sabato 9 aprile 2016

Sono completamente d'accordo con Chicco Testa. Nei paesi che fanno giornalismo vero non ci sarebbe mai stato alcun dubbio su cosa fare. Non ho mai guardato una sola trasmissione di Vespa ma in questo caso ha fatto tutto quello che un giornalista deve fare.

Vespa ha fatto il suo dovere. Ecco perché

ControVerso
L'anteprima per la stampa della puntata odierna di "Porta a porta" in cui andrà in onda l'intervista a Salvo Riina, figlio del boss della mafia siciliana Totò Riina, Roma, 06 aprile 2016.
ANSA/CLAUDIO PERI
Nessuna televisione al mondo si sarebbe negata la possibilità di un’intervista come quella. Le polemiche, comprensibili, hanno solo a che fare con il ruolo della Rai
 
Ha ragione Monica Maggioni. Il racconto del figlio di Riina era insopportabile. Fisicamente insopportabile. Ma proprio per questo non sono riuscito a staccarmi. Le domande di Vespa al figlio di Riina erano dirette e urticanti, non gli ha risparmiato niente. Gli ha sottoposto le immagini dell’assassinio di Falcone, di Borsellino, del dolore straziante della vedova di Schifani. Gli ha riproposto più volte domande incalzanti sul giudizio nei confronti del padre. Dall’altra parte la totale imperturbabilità del figlio di Riina, teso in una distinzione impossibile fra il quarto comandamento “onora il padre e la madre” e il quinto “non uccidere”.
Compromesso ignobile e possibile solo all’interno di una cultura completamente mafiosa, che mette i rapporti “nella famiglia” prima di qualsiasi altro dovere nei confronti della legge e degli altri appartenenti alla comunità civile. Siccome è mio padre non lo posso giudicare anche se so con certezza che ha ammazzato decine di persone. Il “male”, se cosi vogliamo chiamarlo, era lì davanti a noi visibile, chiaro e trasparente. Facilmente giudicabile da chiunque. Contrapposto alla faccia pulita e vestita in alta uniforme del figlio di Schifani, oggi giovane finanziere.
La mafia non era più la realtà romanzesca e un po’ compiaciuta raccontata da molta fiction, ma un uomo in carne e ossa, esplicito nelle sue esternazioni. Onestamente pensare che lo spettatore del 2016 non sappia capire, distinguere e giudicare e possa avere scambiato tutto questo per un elogio agli uomini della mafia mi sembra il portato di una cultura da anni 50 in cui alla Rai era affidato il compito di educare e forgiare milioni di semianalfabeti, considerati come minorati.
Nessuna televisione al mondo si sarebbe negata la possibilità di un’intervista come quella. Le polemiche, comprensibili, hanno solo a che fare con il ruolo della Rai, che per la sua natura pubblica continua ad essere scambiata per qualche cosa da cui ci si attende un’etica speciale, che nessun sa più definire. Un’etica di Stato e un’etica dell’ipocrisia. Che non sa affrontare il male nella sua nudità ma ha bisogno di rivestirlo di discorsi retorici e spesso inconcludenti. Fosse per me riproporrei quella intervista nelle scuole e inviterei a commentarla il giovane Schifani. Così, per mostrare qual è l’evidenza della differenza fra il bene e il male.

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