(© Ansa) Pier Luigi Bersani.
La stima resta intatta, ma la fiducia politica ancora una volta viene meno su di lui dopo aver letto l’intervista al Corriere della sera raccolta dalla bravissima Monica Guerzoni.
Parlo di Pier Luigi Bersani, bravissimo presidente dell’Emilia rossa, ministro fra i migliori, pessimo segretario del Partito democratico fino alla débâcle del voto politico nel 2013.
Bersani è stato con Gianni Cuperlo, e sullo sfondo Roberto Speranza, il capo della minoranza dem dopo l’avvento di Matteo Renzi prima da lui sconfitto nel 2012 e successivamente vincitore nella replica delle Primarie datate 8 dicembre 2013.
In questi anni è sembrato via via rincrudire la sua posizione politica di fronte al dilagare sgangherato e spesso villano di Renzi e dei suoi ragazzi/e.
Qualche volta ha mediato, tant’è che quasi sempre ha votato per e con Renzi alla Camera, altre volte ha rotto la tregua. Sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ha rotto la tregua.
ATTACCHI CHE SORPRENDONO. Erano in tre a guidare la compagnia del ''No''.
C’è lui, Bersani, che ha intervallato giudizi severi con orgogliosi rifiuti scissionisti, c’era Cuperlo pensoso sull’unità del partito e, avendo studiato alla grande scuola riformista, intenzionato a strappare un risultato decisivo poi ottenuto con l’impegno formale a cambiare la legge elettorale, infine c’è Massimo D’Alema.
Su quest’ultimo ho scritto spesso e non mi ripeto.
Mi ha colpito tuttavia leggere che ha scritto agli italiani all’estero come fosse un’autorità repubblicana e scorgere poco dopo Mario Monti da Bianca Berlinguer attaccare ad alzo zero l’attuale premier.
Vedere due ex presidenti del Consiglio così impegnati a far cadere un loro successore fa immaginare che costui sia una specie di Viktor Orbán, di Donald Trump, di Marine Le Pen.
Solo così si spiegherebbero l’impego e la durezza dell’attacco.
MA QUALE AUTORITARISMO. Invece si tratta del pasticcione Renzi accusato di cose che non ha mai fatto, soprattutto di volere instaurare l’autoritarismo in Italia.
Ho sempre pensato che un ex premier sia una figura istituzionale.
Romano Prodi ha criticato Renzi sull’Europa, cioè con un giudizio di merito.
Ricordiamo tutti le battaglia di Ted Kennedy, prosecutore sfortunato della sua genìa che condusse grandi battaglie ma restò riferimento di amici o nemici del proprio schieramento.
Invece qui ex segretari di partito e ex premier sono in prima linea per «uccidere», così ha detto il senatore Gaetano Quagliariello con cui Miguel Gotor e D’Alema fanno iniziative per il ''No'', il «cinghiale ferito» (cioè Renzi): «Bisogna finirlo», sono state le parole dell’ex leader Radicale poi diventato cattolicissimo e berlusconiano, poi alfaniano e poi chissà.
A BRACCETTO COI GRILLINI. Bersani è stato descritto dalla Guerzoni con siparietti più importanti delle sue parole.
L’incontro affettuoso con Alessandro Di Battista che gli conferma che i cinque stelle si stanno impegnando a morte per il ''No''.
Ma Beppe Grillo non è un avversario del Pd tutto intero?
L’idea bersaniana è che il ''No'' vincerà perché il vento trumpista travolgerà tutto salvo poi, con un salto logico meraviglioso, aggiungere che questa onda trumpista che arriva fino in Italia alla fine bloccherà il trumpismo italiano.
Sono senza parole.
Infine con il giudizio sprezzante sulla candidatura di Enrico Rossi a segretario del partito ritenuto un personaggio troppo mediatorio (da uno che media con Di Battista).
IL GIOVANE NEL CILINDRO SCAPPI! Bersani come D’Alema rivela, poi, che c’è un candidato nascosto alla guida del Pd che è giovane e che verrà fuori dal loro cilindro dopo la fine di Renzi.
Ci fu un periodo in cui Enrico Berlinguer mise sotto schiaffo la dirigenza del Pci meridionale perché non si rinnovava.
Si era nel periodo duro del post rivota di Reggio Calabria. La nomenklatura comunista meridionale e pugliese accettò la sfida e cambiò tutto il quadro dirigente mettendo giovani dirigenti, ma erano giovani dirigenti allevati in batteria. Cambiarono tutto per non cambiare niente.
Se lo conoscessi direi a questo giovane scelto da Bersani e D’Alema di fare altro nella vita, lo candideranno e se lo mangeranno in pochi mesi, come hanno fatto con Speranza.
PER SALVARE IL PD NON SERVE IL ''NO''. La delusione per l’intervista di Bersani pone un problema di fondo.
Come si fa a essere avversari leali di Renzi senza sposare la linea Quagliariello?
Mi confermo nell’idea che per salvare il Pd bisogna star fuori e lontani dalla compagnia del ''No''.
La vera via d’uscita è cercare un'alternativa all’uno e agli altri. Ma mi sono convinto che se una parte del Pd concorre con Quagliarello a «finire il cinghiale ferito», questa sinistra non è più la mia.
