sabato 19 novembre 2016

Il finto amore dei grillini per Bersani. E lui ci casca

Il Noista
L'ex segretario del Pd Pierluigi Bersani arriva alla sede del Pd in occasione della direzione nazionale a Roma, 7 agosto 2015.   ANSA/ MAURIZIO BRAMBATTI
Il Corriere della Sera racconta delle pacche sulle spalle con Di Battista
 
“Sono le tre del pomeriggio, dall’Aula sbuca Alessandro Di Battista e si ferma a omaggiare Bersani: ‘Ciao Pier Luigi, noi ci stiamo facendo un mazzo così per il No! Di più non si può fare, davvero’. La pacca sulla spalla con cui il leader della minoranza dem ringrazia la star del M5s dice che anche lui ce la sta mettendo tutta per sbaragliare il fronte del Sì”. L’asciutta cronaca del Corriere della Sera non lascia spazio a dubbi, né merita commenti particolari.
Bersani è da tempo – dalle elezioni “non vinte” del 2013 – lo zimbello del Movimento 5 stelle: umiliato in diretta streaming da Roberta Lombardi e Vito Crimi, due anni dopo fu ripescato proprio da Di Battista come candidato grillino al Quirinale: “Dovrebbe esserci anche un nome loro che possa mettere in discussione il patto criminale del Nazareno”, disse il giovane leader che divide le sue simpatie fra Benito Mussolini e “Che” Guevara e propone un “dialogo” con l’Isis.
La candidatura di Bersani fu accolta con entusiasmo: l’onorevole cittadino Riccardo Fraccaro – che poi scriverà sul suo blog, quando Napolitano accetterà di ricandidarsi: “Oggi è il 20 aprile, giorno in cui nacque Itler (sic!). Sarà un caso, ma oggi muore la democrazia in Italia” – spiegò che “si dovrebbe trovare un nome che possa metterli davvero in difficoltà e questo nome non può essere Prodi, che da fondatore del Pd non ha mai avuto una parola di critica verso un partito che è diventato da Pd a Pd2… quel nome può essere Bersani”.
Ancora più entusiasta la senatrice cittadina Sara Paglini – autrice di un indimenticabile post su Facebook che criticava “le stragi naziste, i morti in Siberia, i regimi violenti come quello di Pino Chet” –: “Serve un nome che destabilizzi mister Bean e gli dia uno schiaffone. Mi fa un po’ senso dirlo, ma il nome è quello di Bersani”.
E così il 29 gennaio dell’anno scorso l’ex segretario del Pd, dopo aver implicitamente accettato la candidatura (diversamente da Lorenza Carlassare, che educatamente declinò l’invito), corse felice alle Quirinarie e, sebbene ai grillini “facesse senso”, si piazzò quarto su nove candidati, raccogliendo 5787 voti (vinse Imposimato con 16.653 preferenze).
Soddisfatto del risultato, Bersani ha continuato a farsi deridere dai grillini – ancora Di Battista, nel maggio scorso, spiegò sprezzante che “la minoranza del Pd minaccia, minaccia, fa l’ennesimo ‘penultimatum’, ma poi si tengono tutti la poltrona…” – giungendo a definirli, il mese scorso a “DiMartedì”, un “partito di centro” con cui una “sinistra larga” deve dialogare.
Sinistra, centro, destra, tacchini sul tetto e mucche in corridoio… Bersani è un poeta, e ai poeti si perdona tutto: persino l’essere diventato improvvisamente trumpista.
Sentite che cosa ha detto ieri (citiamo sempre dal Corriere): “Il risultato di Trump dice che l’onda ormai è quella. E’ successo negli Stati Uniti l’8 novembre e così andrà da noi il 4 dicembre”. E all’onda, come al cuore, non si comanda.

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