giovedì 16 febbraio 2017

Il tafazzismo, malattia autoimmune del centrosinistra

Pd
emiliano-rossi-speranza
Dopo Renzi non ci sono D’Alema e Speranza ma Grillo e Salvini
 
I due principali antagonisti del Partito Democratico sono, com’è noto, il Movimento Cinque Stelle e la destra postberlusconiana, cioè il duo Salvini-Meloni – rivitalizzato dall’onda lunga neonazionalista – e quel che resta di Forza Italia (Berlusconi federò, durante lo scorso ventennio, liberali, postmissini e leghisti; è più improbabile che liberali e protezionisti euroscettici trovino oggi le ragioni per confezionare un nuovo rassemblement: sono cambiati i rapporti di forza, il sistema elettorale e lo scenario internazionale).
Si tratta, in altri termini, di due partiti azienda verticistico-personalistici e di una coppia di leader a vocazione poco più che minoritaria: tutt’e tre le entità partitiche si esauriscono nell’esposizione mediatica dei loro leader e nella impenetrabilità (e, nel caso del M5S, persino immaterialità) delle loro sedi.
Il Pd è dunque l’unico partito strutturato dello spettro politico odierno, l’unico dotato di meccanismi e procedure collaudate per il reclutamento dei quadri dirigenti, l’unico che calendarizza appuntamenti periodici per ridimensionare le tensioni interne e, all’occorrenza, eleggere il segretario/candidato premier.
Né il centrodestra né tantomeno il Movimento Cinque Stelle – al quale il Pd ha sottratto il monopolio dello streaming: l’e-trasperency è ormai un lontano ricordo per i grillini – sono nella posizione di brandire i veleni emersi durante l’ultima Direzione per accusare il Pd di essere in stato confusionale e perciò inaffidabile: non tanto e non solo perché sono balcanizzati a loro volta, ma perché gli spazi di confronto al loro interno sono, più che minimi, assenti, così come l’autonomia dei singoli parlamentari, sindaci e consiglieri, che in alcuni casi necessitano della vidimazione dell’Organo Centrale persino per cinguettare.
È chiaro che avere un’intelaiatura organizzativa non significa perciostesso avere in tasca un vantaggio elettorale – a maggior ragione oggi, nell’era della disintermediazione e della mediatizzazione della politica. Ma la “struttura”; stabilizza e compatta (almeno in teoria) il Partito, internalizzando il dissenso delle frange più vivaci e – soprattutto – garantendo meccanismi di ricambio della leadership sufficientemente solidi da neutralizzare l’insorgere di qualunque battaglia di successione o la sedimentazione di un establishment o di un singolo a capo del partito: Forza Italia si sta lentamente fossilizzando assieme al suo fondatore, mentre la stabilità del Movimento Cinque Stelle, già vacillato non poco in seguito alla scomparsa prematura di Gianroberto Casaleggio, non potrà mai prescindere dalla figura di Beppe Grillo.
È dunque un peccato che in seguito all’abuso di democrazia interna – abuso assolutamente impolitico epretestuoso – praticato da un gruppo di notabili di piccolo cabotaggio e vecchie glorie questo potenzialepunto di forza stia invece diventando il punto debole del Pd.
Nessuno di quelli che oggi minacciano la scissione (prendendo in ostaggio l’intero partito) ha mai elaborato una linea politica credibile alternativa al cosiddetto “renzismo”: hanno piuttosto cercato di razionalizzare alla bell’e meglio la loro ostilità a Matteo Renzi, colpevole di aver conquistato democraticamente la leadership del partito – non senza aver metabolizzato una sconfitta a delle primarie di fatto blindate – per poi disancorarlo, finalmente, da tutte le anticaglie postdiessine che ne impedivano un’evoluzione in senso liberal e riformista.
I dissidenti interni hanno personalizzato – loro sì – uno scontro generatosi da divergenze ideologiche e programmatiche il più delle volte non inconciliabili o comunque risolvibili mediante una riflessione sull’identità del partito (chi, sposando una linea intransigentista, vuol far valere all’interno di un partito posizioni del tutto incompatibili con la caratterizzazione politica dello stesso, è bene che si faccia da parte).
Nulla di inedito, a ben vedere: il tafazzismo è la malattia autoimmune del centrosinistra sin dagli albori dell’Italia repubblicana, se non da prima.
Quel che sorprende, oggi, è il senso di irresponsabilità di chi, da dentro il Pd, silura quotidianamente il segretario del Pd medesimo: un atteggiamento difficilmente comprensibile in un contesto socio-politico moderato e assolutamente biasimevole oggi, con le destre antisistema alle porte. Come hanno ribadito in molti, dopo Renzi non ci sono D’Alema o Speranza: ci sono Grillo e Salvini.

Nessun commento:

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...