Addio compagno Bersani, senza rancore ma soprattutto senza rimpianti.
Parlo di Pier Luigi Bersani, bravissimo presidente dell’Emilia rossa, ministro fra i migliori, pessimo segretario del Partito democratico fino alla débâcle del voto politico nel 2013.
Bersani è stato con Gianni Cuperlo, e sullo sfondo Roberto Speranza, il capo della minoranza dem dopo l’avvento di Matteo Renzi prima da lui sconfitto nel 2012 e successivamente vincitore nella replica delle Primarie datate 8 dicembre 2013.
In questi anni è sembrato via via rincrudire la sua posizione politica di fronte al dilagare sgangherato e spesso villano di Renzi e dei suoi ragazzi/e.
Qualche volta ha mediato, tant’è che quasi sempre ha votato per e con Renzi alla Camera, altre volte ha rotto la tregua. Sul referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 ha rotto la tregua.
ATTACCHI CHE SORPRENDONO. Erano in tre a guidare la compagnia del ''No''.
C’è lui, Bersani, che ha intervallato giudizi severi con orgogliosi rifiuti scissionisti, c’era Cuperlo pensoso sull’unità del partito e, avendo studiato alla grande scuola riformista, intenzionato a strappare un risultato decisivo poi ottenuto con l’impegno formale a cambiare la legge elettorale, infine c’è Massimo D’Alema.
Su quest’ultimo ho scritto spesso e non mi ripeto.
Mi ha colpito tuttavia leggere che ha scritto agli italiani all’estero come fosse un’autorità repubblicana e scorgere poco dopo Mario Monti da Bianca Berlinguer attaccare ad alzo zero l’attuale premier.
Vedere due ex presidenti del Consiglio così impegnati a far cadere un loro successore fa immaginare che costui sia una specie di Viktor Orbán, di Donald Trump, di Marine Le Pen.
Solo così si spiegherebbero l’impego e la durezza dell’attacco.
MA QUALE AUTORITARISMO. Invece si tratta del pasticcione Renzi accusato di cose che non ha mai fatto, soprattutto di volere instaurare l’autoritarismo in Italia.
Ho sempre pensato che un ex premier sia una figura istituzionale.
Romano Prodi ha criticato Renzi sull’Europa, cioè con un giudizio di merito.
Ricordiamo tutti le battaglia di Ted Kennedy, prosecutore sfortunato della sua genìa che condusse grandi battaglie ma restò riferimento di amici o nemici del proprio schieramento.
Invece qui ex segretari di partito e ex premier sono in prima linea per «uccidere», così ha detto il senatore Gaetano Quagliariello con cui Miguel Gotor e D’Alema fanno iniziative per il ''No'', il «cinghiale ferito» (cioè Renzi): «Bisogna finirlo», sono state le parole dell’ex leader Radicale poi diventato cattolicissimo e berlusconiano, poi alfaniano e poi chissà.
A BRACCETTO COI GRILLINI. Bersani è stato descritto dalla Guerzoni con siparietti più importanti delle sue parole.
L’incontro affettuoso con Alessandro Di Battista che gli conferma che i cinque stelle si stanno impegnando a morte per il ''No''.
Ma Beppe Grillo non è un avversario del Pd tutto intero?
L’idea bersaniana è che il ''No'' vincerà perché il vento trumpista travolgerà tutto salvo poi, con un salto logico meraviglioso, aggiungere che questa onda trumpista che arriva fino in Italia alla fine bloccherà il trumpismo italiano.
Sono senza parole.
Infine con il giudizio sprezzante sulla candidatura di Enrico Rossi a segretario del partito ritenuto un personaggio troppo mediatorio (da uno che media con Di Battista).
IL GIOVANE NEL CILINDRO SCAPPI! Bersani come D’Alema rivela, poi, che c’è un candidato nascosto alla guida del Pd che è giovane e che verrà fuori dal loro cilindro dopo la fine di Renzi.
Ci fu un periodo in cui Enrico Berlinguer mise sotto schiaffo la dirigenza del Pci meridionale perché non si rinnovava.
Si era nel periodo duro del post rivota di Reggio Calabria. La nomenklatura comunista meridionale e pugliese accettò la sfida e cambiò tutto il quadro dirigente mettendo giovani dirigenti, ma erano giovani dirigenti allevati in batteria. Cambiarono tutto per non cambiare niente.
Se lo conoscessi direi a questo giovane scelto da Bersani e D’Alema di fare altro nella vita, lo candideranno e se lo mangeranno in pochi mesi, come hanno fatto con Speranza.
PER SALVARE IL PD NON SERVE IL ''NO''. La delusione per l’intervista di Bersani pone un problema di fondo.
Come si fa a essere avversari leali di Renzi senza sposare la linea Quagliariello?
Mi confermo nell’idea che per salvare il Pd bisogna star fuori e lontani dalla compagnia del ''No''.
La vera via d’uscita è cercare un'alternativa all’uno e agli altri. Ma mi sono convinto che se una parte del Pd concorre con Quagliarello a «finire il cinghiale ferito», questa sinistra non è più la mia.
Addio compagno Bersani, senza rancore ma soprattutto senza rimpianti.
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