mercoledì 16 novembre 2016

Quando mandiamo casa persone come D'Alema?

Onore a D’Alema, l’unico che confessa di volere un governicchio

Il Noista
Massimo D' Alema , partecipa alla campagna elettorale di Prato e provincia con il candidato sindaco Matteo Biffoni 14 maggio 2014 
ANSA/MAURIZIO DEGL INNOCENTI
I Noisti ipocritamente dicono che Renzi dovrebbe restare anche se vince il No
 
I Noisti che votano No con l’unico obiettivo di abbattere Matteo Renzi – e sono la maggioranza: da Salvini a Bersani, da Brunetta a Grillo – curiosamente (o ipocritamente?) insistono su un punto: il 5 dicembre, se vince il No, Renzi deve comunque restare a Palazzo Chigi. Bisogna votare contro le riforme per colpire il presidente del Consiglio, sostengono in tv e sui giornali, ma il presidente del Consiglio non si deve dimettere.
E perché? Perché, spiegano, il referendum non è sul governo. Però bisogna votare No, concludono, perché questo governo è pessimo.
Un gran bel ragionamento, non c’è che dire: onesto, trasparente, convincente. E rivelatore: nascondere le conseguenze dei propri atti è un contrassegno della politica politicante, del tatticismo elevato a sistema di vita, del desiderio rabbioso di distruggere senza preoccuparsi di ciò che verrà dopo.
Onore dunque a Massimo D’Alema, che l’altro giorno ha confessato finalmente la verità: “Se vince il No, niente elezioni anticipate, bisognerà prima cambiare la legge elettorale… il presidente Mattarella nel giro di poche ore individuerà una personalità super partes per formare un nuovo governo”.
A parte la battuta sulle “poche ore” necessarie a risolvere una crisi di governo, che fa da pendant ai “pochi mesi” sufficienti per D’Alema ad approvare una nuova riforma istituzionale, per di più “condivisa”, lo scenario prospettato dall’ex premier e mancato commissario europeo è realistico: la vittoria del No spalanca le porta all’ennesimo governo tecnico, o istituzionale, o di scopo, o come altrimenti sarà etichettato il governicchio che si proverà a formare.
Proviamo ad approfondire la questione. L’azionista di maggioranza di questo ipotetico governo sarebbe comunque il Pd guidato da Renzi – almeno fino al congresso – e la maggioranza ricalcherebbe più o meno quella attuale, con l’eventuale aggiunta di Forza Italia (sempreché Berlusconi, dopo aver appena licenziato Stefano Parisi, cambi di nuovo idea e ritorni “moderato”).
Ma nessuna delle forze politiche che voteranno la fiducia al governo si sentirà più di tanto impegnata nel sostenerlo, e anzi farà a gara per punzecchiarlo, prenderne le distanze, metterlo in difficoltà: un po’ perché la vittoria del No apre di fatto la campagna elettorale per le politiche, un po’ perché quel governo presumibilmente avrà ministri “tecnici” slegati dai partiti, un po’ perché si sa in partenza che avrà vita breve.
Davvero qualcuno crede che un tale governicchio sia in grado di scrivere una nuova legge elettorale, contrattare con l’Europa i necessari margini di flessibilità, rassicurare i mercati finanziari, arginare l’ondata populista e restituire dignità ed efficienza all’azione politica?

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