confronto, anche fra posizioni alternative, però alla fine convergenti su una prospettiva di cultura politica comune, penso sia molto auspicabile. Perché i partiti sono molto cambiati e tuttavia un partito non può rinunciare a essere riconoscibile per alcuni suoi tratti distintitvi. Perché una delle virtù più importanti, in una democrazia decente, è proprio la virtù della distinzione di idee, valoriali e programmatiche. Ed è anche un modo per riacchiappare una fiducia che si rischia di perdere. Perché il grande problema di tutti i partiti di sinistra in Europa è di vedersi revocata la fiducia dagli elettori. Non è un problema solo italiano.
Lo abbiamo visto in Francia, in Spagna e sarà interessante vedere il tipo di competizione che si sta aprendo in Germania, e come Martin Schulz si caratterizzi in modo distintivo rispetto a una grande figura politica qual è Angela Merkel. Ecco, la virtù della distinzione è veramente importante. Io spero che dal congresso emergano delle ragioni per l’adesione, che non sono ragioni che riguardano chi fa il congresso ma una parte rilevante del popolo italiano».
Non la convince nemmeno l’argomento di chi propone di ricorrere prima ad altre forme di confronto, come la conferenza programmatica di cui si parla ora?
«A me pare che conferenze programmatiche, piuttosto che altre forme di confronto di idee, possano aver luogo in condizioni di normalità. Ma noi non siamo in condizioni di normalità. Siamo in una situazione di grandissima difficoltà nel contesto europeo. Abbiamo davanti sfide davvero urgenti. Abbiamo una sofferenza sociale molto estesa. Non voglio dipingere un quadro solo a tinte cupe, naturalmente ci sono traversie e opportunità. Ma ci sono un sacco di traversie».
È anche l’argomento di chi chiede, proprio per questo, di non anticipare il congresso.
«La mia impressione è che avvitandosi in un confronto senza lo strumento principe della democrazia dei partiti, che è il congresso, sia difficile uscire da una rischiosa palude. E poi ben venga il confronto. Finalmente. È abbastanza impressionante l’assenza di discussione che ha seguito la sconfitta referendaria. Insomma, non trovo così inusuale ricorrere a quello che è sempre, ripeto, lo strumento principe, e cioè il congresso. Un congresso serio, naturalmente. Un confronto franco, aperto, con tutte le ragioni in campo, nessuno escluso ex ante. Nella fase che ha accompagnato la segreteria e la premiership di Renzi non mi è sembrato che ci fosse una discussione così aperta. È per questo che penso sia importante arrivare alla fine ordinaria della legislatura avendo definito con un congresso la riconoscibilità di un partito di centrosinistra, come un partito che risponde e cerca di tener conto di cosa c’è fuori del partito. A me piacerebbe che al centro della discussione tornassero i principi di equità e giustizia sociale, i diritti e ovviamente il benessere. Se pensiamo che abbiamo un blocco della mobilità sociale, una rottura generazionale profonda: non sono cose di poco conto per un partito che mira a governare una società italiana che è ancora intrappolata nella crisi».

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